Botero a Roma
Ph. Gianfranco Fortuna
ROMA\ aise\ - Con la prima e più completa mostra di pittura mai realizzata in Italia a un anno dalla sua scomparsa, Palazzo Bonaparte a Roma rende omaggio a uno degli artisti più amati dal grande pubblico internazionale, Fernando Botero.
La mostra “Botero”, realizzata in collaborazione con Arthemisia, è stata inaugurata il 17 settembre e sarà aperta al pubblico sino al 19 gennaio 2025, con la curatela di Lina Botero, figlia dell’artista, e di Cristina Carrillo de Albornoz, grande esperta della sua opera.
Autore di opere iconiche e nell’immaginario di tutti, Botero nasce in Colombia nel 1932 e inizia a dipingere da giovanissimo, quando lascia la scuola per matador per diventare un artista. Si impone sulla scena artistica internazionale a partire dal 1961, quando il Museum of Modern Art di New York decide di acquistare il suo Monna Lisa all’età di dodici anni (1959), momento in cui comincia un tour di successo in giro per il mondo e la sua fama cresce in modo esponenziale.
Le forme monumentali dei suoi soggetti e le fisicità corpulente sono da sempre il suo marchio iconico, ciò che ha reso il suo stile unico e immediatamente riconoscibile: Botero rappresenta sulle sue tele l’opulenza delle forme, il volume insieme all'uso iper espressivo del colore, quell’abbondanza che è anche positività, ricchezza e vita.
La mostra, che racconta oltre 60 anni di carriera artistica, presenta oltre 120 opere tra dipinti, acquerelli, sanguigne, carboncini, sculture e alcuni straordinari inediti, prestati eccezionalmente solo per questa mostra.
Opere di grandi dimensioni che rappresentano la sontuosa rotondità dello stile di Botero, restituito con effetti tridimensionali e colori accesi e vibranti. Un universo inventato e poetico completamente nuovo, che affonda le radici nella sua Colombia.
La mostra, che esplora anche la straordinaria relazione tra Botero e l’Italia, si apre con un’opera importantissima e mai esposta prima: Omaggio a Mantegna (1958), prestito straordinario proveniente da una collezione privata degli Stati Uniti e che, dopo decenni, è stato recentemente scoperto da Lina Botero tramite Christie’s.
Affascinato da uno dei capolavori del Rinascimento, la “Camera degli sposi” di Mantegna nel Palazzo di Mantova, Botero decise di rendere omaggio al maestro italiano dopo il suo viaggio in Italia e scelse l'affresco della parete nord, la scena della corte dei Gonzaga in cui Ludovico è raffigurato seduto mentre riceve una lettera dal suo segretario, Marsilio Andreasi. Intorno a lui ci sono i suoi parenti: una scena che Botero trasformò in un'opera tutta sua, in cui esaltò la monumentalità e il colore eccezionale, vincendo con questo quadro il primo premio al Salone Nazionale di Pittura della Colombia nel 1958.
Non mancano le versioni di capolavori della storia dell’arte, come la “Fornarina” di Raffaello, il celebre dittico dei Montefeltro di Piero della Francesca, i ritratti borghesi di Rubens e “Ritratto dei coniugi Arnolfini” di Van Eyck fino ad arrivare alle ultime opere che Botero realizzò nel 2023 come il grande acquerello dell'Odalisca.
Altra opera fondamentale e inedita e mai esposta al pubblico, perché da sempre appesa nello studio parigino di Botero, è una versione dell’infanta da “Las Meninas” di Velázquez, pittore che Botero copiò durante il suo apprendistato al Prado da giovane studente. Nel corso della sua vita Botero realizzerà numerose versioni dell’opera, in particolare quella dell'Infanta Margarita d'Austria. Mantenendo la stessa aura di grandezza e maestosità, la Menina di Botero è più di una semplice versione, è un'opera nuova, un Botero autentico.
