Ciao Magazine/ Alessio Figalli: la matematica è in continua evoluzione – di Stefania Del Monte

© ETH Zürich / Giulia Marthaler, immagini cortesia di Alessio Figalli

ROMA\ aise\ - “Romano, classe 1984, Alessio Figalli è considerato uno dei matematici più brillanti della sua generazione. Dopo il liceo classico “Vivona” a Roma e la Scuola Normale Superiore di Pisa, ha iniziato una carriera internazionale che lo ha portato a Parigi, ad Austin (Texas) e infine al Politecnico di Zurigo, dove oggi è professore ordinario. Si occupa di calcolo delle variazioni ed equazioni alle derivate parziali, e ha dato contributi fondamentali alla teoria del trasporto ottimale. I suoi studi hanno cambiato profondamente diversi settori della matematica pura e applicata, con ricadute importanti anche in campi come la fisica, la finanza e l’ingegneria”. Ad intervistarlo è stata Stefania Del Monte per il suo “Ciao magazine”.
“Figalli vuole far capire anche ai non esperti l’utilità e la bellezza della matematica. Spiega, con esempi concreti, come questa disciplina possa aiutare ad affrontare sfide globali – dal cambiamento climatico all’intelligenza artificiale – o a risolvere problemi pratici, come prevedere il movimento delle nuvole o capire perché le bolle di sapone sono sferiche. Tutto questo grazie alla teoria del trasporto ottimale, che studia come spostare una massa da un punto a un altro riducendo al minimo il costo.
Per i suoi risultati, nel 2018 ha ricevuto la Medaglia Fields, il premio più prestigioso al mondo per un matematico. È stato il secondo italiano a ottenerlo, dopo Enrico Bombieri nel 1974.
Dietro il mito del genio romantico, Alessio Figalli racconta la matematica come un lavoro fatto di errori, tentativi, intuizioni condivise e un dialogo continuo con la comunità scientifica. La sua visione unisce rigore e creatività, filosofia e concretezza, portando la matematica fuori dall’accademia e mostrandola come parte integrante della nostra cultura.
D. Come nasce la sua passione per la matematica, partendo da un liceo classico? E quanto hanno contato la Normale e maestri come Ambrosio e Villani?
R. La matematica mi è sempre piaciuta ma non pensavo potesse diventare un lavoro. Al liceo, grazie alle Olimpiadi di Matematica, ho scoperto il piacere di affrontare problemi che non hanno una soluzione immediata. Dal 2002, alla Normale di Pisa, ho dovuto colmare molte lacune, ma quell’ambiente mi ha dato metodo e fiducia. Gli incontri sono stati fondamentali: Luigi Ambrosio a Pisa, poi Albert Fathi a Lione, che mi ha fatto conoscere Cédric Villani. Questa rete di maestri ha guidato la mia ricerca e il mio modo di guardare al mondo con occhi scientifici.
D. In cosa consiste, esattamente, la teoria del trasporto ottimale?
R. È la teoria matematica che studia come trasportare oggetti da un luogo ad un altro al costo minimo. Immaginiamo dei mucchi di sabbia da spostare per ottenere una nuova forma: qual è il modo più efficiente per farlo? In termini matematici, si cerca un trasporto che sposti particelle dal punto A al punto B, minimizzando un costo predefinito a seconda del problema (distanza, tempo, energia, e così via).
D. Perché è utile fuori dalla matematica pura?
R. Come dicevo, il trasporto ottimale è nato come un problema applicato: qual è il modo migliore per spostare delle risorse da un luogo all’altro? Ha trovato applicazioni naturali in economia, tanto che Kantorovich ha ricevuto il premio Nobel per l’economia nel 1975 proprio per i suoi studi in questo ambito. Lo stesso principio, però, può essere usato in molti altri contesti: per esempio, per capire come si deformano le bolle di sapone o i cristalli, come si sviluppano fenomeni atmosferici come nuvole e correnti, oppure per misurare la distanza tra immagini, confrontandole attraverso lo spostamento dei pixel o trasferendo una palette di colori.
