Bellunesi nel mondo/ Samuele Tacchini: Da Villa di Villal al Royal Conservatoire Antwerp - di Simone Tormen

BELLUNO\ aise\ - “Quando aveva dieci anni, una zia gli regalò una tastierina giocattolo. Un passatempo da bambino che - chi poteva immaginarlo? - avrebbe impresso una direzione decisiva alla sua vita, dando il la al suo sogno. “Con quella tastiera ci passavo davvero un sacco di ore, così i miei genitori decisero di comprarmi uno strumento più serio e mi proposero di prendere delle lezioni. Iniziai all’Arte Nuova di Zottier. All’inizio non ero così appassionato, se uno non è figlio di musicisti, entrare nell’ottica di studiare musica non è semplice, ma col tempo ho compreso la bellezza di ciò che stavo facendo e ho deciso di continuare con perseveranza”. Oggi, a 26 anni, Samuele Tacchini frequenta un Master al Royal Conservatoire Antwerp”. Ad intervistarlo è stato Simone Tormen per “Bellunesi nel mondo”, mensile dell’omonima associazione diretto da Dino Bridda.
“In Belgio ci è arrivato dopo il Conservatorio in pianoforte classico a Castelfranco Veneto. Determinante, per il suo trasferimento nelle Fiandre, un Erasmus nel 2022, durante il corso accademico di secondo livello a Castelfranco. “Mi ha spinto il mio maestro Giovanni Umberto Battel, al quale devo moltissimo”.
La realtà belga lo ha colpito, convincendolo che quello era il posto giusto. “E vorrei continuare a rimanerci, o al massimo dividermi tra qui e l’Italia”.
D. Cosa ti ha impressionato della tua esperienza in Erasmus?
R. Vedere come vengono trattate in Belgio le figure degli artisti, musicisti compresi. Qui sono valorizzate come meritano. Mi sono detto che se fossi rientrato in Italia avrei fermato tutto quello che potevo trarre di positivo da questa situazione. Rispetto all’Italia c’è un’enorme differenza di mentalità e cultura, anche in ragione dell’educazione scolastica. In Belgio si cresce con più sensibilità verso l’arte in generale e questo crea un terreno fertile per avere generazioni consce dell’importanza della cultura. In senso più pratico, in Belgio c’è maggiore attenzione da parte dello Stato nei confronti di arte e cultura. E questo è curioso perché noi, per fare solo degli esempi, siamo la patria dell’opera e il pianoforte è stato inventato da Bartolomeo Cristofori, padovano. Eppure ci siamo dimenticati di queste cose. In Italia, nel mio settore, mancano finanziamenti. In Belgio, anche uno studente può presentare domanda per ricevere una sovvenzione. Ci sono fondi sia del Governo fiammingo sia dell’Unione europea. C’è più interesse a sostenere i musicisti e a farli crescere. Un’altra differenza la si può riscontrare negli stipendi degli insegnanti, o in come vengono pagate le performance. Sono cose che fanno riflettere.
D. Com’è il mondo della musica visto da un addetto ai lavori?
R. Un po’ a due facce: da un lato c’è tanta empatia tra studenti e tra colleghi, per la consapevolezza che la disciplina è impegnativa. Dall’altro c’è anche tanta competizione. È un mondo ristretto, ma con molte persone che vi si affacciano. Questo, però, è anche il bello della cosa, perché in questo modo si è stimolati a non smettere mai di imparare.
D. Come ti trovi ad Anversa?
R. La prima cosa che ho notato arrivando e che mi ha impressionato è stata la differenza architettonica: nel Nord Europa gli edifici si sviluppano in altezza e in profondità, con strutture strette, alte e profonde. Per il resto, è un ambiente molto internazionale, abituato al viavai di persone che vengono da posti e realtà diverse. Un esempio che può sembrare banale è legato alla lingua: anche gli anziani parlano perfettamente l’inglese, cosa difficile da trovare in Italia. L’internazionalità è marcata anche al di fuori della sfera musicale. Si viene in contatto con tante realtà diverse e questi scambi permettono di vivere più da vicino la complessità della realtà odierna. Qui c’è tanta passione per gli italiani. La gente è ospitale, ma sempre un po’ distaccata, fredda, quindi a volte mi gioco proprio la carta dell’italianità: se dici che sei italiano si aprono di più. Forse è anche un senso di gratitudine per quanto fatto dagli italiani protagonisti della vecchia emigrazione in Belgio. Tanti forse comprendono che se oggi stanno bene lo devono anche agli italiani emigrati nel secolo scorso. Il meteo è un po’ grigio. Una cosa che mi ha colpito sono le giornate molto corte d’inverno e molto lunghe d’estate. È anche un bellissimo posto se sei appassionato di birre e cioccolato, ambiti nei quali hanno una notevole tradizione e una varietà enorme. Quindi anche l’aspetto culinario mi ha fatto scoprire cose diverse.
D. Cosa ti manca della tua terra?
R. La natura. Noi bellunesi siamo fortunati da questo punto di vista. Mi manca essere in mezzo al verde, avere le montagne. Te ne rendi conto quando sei senza. Qui ci sono parchi cittadini, ma non è la stessa cosa. A Belluno, anche solo camminando per strada, puoi sentire il profumo della natura. Quando torno in provincia vedo dov’è il Pizzocco, dov’è il Visentin, e mi oriento subito. Ad Anversa è tutto più piatto e uniforme. Poi mi manca ovviamente la famiglia. A volte c’è un po’ di nostalgia, ma d’altronde, non sono in guerra e sono contento dell’esperienza che sto facendo.
D. Hai avuto altre esperienze all’estero?
R. Come musicista classico è necessario partecipare a tanti concorsi per vincere tournée, borse di studio, concerti, concorsi anche internazionali che ti permettono di viaggiare. Andando in Belgio mi sono reso conto di quanto sia importante girare per costruire un bagaglio professionale e personale. Ho fatto esperienze ad Alicante, in Spagna. Ho avuto l’opportunità di fare un corso sulla musica contemporanea all’Accademia Lituana di Musica e Teatro di Vilnius, dove ero l’unico italiano. Poi sono stato selezionato per l’International Vienna Piano Competition di quest’anno, farò un concorso in due prove al Musikverein di Vienna, dove si tiene il famoso Concerto di Capodanno.
D. Per il futuro, quali sono le tue prospettive?
R. Fare il pianista solista, ma mi piacerebbe anche insegnare, o suonare con delle formazioni di musica da camera, ed esplorare il mondo avanguardistico della musica contemporanea.
D. Un consiglio ai più giovani?
R. In generale, andare fuori dalla propria realtà di nascita, anche se non è facile e non sempre è possibile, per ragioni economiche e perché è necessario fare dei sacrifici. Spostarsi, magari anche non definitivamente, per allargare gli orizzonti. Non perché da noi vada tutto male, ma perché si può avere di più dalla vita andando a conoscere altre realtà. Nella musica, consiglio di avere pazienza. La strada è molto lenta, servono tanta disciplina e tanta dedizione. Non bisogna pensare di ottenere tutto subito, però il sacrificio e l’impegno alla fine pagano. E poi essere consapevoli che per diventare un bravo musicista non basta solo saper suonare bene: bisogna essere coraggiosi, anche sfacciati nell’andare a cercarsi le opportunità. Bisogna spintonare se si vuole emergere. Il musicista alla fine vende se stesso, quindi è fondamentale sapere comunicare con gli altri. Serve un po’ di intelligenza sociale”. (aise)