Immancabili le sue iconiche serie coi temi classici e a lui più cari come l’amata America Latina, il circo, la religione, la mitologia, la natura morta e la corrida, quest’ultima forse il tema più interessante perché interpretato attraverso il filtro della tradizione ispanica molto sentita nell’arte, da Goya a Picasso.
Una sala è dedicata, infine, alla più recente sperimentazione del maestro che, dal 2019, dipinse con una nuova tecnica degli acquerelli su tela e in grandi formati: opere quasi diafane, sintesi dell’opera di una vita, frutto di un approccio delicato ai temi familiari di sempre.
“Questa è una mostra eccezionale perché è la prima grande esposizione di pitture dedicata a Fernando Botero dopo la sua morte. È anche una visione diversa del suo lavoro, che mette in evidenza la maestria con cui Botero ha lavorato con tecniche diverse nel corso della sua carriera artistica”, afferma Lina Botero, per la quale si tratta di “un’occasione straordinaria per celebrare il primo anniversario della morte di mio padre in Italia, un Paese che ha significato molto per lui e per il suo lavoro”.
“In Italia, a 20 anni, quando si confrontò con i capolavori del Rinascimento italiano, in particolare Piero della Francesca, Paolo Uccello e Masaccio, con forme massicce e colori straordinari, avvenne la sua metamorfosi”, sottolinea Cristina Carrillo de Albornoz. “Botero si è sempre interessato al volume, fin dai suoi inizi, in modo inconsapevole, ma ha capito la sua trascendenza nell’arte studiando i maestri del Quattrocento italiano”.
Col patrocinio del Ministero della Cultura, della Regione Lazio e del Comune di Roma – Assessorato alla Cultura, la mostra è prodotta e organizzata da Arthemisia in collaborazione con la Fernando Botero Foundation e in partnership con la Fondazione Terzo Pilastro – Internazionale e Poema.
“La mia ambizione era di essere un pittore, e soltanto un pittore. Ho cominciato a dipingere a quattordici anni e da allora non c’è stato nulla che sia riuscito a farmi smettere. Vivo con una costante fame d’arte. Aspiro a esplorare i problemi fondamentali della pittura. Non ho mai trovato altro nella vita che mi causi altrettanto piacere”, affermava Fernando Botero.
LA MOSTRA
Con oltre 120 opere, la mostra esplora la produzione intensa, prolifica ed eccezionale che distinse Botero nella sua sperimentazione con le diverse tecniche di cui si fece maestro nel corso della sua carriera, inclusa la pittura ad olio, la scultura, i pastelli, il disegno a matita, i carboncini e le sanguigne, a dimostrazione della profondità e della versatilità del suo lavoro.
Botero, un classico del XX secolo, rimase sempre legato alla tradizione dei grandi maestri, e l’Italia, sua seconda patria, svolse un ruolo cruciale nel suo sviluppo artistico. Fu qui che, all’inizio degli anni ‘50, mentre studiava le immense forme e gli straordinari colori della pittura del Quattrocento, comprese il proprio interesse quasi innato per i volumi, e cominciò la sua trasformazione stilistica. Nonostante il suo animo cosmopolita, Botero non scordò mai le sue origini colombiane: trasformò i propri ricordi della Colombia e della sua infanzia nei temi principali delle sue opere. Affermava di essere “il più colombiano dei colombiani” e seppe integrare l’essenza della sua terra natia nella tradizione rinascimentale italiana.
Benché per il grande maestro l’arte dovesse produrre piacere, si allontanò brevemente da tale premessa per affrontare alcuni temi di denuncia in due serie: una dedicata alla violenza in Colombia e l’altra alle torture perpetrate ad Abu Ghraib, in Iraq.
Spese fino all’ultimo dei suoi giorni, come disse lui stesso, “ad apprendere la complessa tecnica della pittura”; quando, nel 2020, gli chiesero: “Cosa le piacerebbe fare?”, con grande umiltà rispose: “Imparare a dipingere. L’aspetto meraviglioso della pittura è che nessuno può decidere di saper dipingere. La pittura, ogni singolo giorno, ti porta a percorrere nuove strade e a non smettere mai di fare pratica”.
