ItaloAmericano.org/ L’Italia di Scorsese: il regista alla ricerca delle sue origini – di Barbara Minafra
Foto Berti Giuliano
LOS ANGELES\ aise\ - ““La mia formazione fino ai 10 anni si è svolta in un certo senso in Italia, perché Little Italy era piena di siciliani, napoletani, campani. Quei ricordi mi hanno influenzato come artista quindi, per me, tornare in Italia è sempre una sorta di ritorno alle origini”. Parole di Martin Scorsese che proprio in queste settimane sta girando, da produttore esecutivo, un documentario nella “sua” Sicilia. Il tema, l’archeologia subacquea che indaga sui naufragi dell’antichità, è piuttosto insolito ma ben si sposa con la sua ricerca delle origini: “Sono sempre stato interessato alla storia del mondo antico, in particolare a quella della Sicilia. Amo il teatro dei pupi, le avventure di Orlando e Angelica dell’Ariosto, storie che ancora oggi ci aiutano a scoprire chi siamo””. Così scrive Barbara Minafra su l’ItaloAmericano.org, magazine diretto da Simone Schiavinato.
“Il maestro del grande schermo lo ha detto ricevendo il Premio Stella della Mole in una serata evento che il Museo nazionale del Cinema di Torino gli ha dedicato durante una retrospettiva che ha celebrato la cinematografia del regista con il maggior numero di candidature all’Academy Award e premio Oscar per The Departed, proiettando alcuni suoi capolavori: da Who’s That Knocking at My Door del 1968, il cui protagonista trascorre le sue giornate tra i bar di Little Italy, a Mean Streets del 1973, ambientato per le strade di Little Italy tra debiti, risse e scorribande notturne alla vigilia della festa di San Gennaro; da Taxi Driver del 1976 a Toro scatenato del 1980 imperniato sull’ex pugile di origini italiane Jake La Motta, entrambi interpretati dall’italoamericano Robert De Niro, con cui Scorsese ha sviluppato 50 anni di partnership artistica.
Sia i nonni materni che quelli paterni arrivarono negli Stati Uniti dalla Sicilia. Per la precisione da Ciminna e da Polizzi Generosa, due piccoli paesi nell’area metropolitana di Palermo, dove è stata istruita la pratica che dal 2018 lo ha reso ufficialmente cittadino italiano. Ospite nella casa dello stilista Domenico Dolce, nato proprio a Polizzi Generosa, con le sue tre figlie Francesca, Domenica e Cathy e i loro figli, Scorsese è tornato nel paese di origine dei nonni. Dopo una masterclass con il premio Oscar Giuseppe Tornatore (anche lui palermitano di Bagheria, a un’ora d’auto da Polizzi Generosa), ha ricevuto la cittadinanza onoraria. “I miei nonni emigrarono in un’epoca in cui molte persone partivano alla ricerca di una vita migliore — ha raccontato — e quando vengo in Sicilia adoro vedere il paesaggio, le montagne, le valli che furono costretti a lasciare”.
Nato a New York nel 1942, il pluripremiato regista è cresciuto nella Little Italy di Manhattan dove si è formata quella cultura italoamericana che poi ha raccontato in alcune delle sue pellicole più famose come “Mean Streets” o il documentario “Italoamericani”. Scorsese ha visitato per la prima volta il piccolo comune siciliano nel 1979 con la moglie di allora, Isabella Rossellini, alla ricerca dei parenti “Scozzese”, il cognome che poi in America è diventato Scorsese, e poi ancora nel 1990 con i genitori e nel 2018 in occasione della cittadinanza italiana.
“Sin da quando, più di 70 anni fa, sedevo con i miei nonni e i miei genitori a guardare Paisà di Rossellini in televisione, il cinema italiano ha occupato un posto molto speciale nel mio cuore, una presenza che mi ha guidato, sostenuto, spronato nel mio lavoro di cineasta. È davvero significativo per me – ha detto – ricevere un tale riconoscimento in questo particolare momento della mia vita, in questo bellissimo museo qui a Torino dedicato alla storia di uno dei grandi amori della mia vita: il cinema italiano”.
Scorsese ha spesso attribuito al Neorealismo italiano una significativa influenza sulla sua opera e, nel 2006, ha firmato l’introduzione al volume Cabiria & Cabiria, edito dal Museo Nazionale del Cinema di Torino in occasione del restauro di Cabiria, primo kolossal e più famoso film italiano del cinema muto. Non è dunque un caso che lo abbiano omaggiato con un prezioso Digital Cinema Package contenente scene inedite del film diretto nel 1914 da Giovanni Pastrone che fu anche proiettato alla Casa Bianca. Un tributo al suo impegno costante nella conservazione e recupero del patrimonio filmico. “Ovunque vada il cinema, non possiamo permetterci di perdere di vista le sue origini” ha detto ricordando che il primo lungometraggio che cercò di recuperare fu la versione americana de Il Gattopardo di Luchino Visconti, e soprattutto ricordando l’incendio avvenuto a Santa Monica a metà anni Sessanta in cui finì in cenere Quarto Potere di Orson Welles.
Autorevole sostenitore della conservazione dei film classici, nel 1990 ha fondato The Film Foundation che ha contribuito a restaurare oltre 1000 film e poi, nel 2007, ha ampliato questo lavoro attraverso il World Cinema Project della Film Foundation, per restaurare e poi distribuire film da tutto il mondo. Questo impegno nei confronti dell’arte cinematografica è evidente nel suo lavoro da regista e produttore in cui rende spesso omaggio alla storia del cinema attraverso riferimenti e citazioni visive.
