Cittadino canadese/ Lingua e identità culturale a 55 anni dalle gravi tensioni di Saint-Léonard – di Antonio Serrafiore

MONTRÉAL\ aise\ - “Il 10 settembre 1969 è una data che a Montréal non sarà mai dimenticata. In quella sera di 55 anni fa, a Saint-Léonard, zona abitata principalmente da italiani, vi è stata una sommossa, sfociata in tafferugli e violenze, in cui francofoni e italo-montrealesi si sono scontrati duramente sulla questione relativa alla scelta della lingua d’insegnamento nelle scuole”. A scriverne è Antonio Serrafiore sul “Cittadino canadese”, settimanale diretto a Montreal da Vittorio Giordano.
“Già durante la settimana antecedente, le tensioni erano cresciute a dismisura. A inizio settembre, Raymond Lemieux, leader della Ligue Pour l’Integration Scolaire (LIS), organizza un incontro pubblico con la presenza anche di un gruppo di italiani e di anglofoni. La riunione degenera al punto che la polizia è costretta ad intervenite per placare gli animi.
Ma i dissidi diventano più forti e i membri della LIS, animati da sentimenti ritorsivi, danno luogo ad una vera e propria guerriglia urbana: la notte del 10 settembre, Rue Jean Talon si trasforma in un campo di battaglia, dove più di 2500 persone marciano gridando il loro slogan “Il Québec sarà francese o morirà”, nel cuore della Comunità italiana, riuscendo ad oltrepassare le linee di sbarramento erette dalla polizia sia locale che provinciale.
Il bilancio è drammatico. Secondo quanto riportato dai media dell’epoca, la rivolta, in cui sono state utilizzate persino molotov e armi da fuoco, ha causato oltre 100 feriti, il danneggiamento di 35 attività commerciali e numerose abitazioni. La polizia, in tenuta antisommossa con lancio di gas lacrimogeni, ha dovuto eseguire svariati arresti per riuscire a sedare gli scontri.
La violenza scoppiata nella notte del 10 settembre 1969 è il risultato di anni caratterizzati da animati dibattiti, forti tensioni, infuocate campagne elettorali, profonde spaccature politiche in relazione al ruolo della lingua francese.
Gli italiani stabilitisi a Saint-Léonard tra gli anni ’50 e ’60, esercitando il diritto alla libera scelta della lingua d’insegnamento, in alcuni casi mandavano i propri figli in scuole inglesi convinti che l’apprendimento della lingua di Shakespeare avrebbe consentito loro maggiori opportunità lavorative; in altri, invece, gli studenti erano rifiutati dalle scuole francesi. È un dato assodato che i contesti francofoni fossero poco accoglienti per gli immigrati e i quebecchesi francofoni vivessero in relativo isolamento culturale convinti che questa scelta consentisse la conservazione della lingua e dei caratteri propri della loro società. Il rallentamento dei tassi di natalità dei francofoni e l’apprendimento sempre più progressivo dell’inglese da parte degli stranieri hanno sviluppato nella popolazione la percezione secondo la quale l’immigrazione costituisse una minaccia per il proprio sistema culturale.
Ma come si è arrivati agli scontri del 10 settembre del 1969?
Nel marzo del 1968, è stato istituito il Mouvement pour l’intégration scolaire – divenuto in seguito Ligue Pour l’Integration Scolaire (LIS) – con a capo Raymond Lemieux. L’obiettivo esplicito era evitare che i nuovi immigrati si integrassero nella minoranza provinciale anglofona sempre più crescente. Così, quando la LIS, nel maggio dello stesso anno, ha ottenuto la maggioranza dei seggi nel consiglio scolastico di Saint-Léonard, ha approvato una direttiva che prevedeva il francese come unica lingua d’insegnamento. Con profondo disappunto degli italiani non disposti ad accettare questa imposizione che precludeva loro la possibilità di scelta della lingua. Da qui l’escalation delle tensioni culminate nei gravi fatti del 10 settembre, cui abbiamo fatto cenno. Per cercare di risolvere questi problemi, nel novembre del 1969, circa due mesi dopo gli episodi di Saint-Léonard, il governo del Québec ha promulgato la Legge 63.
Con questa iniziativa, il governo intendeva andare incontro alle esigenze dei francofoni di promuovere la loro lingua, senza comunque precludere – almeno in teoria – agli stranieri di studiare a scuola in inglese.
Nella sua essenza, la 63 intendeva incoraggiare l’insegnamento della lingua francese nelle scuole pubbliche anglofone del Québec, affinché tutti gli studenti acquisissero anche la conoscenza del francese. Ma i nazionalisti del Québec hanno valutato negativamente la proposta legislativa del governo provinciale, considerata troppo debole per preservare la vitalità del proprio idioma. Motivo per cui sono state successivamente promulgate nuove leggi linguistiche sempre più severe: nel 1974 la Legge 22 (che ha sostituito la 63) e, poi, nel 1977 la famosa Legge 101, denominata la Charte de la langue française, che ha reso il francese la lingua ufficiale del governo e dei tribunali del Québec, nonché la lingua quotidiana del lavoro, dell’istruzione, della comunicazione, del commercio e degli affari.
In merito a questa vicenda, ai nostri microfoni il Prof. Rosario Ortona, originario di Isca sullo Ionio (Catanzaro), arrivato nella metropoli quebecchese nel 1959, ha affermato: “Noi italiani, così come tutti gli altri gruppi etnici, eravamo e siamo accusati di aver preferito le scuole anglofone a quelle francofone. È tutto falso! Gli italiani che sono arrivati tra gli anni ’50 e ’60, nella maggior parte dei casi, avevano come scopo quello di mandare i propri figli nelle scuole più vicine a casa. A Saint-Léonard, queste erano perlopiù francofone, ma noi non andavamo perché ci rifiutavano, non ci volevano, ci discriminavano. A tal proposito – ha aggiunto il Professore – anche se teoricamente per legge c’era la libertà di scelta, nei fatti non è stato così. Eravamo costretti a scegliere gli istituti anglofoni”. Ha anche sottolineato che “oggi come allora veniamo visti come nemici” e che agli occhi dei quebecchesi “molte delle problematiche passate e presenti sono causate dagli immigrati”.
Quanto successo negli anni ’60, culminato con le tensioni di Saint-Léonard, prima, e con la promulgazione di leggi pro-francese, poi, ha contribuito a favorire negli anni successivi una netta separazione tra i quebecchesi francofoni e il resto della popolazione anglofona. La questione linguistica è stata utilizzata come strumento di lotta politica per preservare l’identità culturale di un popolo e, ancora oggi, il governo provinciale continua a spingere – a volte in maniera molto discutibile – in questo senso, creando non indifferenti problemi agli stranieri e condizionando negativamente il loro processo di integrazione. Problemi che rimangono ancora aperti, irrisolti e particolarmente spinosi.
Nel caso specifico degli italo-montrealesi, c’è da dire che, dopo un momento iniziale di difficoltà, questa situazione ha permesso alle giovani generazioni di diventare trilingue.
Si sono così rese loro maggiormente realizzabili le possibilità di affermazione personale e professionale e di integrazione nel tessuto socio-politico-culturale della provincia e, persino, di ricoprire ruoli di vertice e di prestigio. Il dualismo tra inglese e francese in Québec, lungi dal costituire un limite, ha permesso, non solo la sopravvivenza delle lingue delle Comunità etniche, ma persino il loro consolidamento. L’italiano è rimasto vivo, sia pure nelle sue forme dialettali e fortemente influenzato dagli idiomi ufficiali del Paese”. (aise)