La voce di New York/ Intervista a Giosafat Riganò, direttore di Ice LA su dazi e startup – di Valeria Sabatini


NEW YORK\ aise\ - “Mancano meno di due mesi all’apertura del CES, il Consumer Electronics Show, la più grande fiera del mondo dell’elettronica e innovazioni tecnologiche. L’evento si svolgerà come di consueto a Las Vegas, dal 6 al 9 gennaio. Sarà la prima edizione nell’era dei dazi imposti dal presidente americano Trump. Storicamente il CES rappresenta la vetrina più importante per l’industria dell’alta tecnologia, dove le menti più brillanti e le aziende più innovative si incontrano, si discute e si scommette sui prodotti presentati. Tuttavia, per l’edizione 2026 non si può fare a meno di chiedersi se il mutato scenario economico, abbia cambiato le prospettive per le aziende hi-tech e per quelle startups che guardano agli Usa come mercato preferito per operare. Per quanto riguarda l’Italia, sempre presente alle edizioni del CES, la compagine delle startups è certamente quella che stuzzica gli interessi e curiosità maggiori. Per capire qual è l’umore tra queste aziende e se i dazi imposti dall’amministrazione Trump preoccupano, abbiamo contattato Giosafat Riganò, direttore di Ita-Ice Los Angeles, l’agenzia del governo italiano per la promozione all’estero e l’internazionalizzazione delle imprese italiane. A quanto pare ci aspetta un’edizione 2026 non solo interessante ma tutt’altro che dimessa in termini di aspettative e risposte ai dazi”. Ad intervistare Riganò è stata Valeria Sabatini per “La voce di New York”, quotidiano online diretto da Giampaolo Pioli.
“D. Riganò, lei è direttore dell’agenzia Ita che negli Usa è responsabile del settore, tra gli altri, dell’alta tecnologia e innovazione, e al Ces storicamente portate le startups più interessanti. Sarà un’edizione differente per le startups italiane vista l’incognita dazi?
R. Mi permetto di dire che indipendentemente dai dazi, in realtà la prossima edizione CES sarà una straordinaria edizione. Per la prima volta avremo un numero ancora più elevato di aziende, maggiore rispetto a quello che abbiamo avuto l’anno scorso, (furono 46 le startup italiane a CES 2025 ndr.) è questa è una risposta più che positiva nonostante e a prescindere dai dazi perché significa che continua ad essere importante la domanda di Made in Italy, di innovazione, di tecnologia italiana. Il riscontro che abbiamo ricevuto in termini di adesioni ci renderà uno dei padiglioni più numerosi, a Las Vegas porteremo 60 aziende. Sono numeri importanti e siamo felici di questo. Non c’è migliore risposta anche a fenomeni contingenti come l’esito che stiamo avendo, che abbiamo avuto di adesioni da parte delle aziende. Di questo siamo contentissimi. Al CES avremo una superficie espositiva maggiore rispetto al passato a dimostrazione di un trend in crescita che non si è mai interrotto.
Per chi si appresta a visitare CES 2026, va ricordato che, così come avvenuto per la prima volta nell’edizione dello scorso anno, ci sarà un’altra esposizione italiana, nella sezione automotive, portata dall’ufficio ICE di Chicago in collaborazione con ANFIA. Sarà una presenza importante a dimostrazione di quanto l’Italia risponderà positivamente alla chiamata CES.
D. Se si dovesse spiegare al lettore medio che magari non ha tutte le conoscenze economiche per comprendere cosa sta accadendo, cosa significano i dazi per una giovane azienda che vuole entrare nel mercato americano?
R. Molto semplicemente io dico sempre che chiunque voglia fare business lo deve fare in maniera consapevole, conoscendo le regole e sapere come muoversi. Questo vale non soltanto oggi per un problema contingente come quello dei dazi ma per qualsiasi processo di esportazione e di internazionalizzazione di un’azienda. Oggi, soprattutto a seguito del protocollo d’intesa firmato da Unione Europea e Stati Uniti lo scorso 27 luglio sappiamo bene che il dazio trasversale, tecnicamente i cosiddetti dazi selettivi, valgono per le merci europee provenienti dall’Unione Europea il 15%. Questo 15% dovrà essere pagato al momento dello sdoganamento della merce. Dico però attenzione, perché, a parte le esenzioni che talvolta si possano determinare, affinché queste possano valere si devono verificare tre condizioni. Un’azienda per operare su un tale mercato dovrà innanzitutto classificare il proprio prodotto. Dovrà dichiararne l’origine e, soprattutto evidenziarne, dichiarandolo, il valore. Le tre parole magiche si potrebbe dire, sono appunto classificazione, origine e valore. Sono tre elementi imprescindibili con le quali ogni azienda esportatrice si deve confrontare. Per esportare negli Stati Uniti significa classificare correttamente la propria merce, applicare un codice doganale univoco. Una volta superata la fase della classificazione c’è la dichiarazione d’origine. Infine dichiararne il valore. Il dazio, in questo caso del 15% viene applicato sul valore dichiarato della merce. Quest’ultimo aspetto è particolarmente significativo per l’applicazione o nel caso ne sia esente, su quella determinata merceologia.