Con una carriera monumentale che abbraccia sei decenni di film fondamentali, Scorsese ha cementato saldamente il suo status di leggenda e ha lasciato un segno indelebile sul cinema come lo abbiamo conosciuto, scardinando molte convenzioni. Il suo impressionante corpus di opere si è confrontato con la ricerca dell’American Dream e temi quali l’identità italo-americana, i concetti cattolici di colpa e redenzione, la fede, il machismo, il nichilismo, il crimine e il settarismo, spesso esplorando il ventre squallido di New York. Stabilendo alcune delle partnership cinematografiche più dinamiche della storia di Hollywood con le sue numerose collaborazioni con attori prodigiosi come Robert De Niro e Leonardo DiCaprio, anche loro italoamericani, i personaggi di Scorsese sono uno studio di individui complessi alle prese con conflitti interni ed esterni che riflettono i temi più ampi della narrazione sociale e culturale.
Pochi tra i maggiori esponenti della New Hollywood, periodo a cui la retrospettiva torinese ha reso omaggio, continuano a stupire il pubblico quanto lui a più di 60 anni dal suo esordio. Tra i più influenti di tutti i tempi, Scorsese ha fortemente influenzato le basi artistiche ed estetiche della cinematografia contemporanea, contribuendo a rinnovare i generi e lo star system e a raccontare con tecnica magistrale, l’immaginario della società americana.
“I film di Martin Scorsese – hanno detto Enzo Ghigo e Domenico De Gaetano, presidente e direttore del Museo Nazionale del Cinema – hanno tracciato un solco indelebile nella storia del cinema e nell’immaginario di tutti noi. Considerato uno tra i più importanti registi al mondo, con la sua arte è stato capace di fotografare epoche e stili, malesseri e incertezze di una società in continua trasformazione”. La sua intensa due-giorni torinese segna la prima storica visita del vincitore di ogni prestigioso riconoscimento cinematografico al Museo Nazionale del Cinema, che nel 2013 ha realizzato una mostra a lui dedicata che espone i costumi originali di Gangs of New York nel percorso di visita permanente.
Scorsese ha definito quel film “uno specchio ancora attuale degli Stati Uniti”. Se durante le riprese “pensavo sempre a Fellini e al Satyricon”, quando “ho girato Gangs of New York a Cinecittà abbiamo scavato nelle memorie del passato, nella nascita del paese America e di questo esperimento di governo noto come Democrazia”. Dal passato al presente il passo è breve: “Non sapremo cosa può accadere nelle prossime settimane, può continuare come può finire l’esperimento della Democrazia… Durante Gangs of New York quella era una fantascienza al contrario, una previsione tragicamente azzeccata”.
Intervenendo invece sul tema della violenza che spesso permea i suoi lavori, rispondendo alla domanda se si senta un cattivo maestro ha risposto: “La violenza fa parte di quello che siamo, faceva parte della mia storia, del mio crescere in strada. Ho visto gente provare a vivere vite decenti con tanta violenza intorno e gente decente fare cose molto brutte. C’è attrazione nella violenza, è brutta ma fa parte del nostro essere. Ma va vista perché quando si evita di guardarla, anche quella è violenza”.
Nella masterclass a Torino, con tanto di red carpet, selfie e autografi, ha parlato di un cinema in piena evoluzione. A suo dire è nella sua “infanzia” espressiva, “è come il teatro agli inizi dell’Ottocento”: le evoluzioni sono imprevedibili. “Potrebbe andare in qualsiasi direzione, finire su un tablet o essere proiettato con un chip nelle nostre menti: immaginate L’Orlando Furioso o Amleto nella realtà virtuale”.
Allo stesso modo la sua carriera è lungi dal terminare. “Non intendo assolutamente dire arrivederci al cinema. Devo fare ancora alcuni film – ha detto il regista, 82 anni il 17 novembre – e spero che Dio mi dia la forza e i soldi per farli” confermando di lavorare a “un progetto a Roma” (l’anno scorso aveva annunciato un film sulla Vita di Gesù, dopo aver incontrato papa Francesco con cui il regista de L’ultima tentazione di Cristo ha un rapporto particolare) mentre è in lavorazione il docufilm in Sicilia: “Mi sono appassionato agli scavi archeologici per capire come funzionavano i mondi di tanti anni fa”.
A Torino è arrivato in una pausa di lavorazione e prima di tornare nel paese del nonno: “Voglio capire le mie radici, è un viaggio sentimentale, ma mi piace pensare che da questa mia esperienza verranno fuori altri film”. Se quello su Sinatra per ora è rimandato, Scorsese ha ricordato dove è nata la sua passione: “Ho scoperto il cinema quando ero molto piccolo. Ho sempre avuto l’asma, non potevo fare sport e quindi i miei mi portavano sempre in sala a vedere qualcosa. Ho avuto la grande fortuna di crescere nel momento in cui il cinema veniva reinventato, grazie a nuove attrezzature non servivano più i grandi Studios”. Un’attrazione espressiva che però ha avuto una dimensione più intima, di appartenenza culturale: “Non solo il Neorealismo di De Sica e Rossellini, che ho scoperto in tv quando ero bambino e mi affascinava perché gli attori parlavano l’italiano come la mia famiglia, ma anche i film di Fellini, Antonioni, Bellocchio, Bertolucci, Pasolini, Rosi, usciti tutti insieme nei primi anni Sessanta. Un altro cinema era possibile: ho capito che volevo dire qualcosa con il cinema ancora prima di capire che cosa davvero volessi dire””. (aise)