Bellunesi nel mondo/ Perché se ne vanno? I motivi degli espatri in un report di Fondazione Nord Est – di Simone Tormen

BELLUNO\ aise\ - “È vero, non di solo pane vive l’uomo. Ma quando da soppesare ci sono da una parte stipendi più alti e maggiori opportunità professionali e dall’altra una buona qualità della vita e una ricca offerta culturale e artistica, i giovani italiani tendono a preferire il primo piatto della bilancia. È quanto emerge, in estrema sintesi, da un’indagine realizzata dalla Fondazione Nord Est in collaborazione con la Regione Veneto. L’obiettivo era provare a comprendere le dinamiche sottese alle partenze che ogni anno portano migliaia di connazionali a lasciare il Paese. L’analisi è recentemente sfociata in un libro intitolato “I giovani e la scelta di trasferirsi all’estero. Propensione e motivazione””. A scriverne è Simone Tormen su “Bellunesi nel mondo”, mensile dell’omonima associazione diretto da Dino Bridda.
I NUMERI DELLA FUGA
Lo spunto da cui tutto ha avuto il via è l’osservazione dei dati: dal 2011 al 2021, 451mila italiani tra i 18 e i 34 anni hanno fatto le valige e si sono trasferiti all’estero. Qualcuno è rientrato, ma il saldo migratorio tra espatri e ritorni è risultato negativo per oltre 300mila persone (-317.042). Il periodo della pandemia di Covid (biennio 2020- 2021) ha visto un rallentamento dell’emigrazione giovanile, poi ripresa ai ritmi prepandemici.
“Nel 2022 e nel 2023 – sottolinea la Fondazione - quasi 100mila giovani italiani hanno lasciato il Paese, mentre solo poco più di 37mila sono rientrati. Nel periodo 2011-23 (tredici anni) il totale delle cancellazioni anagrafiche per l’estero sale a 550mila, contro 172mila iscrizioni (rientri), per un saldo negativo di 378mila persone”. Valori che andrebbero peraltro triplicati, vista la sistematica sottostima del fenomeno dovuta al fatto che spesso chi espatria non si iscrive all’Aire1 e continua a risultare residente in Italia.
IL RIMPIAZZO CHE NON C’È
Altro aspetto messo in luce dallo studio della Fondazione, focalizzandosi, su questo fronte, nel contesto del Nord Italia, è la difficoltà ad attrarre stranieri qualificati. Basta guardare i numeri degli “scambi” con le sei principali mete della nostra attuale emigrazione, Regno Unito, Germania, Svizzera, Francia, Belgio, Paesi Bassi: per ogni giovane cittadino di questi Paesi che sceglie di trasferirsi nel Nord Italia, più di sette giovani italiani residenti nel Settentrione fanno il percorso inverso.
“In un mondo che parla di “caccia ai talenti” o di brain circulation - punta il dito il report - il Nord Italia, solitamente lodato per attrattività rispetto al Mezzogiorno, si presenta come una bottiglia senza tappo, orientata verso il basso. In dieci anni è infatti raddoppiata la quota di laureati sul totale di chi va via ed è aumentata di diciassette punti percentuali quella dei diplomati”.
Non sufficiente a compensare lo svuotamento e la conseguente perdita di capitale umano l’immigrazione di giovani da Paesi extra Ue “per via del differente livello di istruzione”.
PERCHÉ PARTONO?
Sulla base di queste premesse, il centro studi ha voluto scavare più a fondo nelle motivazioni che spingono i giovani ad andarsene dal Settentrione (l’area più ricca del Paese) ma anche in quelle che portano altri a rimanere. Per farlo ha messo in piedi una doppia indagine demoscopica (fatta di sondaggi, interviste mirate e focus group2), raccogliendo opinioni e valutazioni di persone tra i 18 e i 34 anni, da tutto il Nord, che hanno deciso di emigrare o che al contrario hanno scelto di restare.
Il confronto tra le risposte fornite permette di farsi un’idea sul perché delle partenze.
Rispetto ai giovani rimasti, per esempio, chi è espatriato considera il proprio futuro più ricco di opportunità e maggiormente frutto del proprio impegno. Tra chi non ha (ancora) fatto le valigie, un fattore che potrebbe far cambiare idea è la percezione di una mancanza di meritocrazia, unita alla carenza di occasioni di crescita professionale. Questi sono risultati gli aspetti che più spingerebbero coloro che vivono qui ad andarsene. Stesso discorso per l’apertura internazionale, giudicata scarsa. E così un giovane su tre residente nel Nord Italia immagina il proprio futuro prossimo, ossia in un orizzonte di tre anni, lontano dall’Italia, proprio perché il mondo al di fuori del nostro Paese viene visto come più ricco di opportunità di carriera.
Sono invece valutati positivamente da entrambi i gruppi la qualità della vita (soprattutto il servizio sanitario e il sistema universitario) e l’offerta culturale e artistica dell’Italia, tra i pochi elementi che invoglierebbero gli emigrati a un ritorno. Elementi tra i quali spicca su tutti la famiglia, spinta primaria a un eventuale viaggio di rientro. Eventuale, perché solo il 16% degli espatriati afferma di immaginarsi in Italia nei prossimi tre anni, “così creando nel Settentrione – il commento di Fondazione Nord Est - un vuoto di capitale umano, potenziale innovativo, di crescita e di sviluppo economico e sociale difficilmente colmabile”.
RISORSE SPRECATE
A questa perdita in termini di abilità e competenze va ad aggiungersi la dispersione di denaro che gli addii all’Italia da parte dei laureati comporta sul fronte degli investimenti in istruzione (pubblici e delle famiglie) compiuti fino al conseguimento del titolo universitario. Per il Veneto, ad esempio, l’ammontare è stimato in circa novecento milioni di euro nel solo biennio 2021-2022. Cifra che sale a 12,5 miliardi considerando il periodo dal 2011 al 2023. Risorse andate a beneficio di altri Paesi capaci di valorizzare meglio i talenti che noi formiamo”. (aise)