Walter Villadei: Ambasciatore italiano nelle Stelle - di Barbara Minafra

SAN FRANCISCO\ aise\ - "Il velo del buio che copre la Terra man mano che il sole tramonta, la luce accecante che in un attimo avvolge l’orizzonte e costringe a voltare lo sguardo, le tempeste viste al di sopra delle nuvole, i fulmini che si propagano con getti di radiazioni ultraviolette verso l’alto, le esplosioni di elettricità che si rincorrono su 2-3mila km, i confini che di notte le luci tracciano sul nostro Pianeta distinguendo le aree densamente urbanizzate dal blu degli oceani e dai Paesi poveri". "Osservare la Terra dallo Spazio è un’esperienza fortissima ed è emozionante vedere l’Italia, soprattutto con la consapevolezza che è un Paese straordinario che ha sempre avuto un ruolo fondamentale nello sviluppo delle attività spaziali", ha detto a "L’ItaloAmericano", magazine diretto a San Francisco da Simone Schiavinato, l’astronauta romano Walter Villadei, 50 anni il 29 aprile, in questa intervista a firma di Barbara Minafra.
"Il colonnello dell’Aeronautica Militare è da poco rientrato dalla missione Axiom-3 Voluntas sulla Iss che ha raggiunto viaggiando per 37 ore sul Dragon di SpaceX. All’Università degli studi di Bari, dove ha iniziato il suo “post flight tour”, racconta il decollo del 18 gennaio dal Kennedy Space Center della Nasa, a Cape Canaveral, e il rientro dopo 21 giorni a largo di Daytona, sempre in Florida, lo scorso 9 febbraio. “Una grande emozione – ha detto – è stata portare nuovamente il Tricolore a bordo della Stazione Spaziale Internazionale”.
Quale ricordo le lascia questa missione spaziale?
“Fallirò in questa ‘missione’: è estremamente complicato riuscire a descrivere alcune delle emozioni, alcune delle immagini che dà lo Spazio, che è un’esperienza unica e straordinaria”.
È l’ottavo astronauta italiano in orbita, il quinto dell’Aeronautica Militare di cui ringrazia la capacità di “mantenere fermo l’obiettivo, seppur lontano” che gli ha permesso di vivere lo Spazio. Ha iniziato l’addestramento nel 2011, quando non si parlava nemmeno di voli commerciali. Eppure è stato lui che, con l’equipaggio di Virtute 1, ha inaugurato il primo volo suborbitale privato partito lo scorso giugno sullo spazioplano di Virgin Galactic e che a distanza di pochi mesi ha preso parte alla terza missionedi Axiom Space, l’azienda aerospaziale statunitense che ambisce a gestire la prima stazione spaziale commerciale al mondo.
La tenacia è proprio l’augurio che rivolge ai più giovani e agli studenti che ha incontrato a Bari, il capoluogo pugliese dove ha sede il Comando delle scuole dell’Aeronautica Militare: “Il mio è stato un addestramento lungo 10 anni, iniziato come cosmonauta in Russia e proseguito negli Stati Uniti dove stava emergendo la Space economy con l’ingresso di privati e industrie. Non è detto che i risultati arrivino subito o nell’intervallo di tempo che ci si aspetta, ma la determinazione e la costanza pagano. Il messaggio per loro è: non fatevi scoraggiare da eventuali temporanei insuccessi ma continuate a perseguire quelli che sono i vostri obiettivi”.
Dalla cupola della Iss, gioiello della tecnologia italiana, arrivano le sue impressioni più belle ma il viaggio ovviamente comincia ben prima, a bordo del razzo. “La cupola è un luogo particolare, la ‘terrazza’ della Iss, la Cappella Sistina della Stazione ma è anche un oggetto ingegneristico estremamente importante che consente di avere una visione a 360 gradi. Affacciarsi da lì e guardare la Terra è un’esperienza straordinaria. La cosa importante da dire è che è stata realizzata dall’industria italiana, un oggetto unico a cui pensa anche Axiom per la nuova stazione, addirittura con dimensioni maggiori”.
Cosa succede quando si è a bordo di una navicella pronta ad essere lanciata?
“La prima emozione è il decollo. Due ore e mezza prima, gli astronauti entrano nella capsula e cominciano a eseguire una serie di procedure. A un certo punto inizia il countdown e il famoso ‘Tre-due.. poi tra l’uno e lo zero tutto comincia a vibrare: si accendono i motori e per una frazione di tempo si ha l’impressione che non accada niente. Non ci alziamo? Che succede? Ma è un attimo in cui la spinta del lanciatore sta combattendo l’inerzia dell’attrazione gravitazionale e per pochissimo hai ancora l’impressione di essere a terra e invece c’è un’accelerazione progressiva fino a 3.2 G del primo stadio, quando si ha la prima sorpresa: il motore si spegne ma si ha la sensazione di proseguire. In realtà il cervello viene ingannato, da moto accelerato si passa a moto decelerato, e si ha la sensazione di scendere quando invece si sta continuando a salire. Tempo 14-25 secondi e si accende il secondo stadio e lì hai un calcio che ti proietta verso l’alto con un’accelerazione progressiva fino a 4.7 G, fino a quando non si spengono i motori e lì senti il corpo liberarsi in microgravità”.
