Torino celebra i Macchiaioli

Vincenzo Cabianca, Paesaggio toscano, 1865 circa, Olio su tela, Collezione privata

TORINO\ aise\ - “La mostra sui Macchiaioli a Torino ha un taglio particolare perché si concentra sulla nascita della pittura en plein air e sul confronto con la Francia, non con gli Impressionisti, che sono stati successivi alla macchia, ma con la scuola di Barbizon che, invece, è stata la radice comune tra Macchiaioli e Impressionisti, ma anche la realtà che ha dato ai Macchiaioli la certezza di essere sulla strada giusta nella ricerca sul vero che ha cambiato l’arte dell’800”. Così la storica dell’arte Simona Bartolena ha introdotto la mostra “I Macchiaioli e la pittura en plein air tra Francia e Italia”, di cui è curatrice, in occasione della presentazione alla stampa che si è svolta il 2 febbraio al Museo Nazionale d’Artiglieria al Mastio della Cittadella di Torino.
La mostra, prodotta da Navigare Srl e patrocinata da Regione Piemonte e Città di Torino, presenta al pubblico sino al 1° aprile circa 90 opere di 30 artisti tra italiani e francesi, con dipinti ad olio e acquerelli, e segue una suddivisione tematica per raccontare l’evoluzione della pittura macchiaiola nata a Firenze nel 1855.
“Le opere, tutte provenienti da collezioni private, sono state scelte per raccontare il rapporto nuovo con il plein air, con la pittura della realtà intesa come paesaggio ma anche di genere e di vita quotidiana”, ha spiegato Bartolena. “Sono tutte poco viste e poco visibili, perché custodite in abitazioni private, ma rappresentano la macchia più sincera, più istintiva e più vera, quella che evidenzia molto bene ciò che i Macchiaioli volevano dire con la loro ricerca”.
Indipendenti, precursori, rivoluzionari, i giovani si riunirono a Firenze a metà ‘800 attorno al Caffè Michelangelo in un movimento artistico che fu fondamentale per la nascita dell’arte moderna.
Tra le opere in esposizione, si distinguono quelle legate alla scuola francese di Barbizon e realizzate da Troyon, Rousseau, Daubigny, Dupré, Millet e Corot. La presenza di artisti d’Oltralpe insieme agli italiani come, tra gli altri, Fattori, Cabianca, Signorini, De Tivoli e Boldini, intende evidenziare lo stretto rapporto che i giovani artisti italiani instaurarono con l’arte francese. In un dialogo seminale per la nascita della pittura impressionista, sia pure inizialmente osservata con senso critico da alcuni Macchiaioli, si instaurò un diverso modo di fare arte, attraverso una rivoluzione tecnico-stilistica in cui la luce e il colore diventano i riferimenti principali, insieme alla scelta antiaccademica della pittura en plein air.
La mostra, suddivisa in 10 temi, propone una rilettura del movimento della Macchia, articolando un percorso che racconta la sua evoluzione nel contesto europeo e italiano, i suoi rapporti con il realismo della pittura en plein air della scuola francese di Barbizon, quelli con i paesaggisti della scuola napoletana, in mostra rappresentati in particolare dai fratelli Giuseppe e Filippo Palizzi e, ancora, i rapporti con la Scuola di Rivara, in Piemonte, dove la Casa Reale dei Savoia incentivava la pittura paesaggistica di cui capostipite fu Antonio Fontanesi, anch’egli presente in mostra a Torino.
Gli altri temi dell’esposizione si soffermano anche sull’arte della caricatura alla quale si dedicarono i giovani artisti del Caffè Michelangelo di Firenze, il primo caffè letterario della città toscana, nato in pieno fermento risorgimentale nel 1848. Il percorso espositivo dà l’opportunità di ammirare diverse opere caricaturali, come quelle di Telemaco Signorini, Angiolo Tricca, Eugenio Cecconi e Vito D’Ancona, per citarne alcuni.
La mostra si conclude con le opere realizzate dagli eredi artistici dei Macchiaioli, tra i quali Adolfo, Angiolo e Ludovico Tommasi, Silvestro Lega e i fratelli Francesco e Luigi Gioli, la cui eco arriverà sino alle generazioni successive.