Fernando Botero morì il 15 settembre 2023 realizzando il suo sogno di continuare a lavorare fino all’ultimo, lasciando un’eredità monumentale che continua a ispirare il mondo dell’arte.
Prima sezione – Versioni
Botero, profondamente innamorato della pittura e portato per l’arte come pochi altri, si è guadagnato un posto nel pantheon delle eccellenze studiando le opere dei grandi maestri classici e confrontandosi con esse. Inizialmente lo ha fatto presso il Museo del Prado di Madrid, durante l’apprendistato, dove è stato copista delle opere di Velázquez e Goya, poi studiando i grandi maestri del Rinascimento italiano in Toscana. Nel tempo, poi, ha sviluppato un interesse per le creazioni di Dürer, Van Eyck, Rubens, Ingres e Manet. L’ammirazione per i maestri della pittura ha lasciato un segno indelebile in tutte le sue opere: era ben consapevole che la grandezza, nell’arte, ha sempre origine da una conoscenza profonda della tradizione. Inarrestabile, Botero è stato un classico moderno, convinto che “la ricchezza di un artista consiste nel connubio delle influenze che ne hanno segnato la vita e il lavoro”.
Fin dal primissimo viaggio in Europa nel 1952, egli ha realizzato numerosi omaggi a sommi esponenti della storia dell’arte universale, che influenzarono e arricchirono la sua vita artistica. Omaggi che si si sono tradotti in una serie di Versioni, in cui si è appropriato di temi creati da altri per trasformarli, con il proprio stile, in opere originali completamente diverse. E così, benché il tema di partenza fossero le opere di Leonardo, Velázquez o Piero della Francesca, il linguaggio è rimasto chiaramente quello di Botero. Sono versioni meravigliose perché danno vita a opere diverse, che sono proprio dello stile “Botero”.
Alcune delle sue versioni più celebri tratte da opere dei grandi maestri sono esposte in questa sezione. La Menina (“La damigella d’onore”), che cita Diego Velázquez (1599-1660), El Diptico (“Il dittico”), ispirato a Piero della Francesca (ca. 1416-1492), El Matrimonio Arnolfini, (“Il matrimonio Arnolfini”), che riprende Jan van Eyck (ca. 1390-1441), oppure Mademoiselle Rivière, ispirato a Jean-Auguste-Dominique Ingres (1780-1867), La Fornarina, citazione di Raffaello, o El retrato de los Burgueses, che riprende Rubens.
“L’arte”, insisteva Botero, “è la possibilità di ricreare la stessa opera in modo differente”.
Seconda sezione – La scultura
“La mia estrema passione per la forma mi ha portato alla necessità di trasformare i soggetti della mia pittura in veri e propri volumi tridimensionali e tattili”, diceva Botero, che chiedeva sempre alle persone di toccare le sue sculture, Non a caso Bernard Berenson, il leggendario storico dell'arte americano e uno dei massimi esperti del Rinascimento italiano, ha parlato di “valori tattili nella pittura”. Le sue lezioni, che il ventenne Botero seguiva a Firenze, si sarebbero rivelate decisive per la sua carriera.
Ha iniziato a scolpire a metà degli anni Settanta con opere di piccolo formato. Il suo primo modello fu la sua stessa mano. Ogni estate andava a Pietrasanta, in Toscana, una città con una straordinaria tradizione scultorea e dove c’erano sette fonderie.
Terza sezione – Disegni
Per il maestro il disegno era la base di tutto: era convinto che senza saper disegnare era quasi impossibile creare qualcosa che facesse la differenza. Affermava che “non si può pensare a nessun grande artista senza pensare alla sua capacità di disegnare”.
In quasi tutti i bozzetti o gli schizzi preparatori, Botero ha rivendicato l’importanza del disegno come preparazione e come opera a tutti gli effetti.
