Messaggero Sant’Antonio/ L’orgoglio di un’identità – di Vittorio Giordano

PADOVA\ aise\ - “La NIAF rappresenta oltre 17 milioni di cittadini di origine italiana, tutela l’eredità storica e culturale degli italoamericani, promuove i rapporti culturali, economici, politici e istituzionali tra le due sponde dell’Atlantico, sostiene le nuove generazioni nei loro percorsi di formazione e crescita professionale. E ogni anno organizza un gala mettendo in vetrina una regione italiana. Il 4 giugno scorso, una delegazione della NIAF è stata ricevuta a Roma, prima dal presidente della Repubblica, Sergio Mattarella, e poi dal primo Papa nordamericano nella storia della Chiesa, Leone XIV. “All’amicizia tra Stati Uniti e Italia, alimentata da così intensi legami politici, sociali e culturali, contribuisce da sempre la numerosa comunità di italiani e di italo-americani che rappresentano un tassello prezioso del ricco mosaico sociale di quel grande Paese”, ha dichiarato Mattarella. “Il vostro lavoro per continuare a educare i giovani riguardo alla cultura e alla storia italiana, come anche per offrire borse di studio e altri aiuti caritativi nei due Paesi, contribuisce a mantenere un legame concreto e reciprocamente benefico tra le due nazioni”, ha affermato il Pontefice. Il 18 ottobre, a Washington DC, in occasione del suo tradizionale gala annuale, la NIAF celebra i suoi primi 50 anni di storia con il Lazio come regione ospite d’onore. A guidare la NIAF è Robert Allegrini, dal maggio del 2021 come presidente, e dall’aprile di quest’anno anche come ceo”. Ad intervistarlo è stato Vittorio Giordano per il “Messaggero di Sant’Antonio – edizione per l’estero” di ottobre.
“Nato a Chicago da una famiglia con radici in Toscana, Piemonte e Valle d’Aosta, Allegrini ha lavorato per anni nel settore alberghiero e delle pubbliche relazioni. Da quattro anni si adopera a tempo pieno per riaffermare il ruolo strategico della NIAF in un’America sempre più complessa, ma ancora desiderosa di identità e radici. Per il suo impegno nella valorizzazione dell’identità italo- americana, Allegrini è stato
insignito del titolo di Commendatore (2002), e nominato Grande Ufficiale dell’Ordine al Merito della Repubblica Italiana (2025).
D. Presidente, il suo italiano è davvero eccellente!
R. Grazie, ho studiato a Firenze e a Perugia, ecco perché. Tra l’altro è la prima volta, in 50 anni di vita della NIAF, che il presidente e il chairman, John F. Calvelli, parlano entrambi l’italiano. Calvelli è di origini calabresi. È nato negli Stati Uniti, ma la sua famiglia è tornata per un periodo in Calabria. Da bambino ha studiato in Italia. Il suo italiano è persino migliore del mio, visto che lui lo parla senza accento!
D. E le sue origini, presidente?
R. Io ho una nonna paterna nata in Valle d’Aosta. La mia famiglia paterna è metà valdostana e metà piemontese. Mia nonna arrivò con la sua famiglia, all’inizio del XX secolo, negli Stati Uniti, e qui sposò mio nonno, originario dell’alto Lazio, al confine con la Toscana. Lui si è sempre definito toscano, forse perché all’epoca il confine era diverso. Dal lato materno, invece, entrambi i nonni sono originari di Lucca, in Toscana. Ma la mia nonna materna è nata a Dayton, nello Stato del Nevada, quando lì c’erano ancora gli indiani: è stata una vera pioniera. Poi la mia bisnonna, sua madre, si ammalò durante quegli anni di frontiera, e i medici le consigliarono di tornare in Italia per via del clima. Così la famiglia lasciò il west americano per rientrare a Lucca, dove poi nacque mia madre. Quindi, da parte materna ho una nonna americana, ma mia madre è nata in Italia. Io, invece, sono nato a Chicago, in Illinois. Peccato che la famiglia, quando è tornata negli Stati Uniti, non abbia scelto di nuovo il clima caldo del Nevada, ma quello freddo dell’Illinois.
D. Lei è nato e cresciuto a Chicago, come papa Leone XIV.
R. Sì, vengo da un sobborgo che si chiama Elmwood Park. All’epoca era un quartiere a forte presenza italo-americana, e questo è stato un vantaggio: nella scuola secondaria offrivano ben quattro anni di italiano. Quell’esperienza mi ha permesso di mantenere un legame con le mie radici, e mi ha fornito una solida base linguistica, rivelatasi preziosa nel tempo.
