Voto all’estero: il Cgie si confronta – e scontra – con il Parlamento

ROMA\ aise\ - È stato approvato a maggioranza, non prima di un dibattito serrato e non senza polemiche e qualche “tentato” colpo di scena, l’Ordine del Giorno presentato dalla III Commissione Diritti Civili, Politici e Partecipazione del Cgie. Al centro di tutto la messa in sicurezza del voto all’estero, tema a cui la plenaria riunita a Roma presso la sede della Presidenza del Consiglio ha dedicato tutti i lavori di questa mattina.
Dopo l’intervento dei due esperti Saverio D’Auria e Stefano Quintarelli, che all’assemblea hanno fornito numerosi e interessanti spunti di riflessione, il presidente e il segretario della III Commissione, rispettivamente Ciavaglia e Carmignani, hanno illustrato il documento da cui è scaturito poi l’Ordine del Giorno approvato, contenente proposte per rendere più sicuro, libero e segreto l’attuale sistema di voto all’estero per le politiche e i referendum; non senza una importante modifica. Il Cgie ha chiesto infatti che il testo venga “sottoposto all’immediata attenzione dei deputati e senatori, nonché delle commissioni parlamentari preposte”, perché abbia il giusto seguito.
Una modifica condivisa, alla quale però si è arrivati, come detto, dopo un acceso confronto, anche con i parlamentari presenti in sala.
Alla base di tutto le misure indicate nel documento della III Commissione.
Per garantire la “trasparenza” del voto, il Cgie propone che la stampa delle schede avvenga in Italia, a cura del Poligrafico dello Stato, per poi inviarle alle sedi diplomatico-consolari, con l’apposizione di un timbro ad acqua.
L’invio dei plichi elettorali agli elettori è a carico delle sedi diplomatico-consolari, alle quali è chiesto di usare la lettera raccomandata nei Paesi in cui le poste non funzionano.
Una volta che gli elettori avranno votato e restituito agli uffici consolari i plichi elettorali, questi dovranno essere custoditi, insieme ai plichi non recapitati, in uno spazio “esclusivo” in modo da “garantirne l’inviolabilità” fino all’inoltro all’Ufficio centrale per la Circoscrizione Estero.
Quanto alla tracciabilità e corretta identificazione dell'elettore, il documento propone l’uso di un codice a barre o QR code sui plichi e di appositi lettori ottici nei seggi per assicurarsi che l’elettore non abbia già votato.
Il Cgie chiede anche la possibilità di scrutinare presso le rappresentanze diplomatiche.
Infine introduce la possibilità del “voto al seggio”, come nel caso delle elezioni europee, fermo restando che il voto per corrispondenza sia garantito nei casi in cui l’elettore risieda a una distanza troppo elevata dal seggio elettorale.
Nell’ordine del giorno si parla infine di una adeguata campagna informativa, che non si riduca al periodo pre-elettorale, ma che sia “offerta con continuità”.
Tutte misure “migliorative” che però rischiano di restare “lettera morta”, come ha sottolineato il vicesegretario Stabile (Spagna) se non ci sarà un confronto con i rappresentanti in Parlamento. Per questo Stabile ha chiesto di inserire esplicitamente nel documento la richiesta di un intervento legislativo per la modifichi della legge sul voto all’estero.
La parola è passata dunque ai parlamentari: presenti in sala gli onorevoli Fabio Porta, Andrea di Giuseppe, Toni Ricciardi e il senatore Francesco Giacobbe.
Già senatore, che sul tema della sicurezza del voto ha “maturato un’esperienza sul campo” senza eguali, visto che fu proprio lui nel 2018 vittima di brogli, Fabio Porta (PD), oggi deputato, non ha “ricette infallibili”. Per il parlamentare italobrasiliano dalla discussione odierna “è emersa la conferma che non esiste il voto perfetto”; ma una “certezza” c’è: questo “è un tema non più rinviabile”. Per questo Porta ha invitato i colleghi parlamentari a lavorare insieme, nel Comitato per gli italiani nel mondo o in un gruppo di lavoro ad hoc, con l’obiettivo di “avere una proposta entro l’anno”.
