Papa Francesco: debelliamo la piaga dell’antisemitismo

ROMA\ aise\ - “Costruiamo insieme un mondo più fraterno, più giusto, educando i giovani ad avere un cuore aperto a tutti, nella logica della fraternità, del perdono e della pace”. Alla vigilia della Giornata della Memoria delle vittime dell’Olocausto, con cui si commemorano oggi gli ottant’anni dalla liberazione del campo di concentramento di Auschwitz, Papa Francesco ha rinnovato il suo “appello affinché tutti collaborino a debellare la piaga dell’antisemitismo, insieme ad ogni forma di discriminazione e persecuzione religiosa”.
“L’orrore dello sterminio di milioni di persone ebree e di altre fedi avvenuto in quegli anni non può essere né dimenticato né negato”, ha ribadito Bergoglio al termine dell’Angelus di ieri, 26 gennaio, in piazza San Pietro, ricordando “anche tanti cristiani, tra i quali numerosi martiri”.
“L’Evangelista Luca in questa domenica ci presenta Gesù nella sinagoga di Nazaret, il paese dove era cresciuto”, ha illustrato il Santo Padre a fedeli e pellegrini raccolti sotto la finestra del palazzo Apostolico. “Gesù legge il passo del profeta Isaia che annuncia la missione evangelizzatrice e liberatrice del Messia e poi, nel silenzio generale, dice: “Oggi questa Scrittura si è realizzata” (cfr Lc 4,21)”.
“Immaginiamo la sorpresa e lo sconcerto dei concittadini di Gesù, i quali lo conoscevano come il figlio del falegname Giuseppe e non avrebbero mai immaginato che Egli potesse presentarsi come il Messia”, ha riflettuto Bergoglio. “È stato uno sconcerto. Eppure è proprio così”, ha ribadito: “Gesù proclama che, con la sua presenza, è giunto “l’anno di grazia del Signore” (v. 19). È il lieto annuncio per tutti e in modo speciale per i poveri, per i prigionieri, per i ciechi, per gli oppressi, così dice il Vangelo (cfr v. 18)”.
“Quel giorno, a Nazaret, Gesù pose i suoi interlocutori di fronte alla scelta sulla sua identità e missione”, ha proseguito Francesco. “Nessuno, nella sinagoga, poté fare a meno di interrogarsi: Lui è soltanto il figlio del falegname che si arroga un ruolo che non gli appartiene, oppure è veramente il Messia, inviato a salvare il popolo dal peccato? L’Evangelista ci dice che i nazaretani non riuscirono a riconoscere in Gesù il consacrato del Signore. Pensavano di conoscerlo troppo bene e questo, invece di facilitare l’apertura della loro mente e del loro cuore, li bloccava, come un velo che oscura la luce”.
Quindi, rivolgendosi alle sorelle e ai fratelli in ascolto, il Papa ha osservato: “questo avvenimento, con le dovute analogie, succede anche per noi oggi. Anche noi siamo interpellati dalla presenza e dalle parole di Gesù; anche noi siamo chiamati a riconoscere in Lui il Figlio di Dio, il nostro Salvatore. Ma può capitarci, come allora ai suoi compaesani, di pensare che noi lo conosciamo già, che di Lui sappiamo già tutto, siamo cresciuti con Lui, a scuola, in parrocchia, al catechismo, in un Paese di cultura cattolica… E così per noi è una persona vicina, anzi, “troppo” vicina. Ma proviamo a chiederci: avvertiamo l’autorità unica con cui parla Gesù di Nazaret? Riconosciamo che Lui è portatore di un annuncio di salvezza che nessun altro può darci? E io mi sento bisognoso di questa salvezza? Sento che anch’io in qualche modo sono povero, prigioniero, cieco, oppresso? Allora, solo allora, “l’anno di grazia” sarà per me!”, ha concluso rivolgendosi “fiducioso a Maria, Madre di Dio e Madre nostra, perché ci aiuti a riconoscere Gesù”.
Al termine dell'Angelus, Papa Francesco ha rivolto il suo pensiero al conflitto in corso in Sudan che, “iniziato nell’aprile 2023, sta causando la più grave crisi umanitaria nel mondo, con conseguenze drammatiche anche nel Sud Sudan”. Bergoglio si è detto “vicino alle popolazioni di entrambi i Paesi”, invitandole “alla fraternità, alla solidarietà, ad evitare ogni sorta di violenza e a non lasciarsi strumentalizzare”. Ha rinnovato poi “l’appello alle parti in guerra in Sudan affinché cessino le ostilità e accettino di sedere a un tavolo di negoziati” e ha esortato “la comunità internazionale a fare tutto il possibile per far arrivare gli aiuti umanitari necessari agli sfollati ed aiutare i belligeranti a trovare presto strade per la pace”.
Infine una preghiera per la Colombia, per la quale il Papa ha espresso la propria “preoccupazione”, in particolare nella regione del Catatumbo, dove “gli scontri tra gruppi armati hanno provocato tante vittime civili e più di trentamila sfollati. Esprimo la mia vicinanza a loro e prego”, ha concluso. (p. di dionisio\aise)