Quarta sezione – La natura morta
Alla fine del XX secolo non erano molti gli artisti che si cimentavano ancora sul tema delle nature morte, genere che invece ha esercitato un grande fascino su Botero, che quindi lo ha fatto diventare uno dei suoi temi ricorrenti. Una cosa è certa: grazie all’uso inaspettato che vi ha fatto del colore, ci ha fatto capire perché affermasse che fossero proprio i colori a dominare nelle sue composizioni equilibrate. Quando ha iniziato ad interessarsi alle nature morte come genere distintivo e specifico, le sue creazioni mostravano un chiaro riferimento alla tradizione pittorica olandese, e la manifestazione di uno stile che rifletteva l’esuberanza delle sue origini latino-americane, tanto nel colore quanto nell’esaltazione completa dei volumi.
Con le nature morte l’artista rivendica qualcosa di fondamentale: più che il tema in sé, ciò che conta è soprattutto lo stile.
“Il tema è talmente poco importante che praticamente scompare. Quello che conta e che va messo in risalto in una natura morta è lo stile specifico e individuale dell’artista”. “È la capacità creativa di fare qualcosa di distintivo, che vive dentro a una persona e si plasma nel quadro in funzione di una grande emozione”.
Quinta sezione – I pastelli
Fernando Botero ha trascorso la sua vita sperimentando tutte le tecniche pittoriche. Il pastello era una di queste. Di fronte ai problemi della pittura, che non ha mai imparato, ha mantenuto la sua necessità di dipingere in modo permanente, sempre con la stessa convinzione: “L'arte deve evidenziare gli aspetti positivi della vita, nobilitare e non sminuire l'uomo”.
Sesta sezione – La religione. Oltre le convenzioni
Botero, che affermava di essere “a volte credente, a volte agnostico”, crebbe a Medellín, una città in cui l’arte era rappresentata dalle icone religiose presenti nelle chiese e nelle cattedrali e dove il clero deteneva molto potere, tanto che, per citare le sue parole, “il vescovo pareva il Papa”. Tutti questi ricordi sono rimasti impressi nella sua mente e hanno contribuito a plasmare le sue opere, come nella Nuestra Señora de Colombia (“Nostra Signora della Colombia”) o nei ritratti dei vescovi che passeggiano in boschi pieni di natura esuberante.
Come è avvenuto per le altre tematiche, il maestro colombiano si è confrontato con la religione nel corso di tutta la sua carriera traendo ispirazione dalla tradizione dell’arte sacra del Quattrocento italiano e dai grandi maestri. Partendo da essa ha realizzato le sue opere nella più completa libertà, sfidando la tradizione e le convenzioni, come si può ammirare nel celebre ritratto del “Vescovo al bagno”.
Settima sezione – Il circo
Il circo è un tema universale ed estremamente plastico. Nulla di quello che uno fa risulta eccessivo perché è sempre tutto possibile: un uomo può avere due teste, oppure può avere il volto verde o essere completamente vestito di rosso dalla testa ai piedi. Il circo è tutto questo: un meraviglioso mondo a sé.
Botero iniziò a confrontarsi con questo tema nel 2006, durante una delle visite annuali a Zihuatanejo, in Messico. Lì egli scoprì un circo che, per quanto modesto, vantava un autentico sapore latinoamericano. Durante la visita rimase colpito non solo dai personaggi, che mostravano una contenuta tristezza, ma soprattutto dall’immensa poesia e dalla plasticità delle sue forme e dei suoi colori.
Senza contare che l’esperienza gli ricordava gli spettacoli circensi a cui aveva assistito a Medellín in gioventù. Anche se nelle opere appaiono nel pieno dell’azione, gli attori del circo riflettono la serenità e la staticità proprie dei personaggi boteriani e trasmettono una sensazione paradossale, che oscilla tra il dinamismo e la staticità. I trapezisti, i pagliacci e i contorsionisti sono i protagonisti di questa serie di opere che si caratterizza per i colori, la malinconia e l’incanto poetico.