Secondo Porta “il voto on line non è affidabile”, anche se la macchina diplomatico-consolare “non è al riparo da errori”, anche “gravi”, come dimostra il caso Venezuela dell’ultimo referendum. “Uno dei maggiori brogli” della storia è avvenuto nel 2008 proprio all’interno di un Consolato, quello di Buenos Aires, dove furono scoperti 120 mila plichi in più.
Se “nessuno è immune”, allora occorre confrontarsi “con molta serietà”. Fabio Porta crede nel sistema misto: il voto ai seggi e per corrispondenza hanno, per il deputato, “le caratteristiche per rispondere in maniera seria sia al tema dell’unicità e segretezza del voto sia a quello dell’efficacia e della trasparenza”.
Partendo da questa base e dai suggerimenti contenuti nell’odg della III Commissione si potrà ragionare e portare alle Giunte delle elezioni di Camera e Senato una relazione che prepari il terreno per una nuova legge del voto all’estero.
“La riforma si farà”. Non ha dubbi Andrea di Giuseppe e per il deputato di FdI “nelle prossime elezioni il voto postale non ci sarà più”. Lo ha detto chiaro e tondo alla plenaria nel corso di un intervento che non ha mancato di scatenare secche repliche.
Per il parlamentare, che ha scartato anche l’idea del voto misto, “si sarebbe potuto predisporre un documento meno referenziale e più di lavoro concertato”. Se ci fosse stata una “interlocuzione con noi parlamentari, avremmo potuto lavorare su una via più strategica per un obiettivo condiviso, al di là delle sfumature di bandiera”, ha aggiunto, sottolineando che “quando si parla di proposte legislative” a decidere è “la maggioranza parlamentare”.
Immediata è stata la replica della segretaria generale Prodi, la quale ha ricordato al deputato di FdI che, in occasione dell’ultimo Comitato di presidenza che si è svolto in presenza alla Farnesina, il Cgie ha scritto a tutti i gruppi parlamentari, invitandoli a discutere, ma da Andrea di Giuseppe “non abbiamo avuto risposta”.
A di Giuseppe ha risposto anche il collega del PD Toni Ricciardi: “ci batteremo con tutti gli strumenti democratici” per arrivare ad una modifica della legge in Parlamento, ma un governo non può arrogarsi il “diritto di stabilire le regole del gioco”. È giusto, per Ricciardi, riconoscere che “il Cgie si sta attivando e sta dando le risposte alle domande richieste”, attraverso il confronto di idee anche diverse, “compiendo un esercizio che si chiama democrazia”.
Proprio dal dibattito in plenaria sono emerse, secondo il deputato PD, alcuni elementi da cui partire: dal “vulnus delle liste elettorali” non allineate di Farnesina e Interno al difficile equilibrio tra soluzione migliore e minor costo che definirà la futura proposta di legge. Per il voto ai referendum, secondo quanto ha riferito il Ministero degli Affari Esteri, i Consolati hanno speso intorno ai 50/55 milioni di euro. “Il Cgie deve pretendere che ci siano adeguate risorse per l’espletamento di un diritto fondamentale che è il diritto di voto”, ha concluso.
Ha difeso il ruolo del Cgie e il suo interfacciarsi con la politica anche il senatore PD Francesco Giacobbe, che ha puntato il dito su due assenti eccellenti: “dove sono le Commissioni Affari Costituzionali, che si occuperanno di questa materia? È lì che bisogna andare a spiegare come stanno le cose e come la pensiamo”. Quanto al tipo di voto che si adotterà in futuro, Giacobbe non ha “certezze”, ma ha invitato a “partire dalla fonte”: bisogna aggiornare le anagrafi, quella consolare e quella dei Comuni, incrociando all’occorrenza anche i dati Inps, per far sì che tutti gli aventi diritto possano votare. Giacobbe ha infine assicurato che eserciterà “il massimo della pressione” per avere “risorse e istruzioni chiare”.