IL PROGETTO ESPOSITIVO
Il progetto espositivo torinese curato da Simona Bartolena si realizza, come detto, in 10 tematiche, corrispondenti ognuna a un punto focale della storia della pittura macchiaiola.
1. La grande rivoluzione della pittura en plein air, tra Francia e Italia: il confronto con la Francia: la scuola di Barbizon
La scena artistica francese del XIX secolo è notissima, mentre l’Ottocento italiano è ancora poco raccontato. Fondamentale per la nascita della pittura moderna italiana, il movimento macchiaiolo si relaziona a quello impressionista francese e dà un prezioso contributo alla nascita della pittura “del vero dal vero”, soprattutto in relazione al tema del paesaggio e alla pittura di genere. Alla metà dell’Ottocento, infatti, la pratica di dipingere all’aria aperta scorci di campagna o momenti di vita quotidiana è sempre più diffusa e supera i confini imposti dalla tradizione accademica, acquisendo una nuova coscienza di sé. Partendo dall’esempio del cenacolo artistico di Barbizon – che prendeva il nome da una località ai margini della foresta di Fontainebleau, e fu meta privilegiata dei pittori interessati al tema del paesaggio e della vita nelle campagne – molti artisti intravedono la possibilità di un cambiamento ancor più radicale: tra questi artisti rivoluzionari i Macchiaioli hanno un ruolo da protagonisti. Nel 1855 molti artisti italiani visitano a Parigi la sezione di Belle Arti dell’Esposizione universale. Tra questi ci sono anche Serafino De Tivoli, Vito D’Ancona e Saverio Altamura, legati agli ambienti in cui nascerà la pittura macchiaiola. Ad attrarre la loro attenzione sono soprattutto le opere realizzate dai pittori di Barbizon. I barbizonniers stavano introducendo delle importanti novità nella pittura di paesaggio, rinnovando un tema fino ad allora ben poco considerato negli ambienti culturali cittadini, proponendo paesaggi suggeriti dall’esperienza dal vero, dipinti en plein air (sebbene poi rifiniti in studio), realizzati in una profonda comunione con la natura, anticipando futuri sviluppi della pittura, fino all’Impressionismo.
2. La pittura di paesaggio e la scoperta del plein air in Italia
L’Italia non aveva conosciuto in epoca romantica l’importante sviluppo della pittura di paesaggio che aveva interessato invece Francia, Inghilterra e Germania; il genere paesaggistico veniva, anzi, spesso considerato come “un mezzo per ingannare le ore di ozio”. Il tema del paesaggio diventa, invece, oggetto di studio e approfondimento per quei giovani artisti che intendono ribellarsi alle norme accademiche e ai codici dell’arte ufficiale. Tra i primi a dedicarsi a questa pratica ci sono alcuni pittori dell’area partenopea, zona nella quale il paesaggio, nelle sue forme moderatamente realiste, era apprezzato anche a livello accademico. Quella napoletana, infatti, era stata la prima Accademia della penisola ad istituire la cattedra di paesaggio. In Piemonte da tempo la casa reale incoraggiava la produzione di paesaggi e vedute. Ma la vera svolta arriverà dal 1861, quando Torino è capitale del Regno. Nasce proprio in questi anni la cosiddetta Scuola di Rivara, che ebbe come indiscusso capostipite un pittore fondamentale per l’evoluzione della pittura di paesaggio in Italia: Antonio Fontanesi, tra i primi pittori italiani a superare il concetto romantico di paesaggio. Aggiornatosi sulla pittura di Camille Corot e di Daubigny, ma anche del meno noto François-Auguste Ravier, Fontanesi non ha un approccio verista. I suoi paesaggi sono sempre poetici, lirici, testimoni di un rapporto quasi spirituale con la natura. Le sue composizioni, profondamente evocative, prevedono spesso una figura solitaria in un ambiente naturale, personificazione di uno stato d’animo meditativo, di malinconica ma quieta immersione nel paesaggio.