D. L’obiettivo principale dei dazi è proteggere la produzione interna americana fatta da aziende americane. Con queste condizioni vale comunque la pena per un’azienda che si affaccia sul mercato, cercare di farsi notare negli Stati Uniti?
R. Lo è eccome, anzi in una stagione come questa diventa essenziale. Non dimentichiamo che la startup significa innovazione. La startup è pronta ad offrire e portare sul mercato, in questo caso americano, una tecnologia che potenzialmente può essere di grandissimo interesse. Voglio però sottolineare, che ciò non deve essere visto con l’idea di vendere la propria tecnologia, ma al contrario con di trovare magari in questo mercato chi possa contribuire ad accelerare ed a “scalare” per usare il linguaggio delle startups, cioè a crescere ed attrarre investimenti all’interno del capitale fondativo di una startup italiana. In una stagione come questa lo è ancora di più a dimostrazione che la collaborazione anche industriale tra Italia e Stati Uniti non si sia mai interrotta.
D. Già ad aprile, un paio di settimane dopo l’introduzione dei dazi, sugli organi di informazione economica si parlava di un effetto a cascata di scenari negativi per le startups. Alcune hanno scelto di costituirsi legalmente negli Stati Uniti: potrebbero trovarsi penalizzate nel vendere in Europa. Allo stesso tempo, le realtà che sviluppano soluzioni di intelligenza artificiale, spesso integrate in macchinari esportati da partner industriali, rischiano di venire escluse dal mercato americano se le aziende produttrici dovessero rinunciare all’export per motivi economici. Sette mesi dopo qual è la realtà che ci si trova davanti?
R. I dati che noi abbiamo dimostrano esattamente il contrario. Le aziende non rinunciano affatto ad esportare verso questo mercato. Il nostro export non è mai stato influenzato negativamente. Se ci sono aziende che per politica interna decidono di aprire filiali negli Usa, cosa che avviene già per aziende di dimensioni maggiori e strutturate, non lo fanno soltanto per il discorso dei dazi ma perché c’è una politica industriale e strategia aziendale a monte che è partita molto tempo prima e che trova in questa fase una più rapida realizzazione. Non ci dobbiamo mai dimenticare che gli Stati Uniti costituiscono il secondo mercato di destinazione del nostro export, dopo la Germania ci sono proprio gli Usa. Per noi questo mercato è essenziale. È giusto per ogni azienda diversificare le esportazioni ma non possiamo sottacere l’importanza storica dei nostri rapporti con gli Stati Uniti.
D. Gli italiani notoriamente hanno spirito di adattamento, un imprenditore italiano ha dalla sua una flessibilità mentale che spesso manca alla controparte americana più ligia a seguire le “regole del manuale”. In questi mesi, nelle sue relazioni con le aziende italiane che atteggiamento ha visto di fronte alle difficoltà create dai dazi?
R. Chiaramente avremmo tutti fatto a meno dei dazi, però posso dire che nonostante la preoccupazione iniziale dei primi mesi, una volta che la percentuale del dazio è stata certa e fissata nel protocollo d’intesa del 27 luglio, i timori si sono dipanati e la certezza ha prevalso. Questo ci ha permesso ci ha permesso di riportare quella tranquillità ed attenzione consapevole che non ha mai interrotto il flusso di esportazioni verso questo mercato. L’incertezza legata al dazio avrebbe potuto nuocere invece i nostri imprenditori hanno saputo reagire molto bene anche nella fase iniziale. I numeri delle nostre esportazioni riferiti ai primi otto mesi di quest’anno lo confermano, le esportazioni sono in crescita rispetto allo stesso periodo dell’anno scorso. Ad oggi le variazioni percentuali sono tutte positive e ciò è confortante. Dovremo attendere i dati di fine anno ma ad oggi dai risultati periodici Istat e la fonte locale del Dipartimento del commercio americano registrano variazioni positive. In conclusione vorrei che venisse sottolineato questo: un messaggio positivo, senza creare inutili allarmismi perché per fortuna non c’è nulla di cui allarmarsi. Il malato non è grave, l’importante è esportare in maniera consapevole per portare beneficio alle aziende e al nostro mercato”. (aise)