“Cominciamo da ora a trovare i modi per consultarci con vero interesse” è stato l’invito della vice segretaria Mangione (Usa), che ha aperto gli interventi dei consiglieri non senza ricordare i “sette anni di lotte per il voto all’estero” e non senza replicare al deputato Di Giuseppe e alla sua “sollecitazione “informale” al dialogo”: per parlare “bisogna essere in due”.
Per l’altro vice segretario Merlo (Argentina) il voto per corrispondenza “così com’è non regge più” e quello che consentirebbe di “evitare la maggior quantità di brogli” è un sistema misto tra seggi e voto per posta, ma, ha aggiunto, “solo con l’inversione dell’opzione”.
Ancora dal tavolo del CdP è intervenuto Gazzola (Argentina), che si è detto d’accordo con Stabile sulla necessità di inserire una modifica all’odg per chiedere “un intervento legislativo che modifichi la legge sul voto”. Allo stesso tempo Gazzola ha espresso i suoi “dubbi” sul voto in seggio, che escluderebbe dal voto chi risiede lontano dalle sedi consolari.
Per Lodetti (Cisl) “i seggi sono invece una “possibilità reale”, laddove il voto elettronico risulta essere “il più problematico”. Ad ogni modo il Cgie ha “lavorato sull’esistente” e ha prodotto le sue “indicazioni” che, a fine plenaria, potrà consegnare alla politica.
Per la consigliera Spadafora (Olanda) il voto in seggio è “sicuramente prioritario”. Contraria invece al voto telematico, visto che, ha spiegato, “nonostante sia un Paese estremamente digitalizzato”, anche in Olanda si vota ancora nei seggi, “il che la dice lunga”.
Ha sollevato nuovamente il caso dei plichi consegnati a gente ormai deceduta la consigliera Alciati (Brasile). “Presentare l’atto di morte di un familiare ha un costo, quindi la maggior parte delle persone non informa i Consolati dei decessi”, ha osservato, “quindi le nostre liste saranno perennemente disallineate”.
“Il compito del Cgie è quello di esprimere pareri e fare proposte. Noi non facciamo le leggi”. È intervenuto con chiarezza Giangi Cretti (Fusie) nel dibattito scatenato dall’intervento del parlamentare di FdI. Il Cgie non è nuovo al confronto politico, ha ricordato Cretti. Con “saggezza” i parlamentari hanno sempre frequentato le plenarie per “ascoltare le nostre proposte e, se lo ritengono, tradurle poi in atti concreti della loro attività parlamentare. Questo è il percorso”. Quanto all’odg “tutti noi vorremmo andare sulla Luna, ma ci hanno dato la bicicletta. Tutti noi vorremmo i seggi, ma evidentemente non è possibile” perché mancano i fondi. Meglio allora “mettere insieme proposte che pongano rimedio a una distorsione che non fa bene al voto all’estero” e “migliorare la situazione”.
Ancora più diretta è stata la vice segretaria generale Prodi: “Dispiace se si sono perse occasioni - non per colpa nostra - nei mesi precedenti”. Ora però “noi abbiamo un documento su cui la III Commissione ha lavorato” e che, se approvato, e “i nostri interlocutori dovranno prendere in conto perché la legge istitutiva lo prevede”. Insomma, “il Cgie pretende che i propri impulsi siano ascoltati”, ha chiosato. “Noi chiediamo di essere presi sul serio e basta”.
Al momento del voto dell’odg il vice segretario Stabile ha insistito perché venisse integrata nel testo la “richiesta specifica e formale a sollecitare il parlamento su una proposta di modifica del voto” e, al termine di un confronto tra i consiglieri, l’assemblea ha dato il via libera al documento con 34 voti a favore e 10 astenuti. (r.aronica\aise)