3. Caricaturisti e caricaturati al Caffè Michelangiolo
Per tutto il XIX secolo e buona parte di quello successivo, i Caffè hanno un ruolo importante nell’evoluzione della cultura europea. Luoghi di ritrovo di artisti e intellettuali, essi sostituiscono le aule dell’accademia, sempre meno frequentate e vissute. Firenze, città culturalmente molto attiva, ha vari Caffè. Il Caffè Michelangelo, in via Larga (l’attuale via Cavour) è quello preferito da artisti e intellettuali d’avanguardia. Gli incontri al Michelangelo sono occasioni preziose per parlare, discutere, e confrontarsi sulle novità provenienti da oltralpe. La serie di caricature esposta in mostra, con i ritratti dei frequentatori del Caffè e vari personaggi che ne caratterizzano gli ambienti, offre una straordinaria galleria di ritratti e caratteri e l’opportunità di scoprire una faccia diversa e meno nota della ricerca degli artisti del movimento macchiaiolo. Tra i più notevoli caricaturisti del tempo va citato Angiolo Tricca.
4. Le origini della ricerca macchiaiola: cos’è la macchia
Nel 1854 nasce la cosiddetta Scuola di Staggia, fondamentale nella genesi della pittura macchiaiola. Località a poche decine di chilometri da Firenze, Staggia diventa la sede di un piccolo cenacolo di artisti, uniti dal comune interesse per la pittura di paesaggio. L’esperienza di Staggia ha costituito il preludio delle successive sperimentazioni del gruppo macchiaiolo. Rientrati dal soggiorno parigino, De Tivoli e colleghi introducono al Michelangelo nuovi temi di discussione. Anche chi non è mai stato in Francia ha l’opportunità di confrontarsi con i grandi maestri francesi visitando alcune importanti collezioni private del territorio intorno a Firenze. Ma le occasioni di dialogo con la scena parigina sono anche altre: in quegli anni soggiornano a Firenze Edgar Degas e Edouard Manet. Le ricerche dei due francesi presentano non poche affinità con le coeve prove dei pittori del Michelangelo. La grammatica della Macchia affonda le radici in questo humus. Forti dei racconti trasmessi dagli amici artisti che avevano visitato Parigi, ma anche delle ricerche del gruppo di Staggia, i pittori del gruppo del Caffè Michelangelo cominciano a credere in un rinnovamento. Il rifiuto (per “eccessiva valenza di chiaroscuro”) di due opere di Telemaco Signorini alla Promotrice del 1856 agisce come ulteriore sprone all’azione. Per queste tele egli si guadagna la nomea di “effettista” e “macchiaiuolo”: la rivoluzione macchiaiola è cominciata e ha preso coscienza di sé. Alle origini della nuova tecnica c’è l’esigenza di trovare uno strumento adeguato alla restituzione delle “impressioni del vero” nel dipinto. La macchia nasce, dunque, come strumento per ritrarre la realtà. Un mezzo per riprodurre gli effetti di luce e i contrasti tonali di un soggetto ritratto dal vero. La tecnica deriva da una prassi storicamente diffusa anche negli ambienti accademici, come studio dei valori luministici, cromatici e compositivi di una scena da tradurre poi in un’opera compiuta. La novità sta nel valore che questi artisti le attribuiscono: non più un momento di passaggio ma lo stadio finale del dipinto. In opposizione al modello accademico, che vede nella perfezione dell’opera l’essenza della sua bellezza, i macchiaioli propongono dipinti che agli occhi di critica e pubblico paiono studi preparatori, bozzetti, quadri non finiti.
5. Il paesaggio en plein air
Nel dibattito sulla pittura di paesaggio la posizione assunta dai macchiaioli diventa subito fondamentale anche per il loro approccio al plein-air. I pittori del Michelangelo escono a dipingere all’aria aperta, “a lavorare al sole”, insieme, inseguendo un raggio di sole su un muro bianco e andando “in frenesia” alla vista del “bianco dei panni sul fondo grigio o verde” di un “bucato steso”. Il ruolo del plein air ha un valore sostanziale soprattutto nella prima fase della genesi della pittura di macchia, quando le giornate all’aperto, in campagna, nei vicoli di Firenze, sulle coste toscane e liguri e nei villaggi del territorio sono determinanti per la messa a punto e l’esplorazione delle possibilità della nuova tecnica. La ricerca macchiaiola, interrottasi momentaneamente nel 1859 per le vicende di guerra, rifiorisce agli inizi degli anni Sessanta con nuovo vigore. Nel 1861 muore il padre di Diego Martelli, il critico d’arte sostenitore dei Macchiaioli, eredita i possedimenti di famiglia sulla costa livornese, a Castiglioncello, che diventa il quartier generale estivo del gruppo; in inverno, invece, si spostano a Piagentina.
