La messa in sicurezza del voto all’estero al centro della Plenaria Cgie

ROMA\ aise\ - Per corrispondenza o nei seggi consolari o ancora digitale. L’importante è la messa in sicurezza del voto all’estero, che è un “valore, ma anche un dovere”, come ha ricordato il segretario generale del Cgie, Maria Chiara Prodi, aprendo la seconda giornata di plenaria alla Presidenza del Consiglio.
Ospiti del dibattito Saverio D’Auria, professore di fisica sperimentale, che ha presentato una interessante analisi storica delle criticità e delle proposte di soluzione per il sistema esistente di voto all’estero, e il professore informatico Stefano Quintarelli, che, in collegamento video, ha offerto la sua analisi tecnico-scientifica rispetto a scenari futuri del voto in VTC.
Al di là delle “criticità” emerse in passato per via di un sistema imperfetto che ha portato a episodi, più o meno gravi, di brogli elettorali, “il voto all’estero ha dato voce a chi non l’aveva, ha aumentato la partecipazione degli italiani temporaneamente all’estero e degli emigrati stabili che non avevano mai esercitato il voto”, ha osservato D’Auria. Storicamente, ha proseguito, “le falle di sistema sono state poche”, come dimostrano i referendum, per i quali non sono stati mai denunciati tentativi di brogli, una pratica, ha spiegato, che pure è “insita nel sistema di legge elettorale perché legata alle preferenze all’interno di uno stesso partito”.
Quali sono allora le maggiori criticità emerse in questi anni? Intanto vi è una disparità tra Consolati che hanno da gestire oneri diversi in termini di plichi: se dalle Maldive arrivano infatti 10 plichi, vi sono città come Londra e Buenos Aires da cui se ne contano 150mila. Dai Consolati i plichi vengono poi smistati in ordine casuale e assegnati, in un numero che varia da 600 a 800, alle sezioni di scrutinio e qui c’è un primo problema: spesso il numero dei plichi contati è inferiore a quelli assegnati secondo la Magistratura che si occupa di questa fase del voto. C’è poi il “pericolo oggettivo di manomissione dei verbali”, se lasciati incustoditi: nel 2007 alcuni furono addirittura “trafugati”. Sempre in sede di scrutinio spesso, per guadagnare tempo, si evita di controllare l’effettiva corrispondenza del numero contenuto nel plico rispetto all’elenco del Consolato, procedura, questa, che serve proprio per trovare eventuali schede false ed evitare brogli.
In quest’ultimo caso le schede potrebbero essere false perché stampate in loco oppure potrebbero essere vere, ma rubate dalla posta altrui o acquistate dietro compenso. È accaduto nel 2006, 2008, 2013 e 2018, ha ricordato D’Auria, ed è stato possibile verificare i brogli per la presenza in concentrazioni anomale delle preferenze truccate negli stessi seggi. Quanto alle schede false, a differenza dei referendum, le schede per le elezioni politiche vengono stampate localmente e nei Paesi esteri non sono né coperte da copyright né risulta essere reato perseguibile richiedere alla tipografia di stamparne altre.
Quali le possibili soluzioni? Per D’Auria “il voto elettronico – e anche con lo Spid – pre suppone un’alfabetizzazione informatica che pochi hanno”; inoltre non evita un “vulnus di principio”, ossia che l’elettore sia stato influenzato o aiutato a votare o che venda il suo voto, laddove non vi sia un furto di identità. Si tratta però in questi casi, ha assicurato il professore, di “dati pochi rilevanti ai fini del risultato finale del voto”.
Per D’Auria “l’unica soluzione che rende il voto personale, libero e segreto” è il voto presso un seggio. Certo, votare nelle sedi consolari sarebbe scomodo quando non impossibile per chi vive a grande distanza dalle stesse: in questi casi D’Auria ha proposto l’uso del “metodo misto”, garantendo a questi connazionali il voto per corrispondenza. In tal caso però sarebbe necessario stampare le schede elettorali in Italia, usando metodi anti contraffazione, e – perché no? - con inversioni dell’opzione, per cui decide di votare solo chi è veramente interessato a farlo.
Ha “sposato in toto” l’intervento di D’Auria anche Stefano Quintarelli, che, nella sua veste di professore di sicurezza informatica, ha confermato: “per ragioni tecniche il voto on line non può garantire l’integrità, la libertà e la segretezza del voto” e che “l’unica soluzione è il voto al seggio”. Tanto più se si guarda ai dati che, sebbene risalenti a una decina di anni fa, offrono un quadro piuttosto impressionante: l’84% degli elettori all’estero, oltre 3 milioni, è concentrato in 43 città in un’area di 20 km attorno ad una sede diplomatico-consolare, con una maggiore concentrazione nelle città di Germania, Svizzera e Argentina, ha riferito Quintarelli. Per il restante 16% si potrebbe mantenere il voto per corrispondenza.
Nei seggi si potrebbe addirittura optare per le “Voting Machines”, che si usano ad esempio negli Stati Uniti: si tratta di sistemi di voto “molto robusti” perché utilizzano l’elettronica non solo per raccogliere e immagazzinare i voti, ma anche, in caso di anomalie, per riconteggiare le schede. Si tratta però di sistemi piuttosto cari e meno diffusi di quanto si pensi.
E qui la plenaria è venuta al punto: come ha sottolineato la segretaria generale Prodi, l’obiettivo è trovare un “equilibrio tra razionalizzazione e costi”, nella consapevolezza che “non esiste niente di più complesso che assicurare la sicurezza fuori dai territori nazionali”.
Se n’è discusso con i due ospiti ai quali i consiglieri hanno potuto rivolgere le loro domande, esprimendo eventuali perplessità sui dati presentati.