Il racconto della “missione breve più lunga” (avrebbe dovuto volare 14 giorni ma si è protratta per 21) è ovviamente entusiasmante. Il momento di aggancio tra la Iss, che è più alta e più lenta e il razzo più basso e veloce, quando i due sistemi devono sincronizzarsi. La meccanica orbitale che richiede un giorno e mezzo prima dell’allineamento. Attorno la notte spaziale, sotto la Terra, si viaggia tra detriti rocciosi, satelliti e spazzatura spaziale. “Mentre vedi la Iss che si sta avvicinando, la cosa sorprendente è che non si sente quasi nulla. Non ci sono rumori meccanici che danno l’impressione dei ganci che si chiudono. Un momento di equalizzazione delle pressioni tra Dragon e Iss e poi si apre il portellone a cui segue la classica cerimonia di arrivo”.
Occhi blu come la tuta da volo che sul braccio sinistro porta uno smagliante Tricolore, Villadei ha generosamente raccontato l’affascinante volo che gli ha permesso di raggiungere il laboratorio a 400 km dalla Terra dopo un lungo addestramento e la sua esperienza spaziale, tra esperimenti e procedure, in una missione a cui l’Italia ha partecipato con il coordinamento, per la prima volta, dell’Aeronautica Militare.
Come è nata questa missione?
“È nata da una visione dell’Aeronautica Militare che lo scorso anno ha celebrato 100 anni e che nello Spazio ha sempre visto una dimensione in cui proiettarsi. Ma la missione dell’Aeronautica è diventata anche quella del Sistema Paese aggregando, con l’Agenzia Spaziale Italiana, il mondo scientifico, accademico, industriale e istituzionale. Un modello che anche all’estero hanno cominciato a guardare con un certo interesse”.
L’Italia ha da tempo un ruolo importante.
“Quest’anno ricordiamo i 60 anni della messa in orbita del San Marco, il primo satellite artificiale italiano. Siamo stati il terzo Paese a lanciarne uno, proprio con l’Aeronautica Militare e il generale Broglio. Lo Spazio è nato anche qui in Puglia, dove l’Aeronautica aveva una base da cui sono arrivati alcuni dei tecnici che hanno portato ai primi lanci satellitari nel 1964. Oggi la Puglia è una delle regioni che investe di più nello Spazio, che considera un settore strategico, e ha sicuramente una grande potenzialità. L’Italia in generale è uno degli attori protagonisti e nel futuro, aggregando le competenze del mondo scientifico, industriale e accademico, potrà continuare a giocare un ruolo importante. Creare sinergie, coinvolgere giovani e industrie, è la strategia vincente per restare protagonisti a livello internazionale”.
Ma come si vede l’Italia da lassù? Nel suo volo a 28mila km orari, un’alba e un tramonto ogni 45 minuti, 16 volte il giro del pianeta al giorno, in cui a fine giornata l’astronauta italiano ha potuto collegarsi con la famiglia a Roma, la penisola è stata “uno spettacolo straordinario, bellissimo. In una delle prime notti sulla Iss, in una traiettoria che scendeva perpendicolarmente dalle Alpi lungo gli Appennini, in 7 minuti ha mostrato Milano, Firenze, Roma, Napoli, Calabria e Sicilia. Dovete immaginare – ha raccontato – una macchia scura, che è il mare di notte, e l’Italia che spicca per le sue luci. Lo Stivale stretto e lungo completamente circondato dal mare”.
L’attenzione a bordo è sempre altissima ma è impossibile non emozionarsi. “La cosa che mi ha sorpreso di più è quando dalla notte si passa al giorno e viceversa. Quando il sole scende sull’orizzonte inizia gradualmente a stendersi un velo prima grigio scuro e poi nero che copre la Terra mentre dalla Iss, ancora illuminata, si vede la sottile linea azzurra dell’atmosfera, questa nube di gas che avvolge la Terra. Poi anche la Iss entra nel buio e dalla cupola si vede la nuova geografia delle luci: l’Africa quasi completamente buia, l’Europa quasi tutta illuminata. Dopo 45 minuti, si esce dal buio: si fa appena in tempo a vedere la sottile linea che da azzurra diventa leggermente fosforescente, poi gialla-verde, poi arancione-rosso-viola. Si affaccia il sole e in quello stesso attimo è come essere investiti da uno tsunami. Ci vogliono 2 secondi dal momento in cui i primi raggi compaiono all’orizzonte a quando il sole non è più osservabile, si ha appena la percezione dei colori che ti pervadono completamente che già si deve voltare lo sguardo perché la luce non incontra neanche il filtro dell’atmosfera”.