D. Poi ha proseguito gli studi in Italia.
R. Sì, ho frequentato l’Università in Illinois, e ho vinto una borsa di studio offerta dalla Regione Toscana per trascorrere un anno di Graduate school presso la Scuola di Scienze Politiche «Cesare Alfieri» dell’Università di Firenze. Così ho completato parte dei miei studi post-universitari in Italia.
D. A quel punto è tornato negli Stati Uniti dove è cominciata la sua carriera professionale.
R. Ho iniziato nel settore alberghiero, lavorando per vent’anni nel gruppo Hilton. Proprio qui, negli ultimi dieci anni, ho ricoperto il ruolo di vice-presidente della comunicazione per tutto il Nord e Sud America. Parlo molto bene lo spagnolo; purtroppo non il francese, nonostante la mia nonna materna, originaria della Valle d’Aosta, lo parlasse in modo impeccabile.
D. La comunità italiana è sempre stata nel suo cuore. Anche prima che lei approdasse ai vertici della NIAF.
R. Sì, ho partecipato al mio primo gala della NIAF negli anni Ottanta del secolo scorso, quando ero direttore esecutivo del Congresso delle Associazioni italiane di Chicago, noto come Joint Civic Committee of Italian Americans. Sono stato sempre profondamente legato alla comunità italo-americana, forse anche perché negli anni Cinquanta mia madre lavorava come segretaria al Consolato d’Italia di Chicago. Anche mio padre, nato a Chicago e banchiere di professione, parlava un italiano perfetto e lo utilizzava ogni giorno con i clienti della banca.
D. Quanti sono gli italo-americani?
R. Ufficialmente, secondo l’ultimo censimento decennale, siamo poco più di 17 milioni: parliamo di chi si riconosce esplicitamente come di origine italiana. Ma sono convinto che il numero reale superi i 20 milioni. Da quando, nell’aprile del 2024, abbiamo avviato una collaborazione con la CIBPA (Canadian Italian Business and Professional Association), l’Associazione dei Professionisti Italo-Canadesi, abbiamo ulteriormente ampliato il nostro raggio d’azione. Considerando l’intera discendenza italiana presente in Nord America, possiamo affermare che superiamo i 20 milioni.
D. Com’è cambiata la comunità italo-americana negli ultimi 50 anni? E quali attività organizza la NIAF per supportarla?
R. Ormai siamo una comunità pienamente integrata nel tessuto sociale americano. Cinquant’anni fa esistevano ancora episodi di razzismo, discriminazione e stereotipi legati alla mafia. Oggi tutto questo appartiene al passato. Lo vediamo chiaramente anche in ambito politico: due dei candidati alle ultime primarie per la presidenza degli Stati Uniti – Ron DeSantis, governatore della Florida, e Chris Christie, ex governatore del New Jersey – sono di origine italiana. E pensiamo agli ultimi tre speaker della Camera, la terza carica istituzionale del Paese dopo il presidente e il vice-presidente: tutti e tre di origine italiana. Nancy Pelosi, naturalmente, lo dichiara con orgoglio. Ma anche Kevin Mc- Carthy, il cui cognome suona irlandese, aveva un nonno molisano. E persino l’attuale speaker, Mike Johnson – nome che sembra americanissimo – in realtà ha un nonno siciliano, Guido Messina. L’anno scorso, al Forum Ambrosetti, Johnson ha iniziato il suo intervento dicendo: “Sono un fiero italo-americano e felice di essere tornato nella terra delle mie origini”. Questo è il segno di quanto siamo ormai presenti e riconosciuti anche ai massimi livelli. Proprio per questo la missione della NIAF è cambiata. Se all’inizio era nata per combattere discriminazioni e pregiudizi, oggi vuole essere soprattutto un ponte tra Italia e Stati Uniti. Vogliamo rafforzare il legame tra i due Paesi e, allo stesso tempo, mantenere viva la cultura italiana qui in America. C’è una grande voglia di riscoprire le radici, soprattutto tra i giovani. Ma spesso i nonni italoamericani si sono limitati a trasmettere solo alcuni aspetti della nostra identità, come la fede e la cucina, fondamentali certo, ma non sufficienti a raccontare tutta la ricchezza del nostro patrimonio culturale. Ecco perché, attraverso sovvenzioni, borse di studio e programmi educativi, investiamo ogni anno quasi 700mila dollari in progetti che promuovono libri, film, conferenze e altre iniziative legate all’italianità. Ad esempio abbiamo sostenuto con 100mila dollari la produzione del film Cabrini, dedicato alla vita della
