Bellunesi nel mondo/ Perché se ne vanno? Analisi dei fattori che spingono i giovani italiani a espatriare – di Simone Tormen

BELLUNO\ aise\ - “L’Italia non è un Paese per giovani. E così i giovani se ne vanno. In vent’anni il nostro Paese ha perso oltre un quinto dei residenti tra i 15 e i 35 anni, passati da 16,1 milioni nel 2002 a 12,7 milioni nel 2023. Così ci troviamo ultimi in Europa per incidenza di under 35 sulla popolazione (17,4%, contro la media Ue del 19,4%). A rilevarlo il rapporto “Giovani 2024: il bilancio di una generazione” realizzato dal Consiglio Nazionale dei Giovani e dall’Agenzia Italiana per la Gioventù, con il supporto scientifico di EU.R.E.S. Ricerche Economiche e Sociali”. Ne scrive Simone Tormen su “Bellunesi nel mondo”, mensile dell’omonima associazione diretto da Dino Bridda.
“La causa di questo svuotamento non è da ricercare solo nell’emigrazione. Pesa, infatti, anche un fattore come il calo della natalità, reso di anno in anno sempre più evidente dai dati Istat. Però le partenze verso l’estero incidono in maniera netta, soprattutto quelle dei laureati, tanto che – attesta sempre il report “Giovani 2024” – “la fuga di cervelli si manifesta in modo preoccupante”, con quasi 18 mila giovani laureati che hanno optato per l’espatrio nel 2021, un aumento del 281% rispetto al 2011, quando a fare le valigie erano stati 4.720.
Laureati che, peraltro, in Italia sono già pochi rispetto ai livelli nel contesto europeo.
“Se il tema delle alte competenze è sempre più centrale nei processi di innovazione e nella competitività tra sistemi – si legge nel rapporto – colpisce particolarmente come in Italia l’incidenza dei laureati nella fascia 25-34 anni (29,2%) risulti fortemente inferiore alla media europea (42%) e lontanissima da quella dei paesi più virtuosi quali l’Irlanda (62,3%), il Lussemburgo (61%), i Paesi Bassi (56,4%), la Svezia (52,4%) e il Belgio (51,4%)”.
LE RAGIONI DELL’ESPATRIO
Ma perché i ragazzi lasciano l’Italia? Quali sono gli elementi che li spingono oltre confine? Questioni a cui “Giovani 2024” sembra dare delle risposte quando evidenzia che il lavoro dei giovani è sempre più instabile e discontinuo. Che le loro retribuzioni, soprattutto nel settore privato, sono basse. Che l’inflazione si sta mangiando il potere dei salari reali. Che le preoccupazioni legate all’ingresso nel mondo del lavoro dominano il panorama giovanile.
Criticità a cui si aggiungono la distanza delle istituzioni e la sordità della politica, con le nuove generazioni a soffrire una crisi di rappresentatività e addirittura un crollo della rappresentanza.
Andiamo con ordine.
LAVORO PRECARIO E DISCONTINUO
A dominare il mondo del lavoro per come ne hanno esperienza i giovani sono precariato e discontinuità. In una parola: incertezza. Non solo. Complicano le cose gli stipendi. “Le basse retribuzioni dei giovani nel settore privato – spiegano Consiglio Nazionale dei Giovani e Agenzia Italiana per la Gioventù - rappresentano una problematica significativa. Nel corso del 2022, la retribuzione lorda media annua dei giovani dipendenti del settore privato (15-34 anni) si è fermata a 15.616 euro, rispetto ai 22.839 euro complessivamente rilevati nel settore”.
La situazione è migliore nel comparto pubblico (retribuzione lorda media annua di 23.253 euro nel 2022). “Tuttavia – precisa il rapporto - nonostante un incremento nominale delle retribuzioni dal 2018, sia nel settore privato sia in quello pubblico, considerando l’inflazione si registra una diminuzione del potere d’acquisto, con una variazione negativa delle retribuzioni reali pari al -1,7% nel privato e al -7,5% nel pubblico”.
FANNULLONI?
Sempre in tema di lavoro, i giovani (in particolare le ragazze) appaiono preoccupati, oltre che dalla precarietà e dalla sottoretribuzione, anche dalle prospettive di ricatti, molestie o vessazioni. Interessante, inoltre, il quadro che emerge rispetto a quella che potremmo sbrigativamente definire “la voglia di fare” dei giovani. Quasi quotidianamente, infatti, alcuni media fanno da megafono alle lamentele di benevoli imprenditori che non riescono a trovare dipendenti perché – dicono – i giovani di oggi sono dei fannulloni. In realtà, la preoccupazione di dover lavorare nei giorni festivi o in orari notturni viene riscontrata solo nell’8,6% degli under 35. E solo il 13,8% non sarebbe disposto a trasferirsi in un’altra regione o in un altro Paese per trovare impiego.
SCARSA ATTENZIONE
Se questo è il quadro, cosa fa la politica per migliorare le cose? Poco. Così poco che i giovani sembrano quasi non contare nulla per chi deve decidere. E in effetti è così. Innanzitutto perché la diminuzione della popolazione giovanile ha “drasticamente ridotto l’elettorato giovane”, passato dal 30,4% del 2002 al minimo storico del 21,9% nel 2022. Ma ancor di più perché i giovani sono molto meno presenti nelle stanze del potere (l’età media dei parlamentari eletti nell’attuale legislatura è di 51,2 anni, quella del governo – il terzo più vecchio della storia repubblicana - è poco sotto i 60 anni).
“Il taglio dei parlamentari – rileva il report “Giovani 2024” - ha colpito quasi esclusivamente gli under 35, con un drastico calo dei giovani eletti, che tra il 2018 e il 2022 hanno subìto un decremento dell’80%, passando da 133 a 27, determinando un’influenza sempre minore dei più giovani”.
E SCARSA SENSIBILITÀ
Non stupisce, quindi, che i giovani italiani percepiscano “un forte senso di alienazione dalle istituzioni”, viste come “inefficaci nel rispondere alle loro esigenze”. Ecco spiegato, almeno in parte, anche il dato sui più alti livelli di astensionismo tra i ragazzi: 42,7% di non votanti alle ultime elezioni politiche, contro il 36,1% rilevato dal Ministero dell’Interno per l’intero elettorato.
“Solo il 12% - prosegue il rapporto - esprime un giudizio positivo sulla sensibilità delle istituzioni verso le problematiche giovanili e per l’85% del campione il livello di attenzione politica nei confronti dei giovani è inadeguato”. Una percezione che migliora (giudizio “sufficiente” nell’indice di fiducia) se si guarda all’Unione europea. Insomma, questi alcuni dei fardelli che influenzano negativamente la qualità della vita e le aspettative future di ragazzi e ragazze nella nostra società, rendendo accidentato il loro percorso.
Meglio allora tradurre al più presto in azioni concrete lo slogan, abusatissimo ma solo a parole, “Largo ai giovani”. Prima che i giovani prendano il largo”. (aise)