La crisi giapponese e i suoi veleni - di Mario Lettieri e Paolo Raimondi
ROMA\ aise\ - L’eccezionale aumento del debito pubblico e privato a livello globale, in particolare negli Stati Uniti, è un’ovvia causa d’instabilità dei mercati internazionali. Se a ciò si aggiungono i rischi di guerra, allora le fibrillazioni finanziarie sono e saranno all’ordine del giorno. Le tensioni, annunciate nelle settimane scorse sono esplose da Est a Ovest, colpendo tutte le borse.
Il crollo della borsa giapponese, però, richiede un’analisi un po’ più approfondita e specifica.
Lunedì ha perso quasi il 13% che si combina con altri precedenti scossoni tanto che il Nikkey di Tokyo ha perso un quarto del valore rispetto al livello del mese precedente.
La principale spiegazione di chiama “carry trade”. Per più di dieci anni la banca centrale giapponese ha mantenuto il tasso d’interesse allo 0%. I big della finanza internazionale, anche giapponese, ne hanno approfittato e hanno preso dei prestiti in yen presso la banca centrale con i quali, attraverso il moltiplicatore del leverage, hanno comprato degli asset, titoli di vario tipo, in qualsiasi parte del mondo occidentale in altre monete, soprattutto in dollari, che garantivano un interesse più alto e quindi un maggiore profitto. Molto più spesso di quanto si possa pensare, i crediti in yen sono stati usati per operazioni altamente speculative. Con il leverage, la leva finanziaria, il capitale di base viene usato per operazioni finanziarie di dieci, persino di cento volte più grandi con effetti discorsivi sul mercato.
Simili attività sono state fatte anche negli Usa e in Europa nel periodo in cui la Fed e la Bce avevano ridotto a zero il tasso d’interesse. La differenza è che il Giappone ha garantito la “stabilità” del tasso zero per oltre un decennio.
È dalla metà degli anni novanta che la banca centrale giapponese tiene bassi i tassi con l’intento di rilanciare l’economia. Nel 2006 è arrivata perfino al tasso negativo. Il meccanismo del carry trade in yen ebbe un ruolo negativo anche nella grande crisi finanziaria del 2008.
Secondo i dati pubblicati dalla Banca dei regolamenti internazionali di Basilea i crediti transfrontalieri denominati in yen delle banche a fine marzo 2024 erano equivalenti a 2.200 miliardi di dollari, con un aumento del 52% rispetto al livello di fine 2021. Di questi, circa mille miliardi fanno parte delle citate operazioni di carry trade.
La settimana scorsa, però, la Bank of Japan ha portato il tasso di base allo 0.25%. L’attesa dell’aumento seguita dalla decisione della banca centrale ha fatto sì che anche il valore dello yen crescesse tanto che lo Yen Currency Index, l’indicatore del valore dello yen rispetto alle altre valute, è aumentato del 10% in due settimane.
Ciò ha indotto gli operatori finanziari a vendere alcuni dei loro asset e comprare yen per ripagare i prestiti presi. La domanda di yen naturalmente tende a far lievitare il suo valore, stimolando lo stesso processo. La caduta di ben 225 punti del Nikkey di lunedì è la più grande dal noto black Monday crash del 1987.
Con i carry trade si possono fare grandi profitti in modo facile. Il rovescio della medaglia è, però, che essi possono rapidamente trasformarsi in grandi perdite se la valuta in cui si è preso in prestito aumenta di valore o se quella in cui si è investito diminuisce di valore. Ciò perché si avranno rendimenti inferiori e costerà di più riconvertire il denaro nella valuta in cui si è preso in prestito per estinguere il debito.
Quando si presenta la necessità di liquidare alcuni asset per coprire i buchi, il rischio è di provocare dei crash. Inoltre, quando la crisi del carry trade si manifesta in rapporto ad una specifica moneta, essa tende a replicarsi anche su altre monete usate per simili operazioni. Infatti, si sono già manifestate tensioni sul carry trade in franchi svizzeri.
Essendo la finanza internazionale globalmente interconnessa, ogni crisi si riverbera sull’intero sistema. Infatti, tutte le borse ne hanno pesantemente risentito. Tutti i possibili rimbalzi non risolveranno il problema di fondo.
Interessante è notare che il bitcoin ha perso subito il 16%. Com’è noto, le cripto valute sono spesso usate per operazioni speculative. (mario lettieri*-paolo raimondi**\aise)
*già sottosegretario all’Economia
**economista