La Voce di New York/ In vigore i dazi di Trump sul mondo, il Brasile al 50% il più colpito – di Alessandra Quattrocchi

NEW YORK\ aise\ - “Adesso la guerra commerciale dell’amministrazione Trump è planetaria e, come tutte le politiche della sua amministrazione, rivela il disprezzo per ogni forma di multilateralismo (i negoziati al massimo si fanno in due, Washington contro un partner-avversario). I dazi “reciproci” specifici paese per paese, annunciati dalla Casa Bianca una settimana fa – proprio prima della scadenza del termine del 1° agosto – sono entrati in vigore un minuto dopo la mezzanotte (ora di Washington) di giovedì. Decine di paesi si trovano ora ad affrontare tasse più elevate sulle loro esportazioni verso gli Stati Uniti”. Ne ha scritto Alessandra Quattrocchi sulle pagine di “La voce di New York”, quotidiano online diretto da Giampaolo Pioli.
“Poco prima della mezzanotte, Trump ha dichiarato sui social media che miliardi di dollari cominceranno ad affluire negli Stati Uniti grazie a questi dazi: “L’unica cosa che può fermare la grandezza dell’America sarebbe un tribunale radicale di sinistra che vuole vedere il nostro Paese fallire,” ha scritto il presidente – come al solito tutto in lettere maiuscole – facendo riferimento a un caso in corso presso una corte d’appello degli Stati Uniti, che sta valutando se la decisione rappresenti un abuso d’ufficio.
Le aliquote variano: dal 41% sulla Siria devastata dalla guerra al 10% per il Regno Unito, al 15% negoziato con l’Unione Europea; ma al Brasile, colpevole di avere Luis Ignacio Lula da Silva come presidente e di perseguire in giustizia l’ex capo dello Stato Jair Bolsonaro, tocca il 50%.
Funziona così: i dazi sono applicati in aggiunta a quelli doganali ordinari previsti per i prodotti importati negli Stati Uniti. Questo significa, ad esempio, che anche se il livello “reciproco” del Brasile è del 10%, la tariffa totale arriva al 50%, in seguito a un ordine esecutivo che ha imposto un ulteriore dazio del 40% da mercoledì.
L’UE è l’unico partner commerciale per cui la tariffa base – fissata al 15% grazie a un accordo quadro – includerà i dazi precedenti. Quindi, ad esempio, i formaggi che normalmente sono soggetti a dazi del 14,9%, saranno tassati al 15% e non al 29,9%.
Dalla comunicazione di giovedì scorso, i governi di tutto il mondo si affanno a cercare di raggiungere accordi con la Casa Bianca. Per esempio la presidente della Confederazione svizzera, Karin Keller-Sutter, è arrivata Washington martedì per due giorni di incontri con alti funzionari dell’amministrazione Trump, nel tentativo di revocare il dazio del 39% imposto al suo paese che ha colto di sorpresa il governo al momento dell’annuncio. Il governo svizzero ha programmato una “riunione straordinaria” giovedì, al ritorno dei funzionari da Washington.
I dazi per l’India, attualmente al 25%, potrebbe salire fino al 50%, dopo che Trump ha firmato mercoledì un ordine esecutivo che impone un aumento per punire Nuova Dehli che ha comprato petrolio dalla Russia. Delhi ha 21 giorni per rispondere. Trump ha minacciato di usare la stessa tattica con altri paesi che commerciano con la Russia.
Trump aveva annunciato per la prima volta questo pacchetto di dazi specifici per paese il 2 aprile, una data da lui definita “giorno della liberazione”, affermando che il resto del mondo ha “saccheggiato” gli Stati Uniti per decenni. Dopo una pausa di 90 giorni introdotta una settimana dopo, e una successiva tregua di quattro settimane annunciata il 7 luglio, venerdì scorso la Casa Bianca ha confermato le nuove tariffe.
Fra i partner commerciali che hanno già ottenuto riduzioni attraverso negoziati o comunque sono arrivati a un compromesso, per quanto penoso, oltre al Regno Unito e all’Unione europea, ci sono Thailandia, Cambogia, Vietnam, Indonesia, Filippine, Giappone, Corea del Sud, Pakistan.
Altri paesi stanno ancora negoziando dazi per ora escluso dall’annuncio del primo agosto. Mentre il Canada è stato colpito da una tariffa totale del 35%, il Messico ha evitato un aumento della sua aliquota del 25% grazie a una proroga di 90 giorni. La Cina affronta dazi del 30%, ma continuano i negoziati in vista della scadenza del 12 agosto per l’imposizione di dazi più elevati.
Mercoledì, Trump ha anche avvertito che gli Stati Uniti imporranno un dazio di circa il 100% sui chip semiconduttori importati da paesi che non producono negli USA o non hanno intenzione di farlo.
La tattica della Casa Bianca continua ad essere la stessa: suggerire ai partner, e soprattutto alle aziende dei paesi stranieri o a quelle americane che creano componentistica in paesi a costo del lavoro più basso, che se verranno a produrre direttamente in territorio statunitense le spese che sostengono saranno compensate dall’assenza di dazi.
Così Apple ieri ha annunciato un nuovo investimento da 100 miliardi di dollari per la produzione e la distribuzione direttamente in Usa, portando il totale degli investimenti in USA a 600 miliardi nei prossimi quattro anni. L’ad Tim Cook ha annunciato di essere “orgoglioso di varare il nostro nuovo American Manufacturing Program”.
Questa tattica iper aggressiva – e unilaterale, fuori da qualunque negoziato davanti a un arbitro superiore – significa anche che molti prodotti esteri diventeranno carissimi per i consumatori americani, limitandone l’acquisto ai pochi che possono permetterselo. Invece toglie mezzi di sostentamento ai cittadini di paesi terzi dove le aziende americane sono andate nei decenni a produrre attirate da costi del lavoro più bassi.
Di seguito un elenco di paesi con il livello dei dazi complessivi ora in vigore: per il cattivo Brasile il 50%. Per la Siria il 41% e per Laos e Myanmar il 40%. Per la Svizzera (tutti quegli orologi….) il 39%. Per l’Iraq, la Serbia, il Canada il 35%. Per Cina, Algeria, Bosnia, Libia, Sudafrica il 30%. Per Messico, India, Brunei, Kazakhstan, Moldova, Tunisia il 25%. Fra il 20 e il 19% la maggioranza dei paesi asiatici. Il Nicaragua, chissà perché, unico al 18%. Moltissimi paesi africani sono al 15%, come anche Israele, Giordania, Islanda, Nuova Zelanda, Norvegia Afghanistan, Bolivia, Ecuador, Venezuela.
Il premier laburista britannico Keir Starmer con il compromesso ottenuto al 10% è quello che ha negoziato meglio, in virtù della ‘storica’ amicizia fra i due paesi. Per la tanto bistrattata Unione Europea, il 15% ottenuto dai negoziatori di Ursula von der Leyen, sebbene molto criticato, in questo panorama di desolazione appare quasi un successo. Il punitivo 50% del Brasile è il più alto.
I mercati internazionali comunque hanno assorbito il colpo da tempo; nessuna piazza pare risentire oggi dell’entrata in vigore delle nuove percentuali”. (aise)