ItaloAmericano.org/ Una nuova generazione di stilisti italiani si incontra a Los Angeles – di Silvia Nittoli

foto Veronica Maffei for the Italian Cultural Institute Los Angeles

SAN FRANCISCO\ aise\ - “Ha fatto tappa a Los Angeles il progetto Fashion Panorama – The Italian New Wave, promosso dal Ministero degli Affari Esteri e della Cooperazione Internazionale, curato da Vogue Italia e dedicato alle nuove generazioni di designer italiani. Il 21 maggio all’Istituto Italiano di Cultura di Westwood è stata inaugurata la mostra, visitabile fino a settembre, che vede protagoniste le creazioni di dieci brand emergenti italiani: Act N°1, Cormio, Gisèle Claudia Ntsama, lessico familiare, Magliano, Marco Rambaldi, Medea, Niccolò Pasqualetti, Panconesi e Ssheena”. Ne scrive Silvia Nittoli su l’ItaloAmericano.org, magazine diretto a San Francisco da Simone Schiavinato.
“L’inaugurazione della mostra è stata un’occasione per approfondire il ruolo della moda come specchio dei cambiamenti culturali e sociali in Italia e negli Usa, anche attraverso un panel che si è svolto tra il curatore Emanuele Coccia, professore all’École des Hautes Études en Sciences Sociales di Parigi, e TJ Walker, docente presso il Los Angeles Fashion Institute of Design and Merchandising nonché cofondatore dello storico marchio Cross Colours, moderato da Elisa Pervinca Bellini, New Talents & Sustainability Editor di Vogue Italia.
“La moda sta vivendo uno sviluppo significativo a Los Angeles, che si può considerare a tutti gli effetti la quinta capitale del settore accanto a Milano, Parigi, New York e Londra” ha dichiarato Emanuele Amendola, direttore dell’Istituto Italiano di Cultura a Los Angeles. “Fashion Panorama presenta dieci designer italiani dell’ultima generazione che stanno creando nuovi codici espressivi, dedicando particolare attenzione a tematiche come genere, inclusività e sostenibilità, in un dialogo con la tradizione che ha reso celebre il ‘Made in Italy’ nel mondo, e che a sua volta viene reinterpretata e adattata alla visione di ciascun designer” ha concluso Amendola.
“Come non si può parlare d’arte solo parlando di Picasso, allo stesso modo bisogna parlare di chi fa moda oggi, dei più giovani. Mi auguro che il progetto diventi un invito a promuovere gli stilisti che fanno le sperimentazioni più interessanti e che abbracciano il cambiamento”. Ha spiegato a noi de L’Italo-Americano il filosofo Emanuele Coccia, la cui ricerca si concentra sulla natura, l’arte e la moda, e da cui è partita l’idea dell’iniziativa.
D. Di quale cambiamento si tratta?
R. C’è una chiara metamorfosi di quello che è il Made in Italy, ancora legato ai nomi che hanno fatto la gloria della tradizione italiana, da Armani, a Fendi e Valentino, da Krizia a Dolce & Gabbana e Gucci, marchi che sono diventate globali ma che incarnano una forma umana che non esiste più. Questa nuova generazione è fatta di couturier o di designer che hanno anche provenienze etniche, come Luca Lin di Act N.1 cresciuto tra Cina e Italia, Jezabelle Cormio, italo-statunitense, Gisèle Claudia Ntsama di origini camerunensi. Rappresentano una cultura molto più multietnica e post-etnica, molto più ibridata di quanto lo fosse la generazione precedente.
D. Cosa raccontano queste nuove generazioni?
R. Raccontano vite totalmente diverse, sono chiaramente marchi il cui pubblico ideale non è l’alta borghesia milanese degli anni Ottanta. Una demografia di cui forse si racconta ancora troppo poco. Sono una generazione che ha rinnovato l’idea di eleganza e delle silhouette che sono molto più spezzate, più composite e che rompono in qualche modo con la storia recente della moda. Rivendicano anche la contraddizione, la pluralità delle forme nel corpo e instaurano un rapporto diverso con le materie.
D. Ad esempio?
R. Una di loro, Claudia Gisella, lavora molto con la canapa, altri lavorano molto con il riciclaggio e la ricomposizione di abiti usati. Portano in passerella anche un’idea diversa rivolta a persone più anziane e diversamente abili, quindi è come se ci fosse uno squarcio di tecniche e di estetiche che non siamo abituati ad associare al Made in Italy. Parlano di un’umanità che l’Italia non vuole ancora raccontare e che invece rappresenta la maggioranza della popolazione.
D. Da quanto tempo è in atto questa nuova generazione della moda?
R. È difficile fare cronologie. La moda sul piano globale è cambiata tantissimo per ragioni geopolitiche, ci sono nuovi continenti, come l’Africa e la Cina soprattutto che stanno emergendo come spazio di creazione molto più interessante di quello che succede in Italia, in Europa o negli Stati Uniti. Queste realtà, infatti, sono interessanti anche per questo perché è come se fossero pioniere di un nuovo mondo anche dal punto di vista commerciale, un mondo che deve inventarsi una nuova forma di globalizzazione, perché ovviamente la moda non può e non potrà mai essere un’espressione puramente locale, se no diventa folklore.
D. Perché la moda viene ancora considerata qualcosa di superficiale?
R. C’è un problema di formazione, la moda è forse l’unica disciplina artistica che non viene insegnata nelle facoltà ordinarie. I corsi di storia della moda sono pochissimi e le scuole molto settoriali, orientate al lavoro e non alla cultura. Inoltre le stesse case di moda hanno difficoltà a concepirsi come istituzioni culturali. Chanel dispone di un patrimonio dell’umanità che ha liberato le donne di più di una generazione. Il fatto che questi patrimoni vengono secretati per ragioni pseudo-industriali è una cosa che dovrebbe essere proibita, chiunque disponga di questi beni deve farli conoscere. Immagina se tutte le collezioni di pittura fossero secretate per paura che vengano copiate.
D. Quando ha iniziato a interessarsi di moda?
R. Ho iniziato per ragioni in parte biografiche perché una parte della mia famiglia lavora nella moda mentre l’altra l’aveva condannata. Quando sono andato a curiosare cosa facevano i miei cugini ho scoperto che era una cosa molto interessante. Poi arrivato a Parigi ho avuto la fortuna di diventare molto amico di Azzedine Alaïa’s, che era un grande couturier, scomparso nel 2017, e Carla Sozzani, che è una delle grandi figure della cultura della moda negli ultimi 40 anni. Loro mi hanno introdotto in questo mondo e ora un défilé di moda è la cosa che mi colpisce di più sia fisicamente che emotivamente, perché è come vedere un’opera d’arte che cammina.
D. Ha da poco presentato Al Salone del Libro di Torino il suo libro, La Vita delle Forme, scritto con l’ex direttore creativo di Gucci, Alessandro Michele, un trattato sull’alchimia delle forme della vita di tutte e tutti noi. Come è nata questa collaborazione?
R. Ci siamo conosciuti tramite il partner di Alessandro che è un professore di teoria architettonica urbana e siamo diventati amici. L’idea del libro è nata perché una delle novità di Alessandro è stata quella di accompagnare le sfilate di Gucci con riflessioni filosofiche. Da filosofo che si occupa di moda per me era importante parlare della moda come primo oggetto della filosofia, perché è l’elemento attraverso cui una forma prende vita e non c’è nulla di più filosofico di questo. Ne abbiamo parlato per un anno e mezzo e da queste conversazioni è nato il libro”. (aise)