6. L’occhio e l’obiettivo fotografico
Accanto all’uso spericolato e sperimentale del plein air, nella rivoluzione macchiaiola si affianca anche un altro elemento fondamentale: la conoscenza della nuova arte della fotografia. Nella seconda metà dell’Ottocento, in tutta Europa, i rapporti tra pittura e fotografia sono assai complessi e articolati, con vicendevoli contaminazioni e riflessioni comuni destinate a diventare fondamentali per i futuri sviluppi delle arti visive. L’ambiente più evoluto e fertile per la sperimentazione fotografica in Italia era, a quel tempo, quello romano, al quale si rivolsero per aggiornarsi in tal senso anche i pittori macchiaioli. Anche Firenze conosce in quegli anni un sensibile sviluppo della nuova arte, grazie alla presenza dei Fratelli Alinari e di altri fotografi, quali il bavarese Anton Hautmann, attivo in città alla fine degli anni Cinquanta. Quando i macchiaioli inaugurano le loro sperimentazioni pittoriche hanno a disposizione un ricco catalogo di vedute e paesaggi e soggetti affini a quelli da loro ritratti, ed è fuori di dubbio che essi si avvalgano anche di queste fonti iconografiche. Il rapporto tra macchiaioli e fotografia costituisce uno strumento fondamentale di osservazione e analisi dei contrasti tra luce e ombra, della costruzione dei volumi e delle masse di un soggetto e di un’idea compositiva innovativa e fuori dagli schemi accademici. Molti macchiaioli, come ad esempio Cristiano Banti e Vincenzo Cabianca, si cimentano anche personalmente nella fotografia, scattando loro stessi immagini alle quale ispirarsi per i loro dipinti.
7. Il soggetto storico e letterario
Alla metà del secolo, in Italia, la pittura di soggetto storico si trova in una fase di transizione. Dopo i fasti romantici, si fanno strada nuove tendenze. Per una artista della metà dell’Ottocento le tematiche storico- letterarie costituiscono un campo su cui è impossibile non confrontarsi; diversi possono essere, però, le modalità con esse vengono interpretate. I pittori del Michelangelo si avvicinano al tema di storia classico con una mentalità modernissima, del tutto simile a quella con cui lo affrontano alcuni colleghi d’oltralpe. L’esito di queste ricerche è molto evidente nei bozzetti preparatori, dipinti con stesura rapida, a macchie di colore giustapposte, ma emerge anche in alcune opere finite. Nelle opere a soggetto storico-letterario risulta inoltre chiaro il rapporto, complesso e sfaccettato (certo non risolvibile con la semplificazione dell’antagonismo tra due fazioni opposte), dei macchiaioli con gli ambienti accademici e, soprattutto, con quelli puristi, nei quali alcuni di loro si erano formati in gioventù. I macchiaioli dichiarano il loro rispetto per i classici, ma ribadiscono la necessità di non considerarli unica fonte di ispirazione. Numerose sono le opere a soggetto storico o letterario firmate dai pittori del gruppo, soprattutto nei primi anni delle loro ricerche. Alcune fanno riferimento a episodi particolari, altre, invece, sono semplici pretesti per indagare l’effetto di una o più figure in un ambiente, spostando l’ambientazione nel passato, quasi ad assecondare una pratica accademica dalla quale era difficile emanciparsi del tutto.