Villadei, sempre puntuale, sorridente e concentrato, si è quindi soffermato sulle attività di bordo, sui tanti esperimenti proposti tanto dal mondo scientifico e industriale quanto dal ministero della Difesa e dall’Asi, l’Agenzia spaziale nazionale. Dai test sulla proteina beta amiloide, che promette informazioni per la cura delle malattie neurodegenerative come Alzheimer o Parkinson allo studio sulla fertilità femminile in condizioni di assenza di peso, al monitoraggio dei pericoli provenienti dallo Spazio per prevenire collisioni tra i sistemi orbitanti. “A Terra ci si immagina che lo Spazio sia enorme invece è sempre più popolato. Sia guardando dal Dragon che sulla Iss si vedono continuamente satelliti che passano vicino. Per l’Aeronautica ho fatto un esperimento simulando un collegamento dalla Iss con il Reparto Sperimentale Volo di Pratica di Mare per misurare i livelli di rischio di avvicinamento di un detrito spaziale alla Stazione. Sette giorni dopo, caso reale: la Nasa ci avvisa che entro 48 ore potevamo avere un avvicinamento con un detrito e quindi di prepararci a una procedura di emergenza. Non è accaduto, ma il concetto di ‘situation awereness’ è evidentemente un’esigenza reale anche perché a bordo non sappiamo cosa c’è attorno, ce lo comunicano i centri di comando e controllo a terra”.
Le applicazioni spaziali in fondo sono già tra noi e parlare di esperimenti e tecnologie è in realtà parlare del cuore delle missioni spaziali. “Tutta questa ricerca ha più di una finalità. La prima è che facciamo ricerca nello Spazio perché questo consente di migliorare le condizioni di vita sulla Terra. L’altro è che la ricerca non fa salti quantici cioè non si prende il premio Nobel con un esperimento: la ricerca è un percorso lungo che richiede costanza e approfondimento. La terza è che quando ci sposteremo dai 400 km dov’è la Iss ai 400mila km della Luna o agli 85 milioni di km di Marte, tutto quello che oggi studiamo, servirà a proteggere gli astronauti che non saranno più a 12 minuti e 40 secondi dalla Terra”.
Per questo bisognerà reinventate la “vecchia” Iss concepita negli anni ‘80-‘90, un aggregato di tecnologie russe e americane, di moduli italiani e giapponesi, ormai piena di standard e sistemi superati. Un luogo dove restare fermi o in equilibrio è un esercizio molto complicato. Di qui l’importanza di esperimenti industriali “come lo sviluppo di tessuti in grado di proteggere dalle radiazioni cosmiche e solari e da quelle secondarie che si generano all’interno della Stazione, e che sono uno dei fattori di rischio principale per gli astronauti”. Una tuta spaziale, ad esempio, è un concentrato di tecnologia: deve garantire protezione ed ergonomia funzionali alla vita extraterrestre.
Ha indossato speciali tute dotate di sensori. Di che esperimento si è trattato?
“La prima tuta prodotta da una startup pugliese l’ho messa a bordo del Dragon e idealmente consente all’astronauta di compensare i voli spaziali facendo un po’ di allenamento, che è la principale contromisura per limitare gli effetti sull’organismo: i muscoli si indeboliscono e le ossa tendono a decalcificarsi. La tuta consente questo allenamento introducendo una resistenza ma solo indossandola, senza dover fare esercizi. La seconda, di una startup marchigiana, punta invece a trasformare la tuta in un oggetto smart con sensori capaci di monitorare l’affaticamento dando all’astronauta indicazioni utili. È stato molto interessante mettere insieme la parte innovazione e ricerca, la parte accademica e quella industriale. Questa convergenza dimostra sviluppi e potenzialità molto interessanti”.
L’astronauta ha quindi risposto alle domande degli studenti dell’Università di Bari, prima di autografi e selfie. Ma qual è il messaggio ai giovani? “Lo spazio – ha detto – non è così lontano, rappresenta una concreta opportunità professionale di crescita non solo per chi desidera diventare astronauta ma anche per tante altre professionalità e si caratterizza come dominio fortemente interdisciplinare. Con il rettore parlavo proprio dell’opportunità di creare progetti e avere studenti che, con passione, possono crescere in quest’ambiente anche perché lo Spazio è una dimensione verso la quale ci proietteremo nei prossimi decenni”.
Se per i nuovi allunaggi si parla del 2027 e i tempi sono maturi anche per immaginare e quindi realizzare stazioni cislunari ovvero orbitanti attorno al nostro satellite, per Marte le tempistiche si allungano sino alla fine del secolo perché la tecnologia non è ancora pronta. Ma gli ambiti di ricerca sono enormi. La tuta è un esempio significativo: “Nasce da esperienze diverse: automotive, fashion design, ingegneria. Mette insieme tecnologia, aspetti medici, sensoristica, materiali innovativi, analisi dei dati. Oggi la sfida – ha detto il colonnello – è operare in maniera traversale e lo Spazio si presta a quest’impostazione. La tuta dimostra perfettamente quante discipline diverse possono essere messe a matrice”. Ma le opportunità sono molteplici. Basti dire che Villadei ha preparato, come esperimento, anche “una buona pasta italiana cotta al dente"". (aise)