prima santa americana di origine italiana. È un modo per far conoscere storie importanti che spesso vengono dimenticate. In più, investiamo fino a 800mila dollari all’anno in borse di studio e programmi di formazione. Tra questi, il «Voyage of Discovery», che porta giovani italo-americani che non sono mai stati in Italia, a visitare il Paese dei loro nonni. Nell’aprile del 2024, grazie a un accordo di collaborazione con la CIBPA, abbiamo esteso il programma anche ai giovani italo-canadesi, trasformandolo in un’iniziativa italo-americano-canadese: un’esperienza straordinaria di scambio culturale e di riscoperta delle proprie radici. Nel 2023, infine, abbiamo lanciato i «DiLella Fellows», un’iniziativa che seleziona giovani professionisti già affermati e li porta in Italia, prima al Forum Ambrosetti e poi a Roma, in Parlamento, e successivamente a incontrare l’ambasciatore americano e altri rappresentanti delle istituzioni. In questo modo possono conoscere l’Italia reale, oltre gli stereotipi televisivi o cinematografici. E diventano, a tutti gli effetti, i futuri leader della NIAF.
D. Parliamo di questo 50esimo della NIAF.
R. Celebriamo questo importante traguardo in vari modi. Il primo è la collaborazione con il Forum del Gruppo Ambrosetti, il principale think tank italiano, considerato il «Davos d’Italia». Ogni anno realizziamo insieme un white paper su un tema rilevante: due anni fa sulla diaspora italiana, l’anno scorso sul turismo delle radici. Quest’anno pubblicano un libro speciale sui 50 anni della NIAF e mezzo secolo di relazioni Italia- Stati Uniti. Un’altra grande iniziativa è il documentario che la RAI dedica alla nostra storia: un’ora intera di immagini e testimonianze. Abbiamo siglato una partnership per la trasmissione di spot pubblicitari durante le partite di Serie A sul canale CBC Sports. Contestualmente, abbiamo rinnovato l’accordo con la Società Dante Alighieri, convinti che la promozione della lingua italiana negli Stati Uniti sia un elemento chiave per la diffusione della nostra cultura. Poi, grazie al ministro Adolfo Urso e al ministero delle Imprese e del Made in Italy, viene emesso un francobollo celebrativo dedicato alla NIAF.
D. Qual è il ruolo della NIAF nel fare da ponte tra gli Stati Uniti di Trump, l’Europa e l’Italia?
R. Il nostro ruolo è prima di tutto quello di rassicurare l’Italia. Qui negli Stati Uniti gli oltre 17 milioni di italo-americani sono i più fedeli sostenitori dell’Italia, i suoi ambasciatori più appassionati. Siamo sempre pronti ad aiutare l’Italia in ogni modo possibile. In fondo, siamo noi i principali promotori del made in Italy: tutto parte dagli italo- americani, e da lì si diffonde al resto del Paese.
D. Quindi fate anche opera di lobbying?
R. Sì. Uno dei ruoli fondamentali della NIAF è proprio quello di fungere da ponte con le istituzioni. Siamo il segretariato della IACD (Italian- American Congressional Delegation) che riunisce quasi 40 parlamentari federali di origine italiana. E, pur non essendo una lobby, svolgiamo un’attività di lobbying informale molto efficace, grazie a questa rete di contatti.
D. I giovani italo-americani rappresentano il futuro. Come si possono coinvolgere di più? Vogliono imparare l’italiano e scoprire l’Italia?
R. Il nostro chairman calabrese Calvelli ha lanciato a New York un gruppo dedicato ai giovani professionisti, con l’intenzione di replicarlo in tutto il Paese. Ha iniziato da New York perché lì la presenza di giovani italo-americani attivi nel mondo professionale è più forte che altrove. Negli anni Ottanta, Calvelli stesso aveva fondato un gruppo simile, chiamato Fieri, che poi è diventato un vero e proprio network nazionale, attivo per oltre vent’anni. Oggi ha in mente di rilanciare quel modello, adattandolo alla nuova generazione di italo-americani”. (aise)