Ottava sezione – La Corrida
Tanto il circo quanto la tauromachia sono temi che, per il loro formato, il loro movimento, la loro espressività, offrono grandi libertà e possibilità plastiche perché permettono di giocare in modo sorprendente con la composizione, il colore e la luce.
Botero cominciò a realizzare raffigurazioni ad acquerello dei tori a quindici anni, copiando i manifesti delle corride, che vedeva in Plazas de Toros de la Macarena, dove suo zio l’aveva iscritto alla scuola di banderilla. Ben presto si rese conto che la professione di torero non faceva per lui ma in quell’universo colmo di colore, movimento ed emozioni scoprì la sua vocazione come pittore.
Le corride dei tori, una delle passioni della sua vita, sono state una tematica importante nel suo lavoro pittorico, che è ritornata in modo inteso agli inizi degli anni ’80 e che ha coinciso con uno dei periodi più prolifici della sua carriera di artista. Il tema è stato ripreso ripetutamente in dipinti ad olio, disegni, acquerelli, carboncini, pastelli, sanguigne e un’infinità di bozzetti, in un’incontenibile ondata di energia e creatività. La corrida e le sue numerose variazioni sono state al centro di importanti esposizioni nel corso di tutta la sua carriera: una delle più importanti, per esempio, è stata la mostra tenutasi in occasione dell’Esposizione degli Indipendenti al Grand Palais di Parigi nel novembre del 1992.
Nona sezione – La violenza
L'arte non ha il potere di produrre cambiamenti sociali o politici. Ha però il potere di perpetuare nel tempo la memoria di un episodio. Il mondo ricorda il bombardamento di Guernica durante la Guerra Civile spagnola perché Picasso lo ha dipinto. Lo stesso è accaduto con Goya e le esecuzioni del 2 maggio. L’arte serve da testimonianza che perdura nel tempo e nella memoria collettiva.
Decima sezione – Acquerelli
Botero si è cimentato con gli acquerelli nella raffigurazione della tauromachia, una sua grande passione. Questa tecnica era molto popolare in Colombia e l’artista non ha smesso mai di utilizzarla: l’ultima serie, realizzata nel 2019, è costituita proprio da una raccolta di acquerelli. In questa occasione, a differenza di quanto fatto in passato, ha realizzato tutte le opere in grande formato e su tela (piuttosto che su carta, com’era abituato). Trattati come veri e propri affreschi, con un tratto fermo e risoluto e una palette prodigiosamente sottile, questi acquerelli danno vita a un risultato di una finezza sublime. La serie affronta tutte le tematiche che hanno catturato l’interesse di Botero durante la sua vita, enfatizzando la sua prodigiosa gestione dei volumi; non solo rappresenta una reinvenzione della tecnica ad acquerello, ma costituisce una meravigliosa sintesi di tutta la sua carriera.
La mostra include anche una delle sue ultime opere, realizzata nel 2023: uno straordinario acquerello di grande formato intitolato Odalisca, un omaggio a Matisse.
Undicesima sezione – America Latina: le sue radici colombiane
“Il problema è che l’arte e l’artista devono assicurarsi che le proprie radici continuino ad affondare nella propria terra e nella propria vita: e la mia vita è sempre stata in Colombia, la mia terra è sempre stata la Colombia.
Lì la natura esuberante, l’amore, la musica, la politica, le classi del potere danno forma alla storia del paese. Nel dipingere cerco tutto questo tra i miei ricordi e lo reinvento nel mio studio, donandogli nuova vita, nuovi colori, forme esagerate. Tutto ciò che plasmo nei miei dipinti riflette un mondo conosciuto durante la mia gioventù. È una specie di nostalgia, di ossessione, che è diventato il tema centrale del mio lavoro. […] Ho vissuto per cinque anni a New York e molto a lungo anche in Europa, ma nulla è riuscito a cambiare la mia prospettiva, la mia natura e il mio spirito latino-americano. La comunione con il mio Paese è totale”. (aise)