Cop30: l’apporto italiano ai lavori nell’intervista all’Ambasciatore Cortese – di Paolo Carlucci

Photo by Ueslei Marcelino/COP30
BELÈM\ aise\ - Un’Italia presente e “ascoltata” quella che ha partecipato ai lavori della Cop30 ospitati a Belèm. Ne abbiamo parlato con l’Ambasciatore italiano a Brasilia, Alessandro Cortese, intervistato a margine dei lavori conclusi sabato 22.
D. Ambasciatore, dieci anni dopo Parigi, la COP30 riconosce di fatto che l’obiettivo di contenere il riscaldamento globale entro +1,5 °C non è stato raggiunto. Cosa significa questo “fallimento” per la diplomazia internazionale e, in particolare, per l’Europa e l’Italia? È ancora realistico parlare di obiettivi globali condivisi?
R. Premetto che non sono un negoziatore, ma un osservatore privilegiato della Conferenza, per cui non posso addentrarmi nei complessi tecnicismi del negoziato. Effettivamente l’obiettivo di aumento massimo temperature di 1,5 gradi entro 2030 si rivela adesso molto difficilmente raggiungibile. Però non parlerei di un fallimento, nel senso che la diplomazia ambientale multilaterale sta compiendo un grande sforzo, anche tramite le COP, per cercare di rimettere le cose in careggiata. Si tratta innanzitutto d’implementare nel migliore dei modi i tanti e importantissimi impegni che sono stati presi negli anni. Per esempio sugli investimenti: é difficile mantenerli troppo ambiziosi, specie quando un importantissimo partner si é chiamato fuori dagli accordi di Parigi e dai negoziati di Belem. Effettivamente un insieme di situazioni rende le cose particolarmente difficil, ma non direi che la diplomazia ha fallito o stia fallendo. Quello che propongono i brasiliani, ma vedremo poi cosa scriveranno nei documenti che non sono ancora circolati, é di rilanciare il processo e d’implementare ció che é stato deciso a Baku lo scorso anno e a Parigi 10 anni fa. È di grande importanza che la COP continui a tenersi ogni anno, perché questo attira l’attenzione dei nostri leaders e spinge i Paesi a fare uno sforzo importante, rendendosi anche l’opinione pubblica conto che se ció non avviene, il nostro pianeta così come lo conosciamo potrebbe finire male in tempi non lunghissimi. Naturalmente i brasiliani si pongono obiettivi ambiziosi, anche perché hanno una risorsa fondamentale per il futuro del pianeta che é l’Amazzonia, che va preservata in tutti i modi perché é quella da cui dipende in buona parte il mantenimento di un clima che non porti agli eccessi estremi che stiamo vivendo. Eventi estremi che in passato avvenivano a distanza di anni mentre invece oggi avvengono con grandissima frequenza, talvolta a distanza di settimane o mesi in differenti parti del mondo. Siamo tutti ormai consapevoli dell’emergenza clima e pochi sono i paesi che non riconoscono questo problema.
D. Uno dei cardini di questa Conferenza è la mobilitazione di 1.300 miliardi di dollari l’anno per i Paesi in via di sviluppo entro il 2035. Secondo lei, il sistema internazionale dispone davvero degli strumenti – politici e finanziari – per rendere credibile un impegno di tale portata? E quale ruolo può giocare l’Italia, anche attraverso la cooperazione e il know-how tecnologico?
R. Guardi prima dicevo che gli obbiettivi spesso sono molto ambiziosi. Ma questo é molto importante perché l’impegno sia maggiore. Ad esempio, dei 1.300 miliardi discussi a Baku alla fine del negoziato, si é arrivati a 300 miliardi che peraltro è cifra di tutto rispetto. Poi é importante monitorare l’effettiva attuazione degli impegni da parte della membership. Non è facile né scontato. Da parte brasiliana, e questo è condivisibile, è importante anche individuare maniere originali per reperire risorse, attraverso partenariati pubblico-privati, il coinvolgimento più pro attivo delle banche di sviluppo, e così via. Per esempio, presso il Padiglione italiano presso la COP, si é tenuto a inizio settimana un evento realizzato dall’Enel dove é stato illustrato come l’azienda investa nelle energie rinnovabili e alternative in Brasile. Anche Cassa Depositi e Prestiti, in un evento che si é tenuto nei giorni scorsi qui a Belem, sempre nel padiglione italiano, ha indicato di aver messo a disposizione risorse importanti per finanziare progetti nel settore in varie parti del mondo. Chiaramente le risorse che possono essere allocate da uno Stato creano una massa critica mirata. Questo richiede altro lavoro da parte dei governi per assicurarsi che vi sia coerenza nell’attuazione.
D. Il Brasile, Paese ospitante, ha impostato la COP30 su sei pilastri che intrecciano ambiente, sviluppo umano e finanza verde. Come si inserisce l’Italia in questa visione? Ci sono ambiti in cui il nostro Paese può essere ponte tra Europa e America Latina, soprattutto in materia di energia e biodiversità?
R. L’Italia a Belém, possiamo dire, è in prima fila come partecipazione di alto livello: la presenza - non scontata- del nostro Vice Presidente del Consiglio e Ministro degli Esteri Tajani al Vertice dei Leaders in apertura e adesso con il Ministro dell’Ambiente Pichetto Fratin che sta seguendo passo passo, come nelle precedenti edizioni, i negoziati sul documento finale. Posso dire che la voce dell’Italia é abbastanza ascoltata e non solo in seno all’Unione Europea: nei giorni scorsi, ad esempio, il Ministro Pichetto Fratin ha firmato un Memorandum di intenti in materia ambientale, con la Ministra dell’Ambiente del Brasile, Marina Silva. Come il Brasile, l’Italia insiste molto sull’importanza dei biocarburanti anche in sede europea, essendo una risorsa non inquinante e alternativa ai combustibili fossili. È molto importante in materia ambientale, come in tanti altri settori, non fare passi indietro. Anche un piccolo passo in avanti ha il suo peso. Credo il Brasile stia cercando di individuare qui a Belem delle chiavi di lettura originali che consentano di avanzare.