8. Il lavoro nei campi e la scena di vita quotidiana
I macchiaioli eliminano ogni residuo romantico, ogni religiosità nel contatto con la natura ancora presenti nei barbizonniers. La sobrietà della loro interpretazione emerge anche nelle opere a tema sociale, nelle quali prevalgono toni asciutti, poco inclini al sentimento: un’istanza vicina al pensiero positivista che pone nuovamente i macchiaioli al centro di un dibattito europeo molto aggiornato e attuale. I pittori macchiaioli non ignoravano le tendenze socialiste sempre più diffuse in Europa. Nelle loro opere, però, l’aspetto dell’impegno sociale manca quasi completamente, non solo perché i tempi in Italia non sono ancora maturi per una trattazione politica (e polemica) attraverso l’arte, ma anche perché l’interesse degli artisti del movimento è concentrato sulla tecnica, sulla resa del dato reale attraverso il colore, sul modo di catturare nel dipinto il baluginare di un raggio di luce, sulle masse cromatiche, sulle giustapposizioni di chiari-scuri. Una contadina, una monaca, un soldato in uniforme, una signora con l’ombrellino hanno per lo sguardo dei macchiaioli lo stesso peso e assolvono al medesimo ruolo, squisitamente compositivo e pittorico.
9. L’evoluzione della macchia
Secondo Telemaco Signorini l’avventura macchiaiola poteva dirsi conclusa già alla fine degli anni Sessanta, quando l’entusiasmo dei primi anni di ricerca comincia a scemare e la coesione del gruppo comincia a scricchiolare, lasciando spazio alle singole personalità. Anche Firenze è entrata in crisi: la città non è più capitale e progressivamente ne paga le conseguenze economiche e culturali. Negli anni Settanta è cambiata profondamente anche la scena artistica europea. In Francia cominciano a farsi sentire le sperimentazioni dei giovani impressionisti, e ovunque sta mutando il gusto. Al naturalismo schietto e severo proposto dai pittori della realtà, quali i macchiaioli erano, si comincia a preferire una lettura del vero più edulcorata, nella quale riemerge il senso della narrazione, dell’aneddoto, della piacevolezza. Dalla fine degli anni Sessanta, il gruppo dei macchiaioli lentamente si disgrega; pur mantenendo tra loro, con poche eccezioni, buoni rapporti di amicizia.
10. Gli eredi
In generale, i maestri macchiaioli avevano guardato l’Impressionismo con un certo sospetto, con buona pace dei tentativi di pacificazione del loro critico e teorico di riferimento, Diego Martelli, che si era impegnato nel tentativo di instaurare un possibile dialogo tra i due mondi. Anche chi era più avvezzo alle novità, come Telemaco Signorini, si esprimeva dubbioso sulla diffusione del nuovo linguaggio. All’Impressionismo si preferisce Cézanne, che presto diventerà un riferimento imprescindibile per molti giovani pittori. Se Silvestro Lega era disposto a considerare con interesse qualche novità proveniente da oltralpe, ben più ostile fu Giovanni Fattori, totalmente avverso al dilagante fenomeno dell’Impressionismo. Il rapporto con le nuove generazioni si dibatte proprio tra la fedeltà alla tradizione della Macchia e il confronto con le novità francesi. Tra i tavoli del Michelangelo sono passati pittori poi destinati a carriere importanti, con successi raccolti anche all’estero: Giovanni Boldini, ad esempio, ma anche Giuseppe de Nittis. I macchiaioli sono diventati modelli da emulare per una schiera di giovani artisti pronti a tradurre le istanze della macchia in nuovi contesti. Già negli anni Ottanta del XIX secolo artisti quali Niccolò Cannicci, i Tommasi e i fratelli Gioli seguivano l’esempio dei vecchi padri del movimento, in particolare di Telemaco Signorini, Silvestro Lega e Giovanni Fattori, destinati a diventare i tre veri capisaldi della pittura di macchia. Questa prima generazione di emuli ammorbidisce il rigore della Macchia e apre le porte a un naturalismo edulcorato, molto in voga a livello internazionale. Il cenacolo di Barbizon è lontano. Ora, piuttosto, si guarda al naturalismo sentimentale ed edulcorato di Jules Breton e JulesBastien-Lepage. Nonostante queste derive, inevitabili, la lezione macchiaiola resta il punto dipartenza per moltissimi artisti delle generazioni successive: da Plinio Nomellini a Ulvi Liegi, da Guglielmo Micheli a Llewelyn Lloyd, da Giovanni Bartolena a Mario Puccini, da Oscar Ghiglia ad Amedeo Modigliani. (aise)