Il consigliere Romagnoli (Belgio) ha lamentato la mancanza di attenzione rispetto al luogo a cui per prime vengono affidate le schede votate: i Consolati. Qui sarebbe utile la presenza di rappresentanti di lista “per tutta la durata del voto”, come pure sarebbe auspicabile che i Consolati stessi comunicassero quante schede sono state loro consegnate.
Sul voto digitale si è concentrato Morello (Argentina), per il quale la sicurezza potrebbe essere garantita con i metodi di criptaggio, con la doppia identificazione dell’elettore e inviando il voto a tre data base contemporaneamente: Consolati, Farnesina e Viminale. Per il consigliere non sarà comunque ipotizzabile l’uso di un solo metodo di voto.
I consiglieri di nomina governativa Vecchi (Pd) e Cretti (Fusie) hanno espresso le loro perplessità sui dati statistici riportati da Quintarelli, il quale si è detto disponibile ad un nuovo controllo degli stessi.
Per Ricciardi (Svizzera), intervenuto anche in qualità di deputato eletto all’estero, “non esiste un sistema perfetto”, ma soprattutto “la sicurezza ha un costo”. Il consigliere ha dunque chiesto una stima di spesa rispetto alle ipotesi avanzate. Ha sollevato inoltre la questione della stampa delle schede anche per il voto all’estero presso il Poligrafico dello Stato.
“Siamo alla ricerca del voto migliore o di quello che costa meno?” è stata la domanda provocatoria di Ferretti (Ugl), che si è detto “contrario” al voto elettronico.
D’accordo con i due esperti intervenuti in plenaria il consigliere Boccaletti (Lega): “sì”, allora, al voto in seggio, lasciando a quel 16% di elettori “più isolati” il voto per corrispondenza.
Zaccarini (FdI) ha chiesto se sia funzionale apporre “un bollino delle poste dello Stato sulla scheda”; mentre Ciavaglia (Cgil) e Petruzziello (Brasile) hanno sollevato i casi in cui il voto viene annullato perché il certificato elettorale non viene inserito correttamente insieme alla busta piccola nella busta grande del plico.
C’è poi chi, come il consigliere Carmignani (Francia), ha ipotizzato lo spoglio delle schede direttamente in Consolato.
Gazzola (Argentina) ha ricordato l’importanza della formazione dei presidenti di seggio e degli scrutatori; e Canepa ha lamentato la mancanza di aggiornamento delle liste elettorali, per cui sono numerosi gli elettori ormai deceduti a cui continuano ad arrivare i plichi elettorali.
Devalle, presidente del Comites di Johannesburg, ospite della plenaria, ha evidenziato il caso del Sud Africa dove, a causa di un “servizio postale inesistente” i plichi sono consegnati da un “vettore privato”. Con quale criterio viene scelto?
Per assicurare l’identità dell’elettore, il consigliere Gargiulo ha proposto di inserire nel plico del voto per corrispondenza una copia del dcoumento di identità, che pure va esibito al seggio.
Infine Arcobelli (Usa) è tornato sul problema delle liste elettorali e sul mancato allineamento dei dati del Ministero dell’Interno con quelli, “più accurati”, del Ministero degli Affari Esteri.
È seguita la replica dei due esperti.
Quintarelli ha chiarito che “il voto al seggio non basta”, ma “è un pre requisito per alzare il livello di sicurezza”. Ad esse va affiancato un maggiore controllo al momento degli scrutini e dei verbali; ecco perché, ha aggiunto, “le voting machines possono essere utili”, visto che hanno delle “soglie automatiche per far scattare le verifiche”.
Quanto al voto on line, per Quintarelli “ha un grande problema”: “è un atto di fede totale a chi ha sviluppato il sistema” e la sua “alterazione” ha “un effetto globale, estremamente più delicato”, oltre ad avere di per sé “un problema di identificazione”.
Quanto al bollino sulla scheda di voto, l’esperto ha escluso questa e altre ipotesi simili se le schede vengono tutte stampate dal Poligrafico, con numerose e funzionali misure di sicurezza. E senza che il costo sia necessariamente più elevato, ha confermato D’Auria, che ha a sua volta chiarito altri diubbi emersi fra i consiglieri.
Come la presenza dei rappresentanti di lista in Consolato: utile, ma non necessario, visto che “storicamente” i Consolati hanno svolto un “buon lavoro” nella raccolta e nell’invio delle schede in Italia.
Gli stessi Consolati non possono però, allo stato attuale, provvedere allo spoglio: nel “vuoto del potere”, quando le Camere sono sciolte e si vota per eleggere il nuovo Parlamento e il nuovo Governo, il controllo delle procedure è affidato alla Magistratura. È dunque la Corte d’Appello ad occuparsi di emergenze presso le sezioni scrutinanti e se queste fossero all’estero tutto si complicherebbe. Il problema è dunque “più legale che organizzativo”.
Quanto invece all’errore del singolo elettore che non inserisce tagliandi e certificati nel mondo corretto all’interno del plico, per D’Auria andrebbe “salvaguardata la volontà dell’elettore”. In questo caso tutto dipende dai presidenti di seggio, che spesso non tengono conto dell’errore e il voto è salvo. “Scottante” resta comunque il tema della loro formazione, fermo restando che, come da legge, in fase di spoglio possono essere affiancati dai rappresentanti di lista.
Venendo alle anagrafi elettorali e al loro mancato aggiornamento, D’Auria ha spiegato che il legislatore ha tenuto conto di questo “vulnus” assegnando alla circoscrizione estero una proporzione maggiore tra eletti e bacino di elettori e dunque un numero inferiore di rappresentanti in Parlamento. E con loro la plenaria ha continuato a confrontarsi sul voto all’estero... (r.aronica\aise)