La guerra di Trump contro la Fed - di Mario Lettieri e Paolo Raimondi

ROMA\ aise\ - Quale progetto si cela dietro la recente nomina di Stephen Miran nel Board dei governatori della Federal Reserve da parte del presidente Trump? È tutto nel paper “Reform the Federal Reserves governance to deliver better monetary outcomes” (Riformare la governance delle Riserve Federali per ottenere risultati monetari migliori) presentato lo scorso fine anno da Daniel Kazt e dallo stesso Stephen Miran per ispirare e guidare la politica economica trumpiana.
Nel frattempo Trump ha nominato Katz a capo dello staff del Ministero del Tesoro e Miran a presidente del Consiglio dei consulenti economici della Casa Bianca. Come noto, Miran è anche l’autore del cosiddetto Accordo di Mar-a-Lago, una sorta di bibbia per l’idea di Trump di rilanciare le manifatture americane attraverso la svalutazione del dollaro e massici dazi nei confronti di tutti gli altri Paesi.
Sebbene ci siano delle critiche fondate verso l’operato della Fed, esse non possono essere utilizzate per dare al Presidente americano un potere quasi dittatoriale di comandare anche tutti i settori monetari e finanziari della cosiddetta prima economia del mondo.
È una tendenza già in atto. Per esempio, la nuova legge, l’Anti-CBDC Surveillance State Act, e anche un Executive order presidenziale proibiscono alla Fed di creare una moneta digitale. Inoltre, la banca centrale non ha la possibilità di decisione e di controllo su tutto ciò che ha a che fare con le criptomonete e con le stablecoin.
Negli Usa il Federal Reserve System fu creato nel 1913 dopo una serie di eventi di panico finanziario. In sintesi funziona così. Il Board della Fed (7 membri) viene scelto dal Presidente Usa e approvato dal Senato e poi esso nomina il governatore centrale. Vi sono anche 12 Reserve Banks regionali con vari ruoli e specifiche responsabilità. I loro azionisti sono in maggioranza dei privati, banche e fondi, che eleggono 6 dei 9 membri dei board di ognuna delle Reserve Banks.
Vi è poi il Federal Open Market Committee (FOMC) formato dal governatore della Fed, dai sette membri del Board e dalle 12 Federal Banks (oltre a quella di New York, solo 4 hanno il diritto di voto a rotazione). Esso decide, tra l’altro, il tasso d’interesse base, le iniziative per il controllo dell’inflazione e per massimizzare l’occupazione, l’acquisto e la vendita di bond del Tesoro e l’eventuale creazione di nuova liquidità.
Sotto gli slogan di “nazionalizzazione e federalismo” e “maggiore democrazia e trasparenza” si propone che le dirigenze delle Reserve Banks regionali siano scelte dai governatori degli Stati americani coinvolti e che, tecnicamente, esse abbiano la maggioranza di voto nelle regolari riunioni del FOMC.
La riforma parte con una serie di denunce, anche condivisibili, di taluni comportamenti della Fed negli ultimi decenni. Per esempio, gli acquisti di asset su larga scala dopo la crisi finanziaria del 2008, che hanno distorto l'allocazione del credito nell'economia; gli eccessivi accomodamenti monetari (i Quantitative easing); il liquidare l'inflazione incipiente come "transitoria"; il tasso zero prima e poi il suo repentino rialzo. Tutte decisioni che hanno contribuito all’eccesivo indebitamento della Fed, al calo dei redditi reali e all'inflazione più alta degli ultimi quattro decenni.
Gli estensori trumpiani del paper affermano che la Fed è diventata, di fatto, un grande partito politico che si intromette in tutte le faccende della politica e dell’economia, in particolare nelle politiche fiscali che spettano al Ministero del Tesoro
Ma il vero contenuto della riforma è l’esautorizzazione della Fed relegandola a un ruolo veramente marginale. Essa prevede che la Banca centrale sia esclusa da funzioni ritenute non di politica monetaria, come la regolamentazione e la supervisione bancaria, il collocamento e il razionamento del credito e le politiche di risposta a eventuali crisi. Tutto questo, e molto altro, in quanto facente parte delle funzioni fiscali dell’Esecutivo sarebbe supervisionato direttamente da persone nominate dal Presidente.
E ancora, nel caso in cui il Presidente degli Stati Uniti dichiarasse un'emergenza finanziaria, il vicegovernatore della Fed con l’incarico della supervisione, per la risposta alla crisi assumerà l'autorità per tutti i programmi e per qualsiasi altro acquisto di attività diverso dagli obblighi del governo federale. Nell'esercizio di tale autorità, il vice governatore dovrebbe riferire direttamente al Presidente americano.
Inoltre, i membri dei board della Fed e delle Reserve Banks regionali dovrebbero essere rimovibili a piacimento e a discrezione del Presidente “per garantire la loro responsabilità nei confronti del processo democratico e al fine di assicurare l'allineamento con il corretto disegno costituzionale”. È la fine della cosiddetta indipendenza della banca centrale. (mario lettieri* e paolo raimondi**\aise)
*già sottosegretario all’Economia **economista