D. La Medaglia Fields, il “Nobel della matematica”: che cosa ha significato riceverla a 34 anni?
R. Una gioia enorme e un segnale alla mia comunità scientifica e alle istituzioni che mi hanno formato. È anche una responsabilità: un riconoscimento di questa portata rende più visibili e invita a raccontare di più la matematica ai non addetti ai lavori. E c’è sempre una componente di fortuna: ogni quattro anni ci sono più candidati meritevoli che medaglie disponibili.
D. Le è mai capitato di sentire il peso delle aspettative?
R. Sì: fuori dall’accademia le parole pesano di più, dentro aumentano i ruoli nei comitati. Il mio antidoto è restare ancorato al lavoro quotidiano (studiare, collaborare, insegnare) e usare la visibilità per parlare ai ragazzi.
D. Ha detto che la ricerca è fatta più di fallimenti che di successi. Come si convive con la frustrazione?
R. Con disciplina e costanza. All’inizio è necessario costruire una solida base di conoscenze; poi, quando le tecniche diventano naturali, si riesce a cogliere l’essenza dei problemi. Spesso l’intuizione giusta arriva all’improvviso, magari mentre si cammina per strada, proprio quando meno ce lo aspettiamo.
D. A proposito di intuizione, ci può parlare del “lampo di genio” di Edimburgo?
R. I cristalli che vediamo in natura hanno una forma che si spiega con la fisica: scelgono la forma che riduce al minimo una certa energia della superficie. Esistono modelli matematici per studiare questi fenomeni, ma non sono mai perfetti, quindi commettono inevitabilmente degli errori. La domanda diventa allora: se un cristallo reale ha un’energia quasi minima, quanto è vicino alla forma ideale? A prima vista sembra una questione semplice, ma non lo è: per rispondere serve una misura che permetta di confrontare due forme parlando lo stesso “linguaggio” dell’energia. Per trovare questa risposta ci sono voluti decenni di tentativi da parte di molti matematici. Anch’io ci ho lavorato a lungo, cercando di usare la teoria del trasporto ottimale per mettere a confronto la forma reale di un cristallo con quella ideale. L’idea sembrava promettente, ma non riuscivamo a completare il ragionamento. Finché, durante un convegno a Edimburgo, mentre camminavo e discutevo con alcuni colleghi, è arrivata l’intuizione decisiva. Quello che spesso viene ricordato come un “lampo di genio”, in realtà, è stato solo l’ultimo passo di una lunga maratona: senza tutto il lavoro e i tentativi precedenti, quel momento non sarebbe mai arrivato.
D. Galileo diceva che il libro della natura è scritto in caratteri matematici. Oggi, quali sono i “nuovi caratteri”?
R. La matematica è in continua evoluzione: si sviluppano nuove teorie, si dimostrano nuovi teoremi. Tutto questo è ciò che permette di capire sempre meglio la natura che ci circonda.
D. L’intelligenza artificiale è ormai ovunque: che connessioni vede coi suoi studi?
R. Molti algoritmi “vedono” dati come distribuzioni. Il trasporto ottimale offre metriche robuste per confrontarle e per dare struttura a modelli di apprendimento. Tuttavia, creatività, giudizio e responsabilità restano umani: l’intelligenza artificiale supporta, non rimpiazza.
D. Filosofia della matematica: è scoperta o invenzione? E su un altro pianeta sarebbe diversa?
R. Ognuno ha la sua visione. Io penso che la nostra matematica sia stata inventata per descrivere il mondo che ci circonda. Quindi, su un pianeta diverso, si sarebbe potuti partire da altri assiomi che ci avrebbero dato un'altra matematica.
D. Molti percepiscono la matematica come distante. Come avvicinarla al grande pubblico?
R. Con storie e modelli semplici, senza tradire il rigore. Far vedere a cosa serve accende le curiosità. Inoltre, ci sono tanti problemi "simpatici", che possono aiutare i bambini nell’apprendimento della matematica, facendoli anche divertire.
D. Guardando avanti: su quali temi sogna di lasciare ancora il segno?
R. In questi anni sto lavorando su equazioni che studiano problemi di natura fisica (come si deforma una membrana elastica quando incontra un ostacolo, come si scioglie il ghiaccio nell'acqua, e così via). L'obiettivo è capire questi problemi e, nel farlo, sviluppare della nuova matematica che sia utile anche ad altri ricercatori. (aise)