La voce di New York/ “Hijra”: La sfida dell’identità italiana nell’esordio letterario di Saif Raja – di Monica Straniero

NEW YORK\ aise\ - “Gli italiani di seconda generazione hanno il potenziale per sfidare i discorsi dominanti sulla razza e sull’identità nazionale che perpetuano la precarietà dei migranti in Italia, in parte rendendo la cittadinanza difficile, se non impossibile, da ottenere. Attraverso l’ambientazione personale nel contesto della città di Belluno, Hijra, l’esordio letterario di Saif (si pronuncia Sef) Raja, nelle librerie italiane dal 14 aprile con Fandango, sfida e ridefinisce chi può essere “italiano”. Il sé costruito attraverso la sua narrazione modella un’identità ibrida in una sorta di meticciato somatico, linguistico ed esistenziale”. Ad intervistare il giovane autore è stata Monica Straniero per “La voce di New York”, quotidiano online diretto da Giampaolo Pioli.
“Raja è arrivato in Italia dal Pakistan all’età di undici anni. Nella sua storia personale c’è il prima, un’infanzia a Rawalpindi, immersa nella ricca cultura e nelle tradizioni familiari, un mondo ricco di ritualità e condivisione; e un dopo, un’esperienza solitaria e alienante in un nuovo paese, l’Italia. Ospite a Multipli Forti, “Voci dalla letteratura italiana contemporanea”, che si è svolta a New York dal 10 al 13 aprile 2024, Raja ha raccontato la sua lotta per reclamare una posizione all’interno di due società, italiana e pakistana, la cui identità collettiva è strutturata per escludere, in diversi ma paralleli modi, quelli come lui.
D. Nel suo romanzo, fa ricorso alla metafora dei terremoti che spingono il protagonista “di qua e di là”.
R. Nasce dal concetto di purezza condiviso da entrambi i paesi. Ogni volta che senza volerlo mostravo un segno di diversità, come non mangiare carne di maiale in Italia per essere considerato italiano, o vestirmi in modo occidentale in Pakistan, venivo respinto. Non era un rifiuto esplicito con insulti diretti come “negro di merda” o “pakistano di merda”, ma si manifestava attraverso parole gentili che però provocavano forti reazioni emotive, pari a scosse di terremoto. Era come se mi stessero dicendo: “Se non ti comporti così, non sarai mai davvero italiano”, mostrando il potere di escludermi. L’immagine del terremoto riflette quindi il senso di smarrimento e perdita di identità.
D. Nelle interazioni di Saif con la società italiana, emergono frequenti episodi di microaggressioni e discriminazioni.
R. Ho vissuto esperienze di razzializzazione, anche durante il periodo del dottorato. Mi riferisco alla rappresentazione negativa degli studenti stranieri, spesso piene di stereotipi e pregiudizi che portano ad una mancanza di riconoscimento delle soggettività individuali. Una retorica che giustifica azioni discriminatorie e abusi quotidiani, talvolta arrivando fino a violenze fisiche. Queste esperienze hanno contribuito a plasmare l’immagine del pakistano e dell’italiano. Nel libro racconto la mia vita fino ai 25-26 anni, ma ancora oggi assisto a varie forme di stigmatizzazione che diventano strumenti utilizzati per mantenere le distanze e sostenere l’idea che “tu non sei italiano perché io lo sono”.
D. In Hijra, ha descritto il cibo come una forma di difesa dell’identità culturale e come riflesso del bisogno di riconoscersi e differenziarsi.
R. Il cibo, in particolare le spezie, ha per me un forte valore identitario e riflette il legame intimo con mia madre e con le mie origini perché ricrea mentalmente e fisicamente i luoghi in cui mi sentivo al sicuro con lei. Oggi, cucinare per qualcuno è diventato per me ciò che noi giovani definiamo “il mio linguaggio d’amore”. Le spezie rappresentano per me il ponte con cui riesco a far dialogare le due culture a cui sento di appartenere. Perché come descrivo nel libro, non sono solo ingredienti per cucinare, ma hanno un significato profondo per molte persone del Sud Asia. In questo processo di ibridazione ho dovuto rinunciare a certi cibi e adattarmi alla cucina italiana, come mangiare la carne di maiale o halal, usare le posate, e consumare cibo non speziato o non piccante. Una decisione complessa data la eccellenza di entrambe le tradizioni culinarie.
D. Come ha gestito il tema universale della ricerca di sé in un contesto specifico come quello dell’immigrazione e dell’intercultura?
R. La letteratura come campo di indagine della identità è molto estesa, specialmente quando si affrontano tematiche legate all’immigrazione e all’intercultura. Nel mio caso, incarno un’intersezionalità: sono omosessuale e scuro in un contesto prevalentemente bianco. Non rientro nel classico stereotipo del maschio alfa dominante. Vivo queste tre dimensioni e i relativi sistemi di oppressione. Attraverso l’esperienza diretta come descritta dalla critical race theory o dalla teoria postcoloniale, metto in luce le incoerenze di questi sistemi e le rispettive pratiche oppressive, con attenzione agli aspetti intersezionali di genere, orientamento sessuale, razza/etnia e cultura.
D. Hijra è anche una storia di ribellione alle etichette che gli altri hanno cercato di imporle?
R. Il primo atto di ribellione è stato non omettere lo stupro che ho subito, affrontandolo da solo e decidendo di non auto-colpevolizzarmi. A mia madre l’ho rivelato solo tre o quattro anni fa mentre mio padre forse lo ha scoperto ora leggendo il libro. Ho respinto con forza le etichette che hanno cercato di impormi qui in Italia e in Pakistan, decidendo di definire io stesso la mia identità, poiché nessuno conosce a fondo la mia vita. Infine, di fronte all’ingiusta accusa di stare con Carlo, mio marito, solo per interesse economico, non ho ceduto al dolore che queste parole avrebbero potuto causarmi.
D. Come autore, qual è il suo obiettivo principale nel raccontare storie come quella di Saif? E quali speranze nutre per il dialogo e la comprensione interculturale?
R. L’obiettivo non è soltanto narrare la mia storia personale anche se in un certo senso volevo raccontare un dolore e dire al mondo: “Guardate cosa mi avete inflitto”. C’era sicuramente la necessità di trasformare, la mia vita in letteratura in modo che diventi strumento collettivo di riflessione. La mia intersezionalità come strumento di denuncia di un sistema disumanizzante. Ad esempio, i discorsi sull’immigrazione e sugli stranieri presenti nel libro mirano a fornire contro-narrazioni e svelare tutte le contraddizioni e le incongruenze delle narrazioni dominanti e mostrare quanto talvolta siano ridicole”. (aise)