ItaloAmericano.org/ Elvira Notari: il capitolo mancante della storia del cinema italiano – di Simone Schiavinato

(Images courtesy of “Elvira Notari. Beyond Silence” documentary/Kinomata. La donna nel cinema)

SAN FRANCISCO\ aise\ – “È curioso pensare che si sappia così poco di Elvira Notari, al punto che il suo stesso nome risulta praticamente sconosciuto alla maggioranza delle persone. Nata nel 1875 e cresciuta nella Napoli del primo Novecento, esattamente in quella città colorata e vivace dei clichè più radicati nell’immaginario internazionale, è stata la prima regista del cinema italiano ma anche una delle prime persone a creare un ponte artistico con gli italiani d’America. Fu lei, con la sua narrazione così autenticamente realistica e popolare, a consolare le nostalgie delle migliaia di immigrati lontano da casa e al contempo a cristallizzare quella memoria classica delle Little Italy che oggi ci sembra così retrò e piena di stereotipi ma che allora era una narrazione del reale”. Ne scrive Simone Schiavinato sull’italoamericano.org che dirige a San Francisco.
“Sinceramente è un gran peccato che se ne sappia poco o nulla e che sia andata quasi completamente perduta la sua vasta cinematografia, assolutamente incredibile per i tempi, per i mezzi a disposizione, per essere fatta da una donna. È come se a tutti i libri di storia del cinema italiano mancasse il primo capitolo.
Questa lacuna un po’ colpevole, di cui il grande pubblico si accorge a 150 anni dalla nascita della pioniera grazie alla 82° Mostra del Cinema di Venezia e al documentario diretto da Valerio Ciriaci “Elvira Notari. Oltre il silenzio”, dovrebbe far riflettere. È il racconto di un cinema che pecca di sana autoreferenzialità, di conoscenza e valorizzazione di sé, delle proprie origini ed evoluzioni. Perché se è vero che i red carpet sono così glamour e cool, è anche vero che non sono piume e paillettes a sopravvivere al tempo. Il patrimonio comune fatto di tecnica cinematografica, racconto, empatia con il pubblico, coinvolgimento, storytelling e costruzione dell’immaginario condiviso che tanti autori e autrici lasciano in eredità a chi fa cinema, è sicuramente un bagaglio meno luccicante ma decisamente più pesante e prezioso. Eppure, tanti, troppi nomi sono misconosciuti nonostante meriti evidenti.
Fa viceversa piacere che il grande palcoscenico della Mostra di Venezia abbia accolto e soprattutto messo sotto i riflettori il valore aggiunto da Notari all’arte cinematografica italiana. Non solo perché è come aver ritrovato una tessera mancante dal puzzle in fondo a un armadio ma perché rende merito e dà spazio al cinema fatto dalle donne. Notari, in epoche non sospette, fu artista ma anche imprenditrice, fedele osservatrice della realtà, forse persino capace di anticipare il futuro filone del Neorealismo, e coraggiosa avventuriera se è vero che come una moderna distributrice aprì il suo ufficio oltreoceano per rivolgersi a un pubblico decisamente più ampio di quello casalingo (nel 1925 Dora Film aprì un ufficio a New York su Mulberry Street di Little Italy).
L’eredità artistica e culturale della pioniera nel muto, di una delle prime cineaste a livello mondiale e della prima regista del cinema italiano, un’arte d’avanguardia e tutt’altro che consolidata ai tempi in cui produsse anche molto artigianalmente le sue opere, è di prim’ordine. Perché il suo non fu un lavoro di maniera. Notari fondò una Scuola di arte cinematografica, dove insegnava una recitazione naturalistica in contrasto con lo stile teatrale delle famose dive dell’epoca. Inoltre la sua innovazione fu anche tecnica. In un’intervista video del 1979 il figlio Eduardo sottolineò: “Noi fummo i primi a mettere un cantante sotto lo schermo che si sincronizzava con le immagini”. Non solo. Se in tutti gli altri film muti dell’epoca, le scene erano di solito seppiate e gli esterni in azzurro, tutti i suoi film erano colorati a mano fotogramma per fotogramma. I suoi “avveniristici” effetti speciali che raccontano un approccio sperimentale e imprenditoriale, sono una testimonianza assolutamente preziosa anche se troppo è andato perduto di quanto produsse tra il 1906 e il 1930, dato che solo pochi frammenti restano dei suoi 60 lungometraggi e delle centinaia tra cortometraggi e documentari.
Non c’è la sua opera però in eredità è rimasto il suo know how nuovo e creativo, quel seme innovativo e originale che ha generato molto del cinema che è seguito a lei. Senza dimenticare che lavorò a Napoli, tutt’altro che una periferia se la città fu con Torino uno dei due centri italiani di produzione cinematografica fin dagli inizi, da quel lontano 1896 quando il 4 aprile i corti dei fratelli Lumière furono proiettati in anteprima al café-chantant Salone Margherita”. (aise)