Cittadino canadese/ Trump ci ha resi orgogliosi di essere canadesi – di Vittorio Giordano

MONTREAL\ aise\ - “Grazie ad una guerra commerciale spregiudicata e ad una diplomazia prevaricatrice (l’arte della negoziazione applicata alla geopolitica si sta rivelando un clamoroso flop), Donald Trump è riuscito nell’impresa di trasformare il Canada da un Paese artificiale (un miscuglio di Comunità culturali che condividono lo stesso spazio geografico) in una Nazione orgogliosa, forte e unita. Le minacce di annessione e l’imposizione di dazi hanno dato vita ad un sentimento patriottico senza precedenti”. Così scrive Vittorio Giordano sul “Cittadino canadese”, settimanale che dirige a Montreal.
“Negli ultimi giorni, infatti, il senso di appartenenza al Canada, fino all’altro ieri subordinato all’attaccamento verso il Paese di origine da parte dei numerosi gruppi etnici che ne formano il complesso mosaico multietnico, si è ‘radicalizzato’ e diffuso ad una velocità sorprendente. E questo nonostante anni di retorica “post-nazionale” da parte di Trudeau, padre e figlio. Tanto che per la prima volta, dalla nascita della Confederazione Canadese nel 1867, il motto ufficiale del Paese degli aceri – “A mari usque ad mare” – riflette fedelmente il sentire comune generale, da Halifax a Vancouver.
Ma l’orgoglio non basta: il Canada deve affrancarsi da tariffe, norme e regolamenti che ancora oggi ostacolano il libero scambio di beni, servizi e professionisti tra le 10 Province ed i 3 Territori che lo caratterizzano. Barriere commerciali che, secondo Statistique Canada, equivalgono a dazi doganali del 6,9% (se non addirittura del 21% in base ai calcoli più elaborati della Banque Nationale). La celebre frase “Fatta l’Italia, bisogna fare gli italiani” di Massimo D’Azeglio, pronunciata subito dopo l’Unità d’Italia nel 1861, se applicata al contesto canadese, potrebbe diventare: “Fatto il Canada, bisogna abbattere le barriere interprovinciali”.
Un adattamento che si applica perfettamente alla necessità di una maggiore integrazione e cooperazione tra le Province, superando gli interessi locali che ne ostacolano un progresso armonioso. Un processo inevitabile che Trump ha accelerato, malgrado il peso demografico (gli americani sono 370 milioni contro 40 milioni canadesi) e la vicinanza geografica (Montréal è più vicina a New York che a Calgary) dell’ingombrante vicino.
E così, il 31 gennaio scorso, il Comitato per il Commercio Interno (CCI), presieduto dalla Ministra dei Trasporti, Anita Anand, si è riunito per ridiscutere l’Accordo di Libero Scambio Canadese (ALEC), siglato per la prima volta nel 1995 e rinnovato nel 2017. Firmato dal Governo federale, dalle 10 Province e dai 3 Territori, questo documento di 350 pagine ne dedica oltre 130 ad eccezioni imposte dalle 14 giurisdizioni, a tutela di ordini professionali e corporazioni di mestieri.
Gli esempi si sprecano. Partiamo dal Québec. Nella Belle Province, l’acquisto di terreni agricoli da parte di un non residente è vietato, a meno che non si ottenga un’autorizzazione della Commission de protection du territoire agricole du Québec. Siamo l’unica Provincia a vietare lo stoccaggio di esplosivi nei magazzini, oltre a regolamentarne l’uso, la vendita, il trasporto, la consegna, la conservazione e la distruzione. Gli infermieri delle altre Province possono esercitare la professione solo se parlano la lingua francese.
Ogni Provincia, poi, ha un proprio ente di controllo degli alcolici (ad esempio LCBO in Ontario e SAQ in Québec): un residente dell’Ontario non può ordinare direttamente una cassa di vino dalla Columbia Britannica senza passare per la LCBO, che aggiunge tasse e mark-up. La produzione di latte, poi, è regolata da un sistema di quote gestito a livello provinciale: un caseificio del Québec non può facilmente vendere i suoi prodotti in Alberta, senza affrontare restrizioni legati a regolamenti che favoriscono i produttori locali.
Le qualifiche per professioni – come dentisti, infermieri o insegnanti – non sono sempre riconosciute tra le Province: un infermiere dell’Alberta potrebbe dover ottenere una nuova licenza, o fare esami aggiuntivi, per lavorare in Colombia Britannica. Le regole su sicurezza alimentare ed etichettatura variano tra le Province: un produttore di formaggi del Québec potrebbe dover cambiare etichette, o adeguarsi a standards diversi, per vendere in Nuova Scozia.
Le norme per i camion, come limiti di peso o dimensioni, cambiano da Provincia a Provincia: un camion conforme in Manitoba potrebbe non esserlo in Saskatchewan.
Anche le normative per la costruzione differiscono tra le Province: un’impresa che opera in Nuova Scozia deve seguire standard diversi per lavorare in Terranova, anche per progetti simili, influenzando design e costi delle costruzioni. Variano anche le regole su smaltimento dei rifiuti o emissioni: un’impresa di riciclaggio in Ontario potrebbe dover seguire procedure diverse in Manitoba.
Pure le tasse sulle vendite non sono le stesse, spingendo qualcuno a fare acquisti dove sono più basse, o influenzando dove un’azienda decide di stabilirsi. Infine, le Province hanno regole diverse per l’elettricità: l’Ontario e il Québec (dove Hydro-Québec ha il monopolio) usano sistemi di tariffe differenti, il che può cambiare i prezzi dell’energia e la sua disponibilità per chi vive o lavora in più Province. Tutte queste barriere inter-provinciali rendono più complicata la vita di tutti i giorni, limitando la libertà di movimento di beni, servizi e persone, oltre a ingolfare, inesorabilmente, la macchina economica dell’intero Paese.
Basti pensare che, secondo la Ministra Anand, rimuovere le barriere esistenti potrebbe ridurre i prezzi fino al 15%, incrementare la produttività del 7% e far crescere l’economia canadese di 200 miliardi di dollari. Secondo le stime di Deloitte, questo si tradurrebbe in un aumento del PIL pari al 3,8%; e, solo per il Québec, significherebbe un gettito extra di 4,1 miliardi di dollari.
Trump ci ha svegliati da un torpore durato fin troppo a lungo: è arrivato il momento di armonizzare le regole, prendere coscienza che uniti siamo più forti e ricchi, e diventare, una volta per tutte, una Nazione”. (aise)