D. L’assenza dei leader delle principali potenze inquinanti – Stati Uniti, Cina, India e Russia – pesa come un macigno. Quanto è difficile negoziare in un contesto in cui mancano i protagonisti decisivi? E cosa può fare la diplomazia europea per evitare che la COP30 si riduca a un forum di buone intenzioni?
R. È vero che qualche Paese è mancato al vertice, ma a mio avviso la partecipazione è stata cospicua: vi erano più di 50 Paesi rappresentati al massimo livello, come l’Italia con il Vice Presidente del Consiglio. Tra quelli che ha citato, la Cina era presente con un Vice Primo Ministro; India e Russia presenti ma ad un livello meno rappresentativo per motivi politici. Certo un partner importantissimo, gli Sati Uniti, sono assenti. Può capitare che un Leader non possa partecipare, ma è più raro che il Paesi non partecipi al negoziato. È una scelta politica che va accettata, ma indubbiamente impatta negativamente sulle ambizioni della Conferenza, specie se pensiamo al ruolo primario svolto dagli Stati Uniti negli ultimi decenni. L’Italia, invece, sostiene questo processo pienamente e siamo perfettamente consapevoli che il problema è serio e va affrontato. Le COP sono servite proprio a questo scopo, ossia mantenere alta l’attenzione e a mantenere alto l’impegno del nostro, come di altri Governi.
D. Le tensioni geopolitiche e la crisi energetica hanno ridisegnato le priorità globali. In questo quadro, è ancora possibile coniugare crescita economica e sostenibilità? Oppure stiamo assistendo a un ritorno al “realismo energetico”, dove l’emergenza prevale sul clima?
R. Concordo appieno: ogni Paese ha le sue priorità e le tante crisi degli ultimissimi anni distolgono l’attenzione dal tema dell’ambiente. È uno dei motivi per i quali - ad esempio - la Russia tiene un basso profilo avendo, per così dire, altre prioritá di per sé non politicamente e climaticamente corrette. In questo momento geopolitico caratterizzato da tanti conflitti è purtroppo chiaro che molti paesi hanno altre priorità. E questo è un problema.
D. Ambasciatore, un bilancio personale: dopo anni di conferenze e vertici, crede che la svolta ecologica sarà frutto di decisioni politiche o di una spinta dal basso, sociale e culturale? E quale contributo può dare l’Italia nel rendere questa transizione non solo verde, ma anche umana?
R. Assolutamente, io direi che questa esigenza sul clima provenga anche dal basso. Se i Governi s’impegnano fortemente in materia ambientale é certamente dovuto alla consapevolezza che la questione deve essere affrontata con urgenza, ma anche perché è un tema molto caro all’opinione pubblica di quasi tutti i Paesi del mondo. Dalla mia esperienza di molti anni devo dire che il multilateralismo, il fatto che le Nazioni lavorino insieme per risolvere un problema che non possono risolvere da sole, è fondamentale. Certo, se la questione é europea, i Paesi europei lo risolveranno insieme. Quando però il problema è globale e bisogna mettere insieme circa 200 paesi, lo sforzo é ben piú imponente e necessita anche di una spinta dal basso: delle popolazioni, delle ONG, della Società Civile, del mondo accademico. La consapevolezza comune ai quasi 200 paesi dell’emergenza climatica è importante per il multilateralismo e per i fori internazionali come la COP30.
D. Lei è già stato a qui per l'incontro del G20 ad Ottobre del 2024 ed ora nuovamente per la COP30, quali sono le sue impressioni sulla città di Belém. L'Italia ha donato per la COP30 al Brasile una piattaforma galleggiante bellissima che come Pavillon Italia ha ospitato vari eventi promossi dal nostro Paese nel corso dell'evento. Come le é sembrata l'accettazione da parte delle istituzioni Brasiliane ed in particolare del Parà e di Belém?
R. Credo che questa sia la quinta volta che vengo a Belém. La prima volta un anno e mezzo fa per la preparazione del G20; poi sono tornato durante la prima metá di questo anno per vedere come andavano i preparativi per la COP30. Quindi ho visto come era la cittá prima e come é adesso. Devo dire che ho notato il cambiamento e l’aspetto della città é visibilmente migliorato anche nelle infrastrutture. Certo, l’impatto per una città come Belem di ricevere 50.000 persone tutte assieme è importante, ma mi sembra che sia stato ben sostenuto anche grazie alle infrastrutture che resteranno. Di questo “nuovo look” fa parte anche il padiglione acquatico AquaPraça portato dall’Italia: una vera e propria piazza fluttuante sull’acqua del fiume, opera architettonica molto importante di Carlo Ratti, che é anche il direttore della Biennale di Venezia di architettura. Ora Aquapraça fa la sua bella figura di fronte alla Casa das Onze Janelas, un luogo iconico di Belem. Devo dire che l’effetto é eccezionale: in meno di due settimane sono stati più di 25.000 i visitatori (numero record per qualsiasi museo del Parà), mentre numerosissimi i side events organizzati dall’Italia durante la COP. Un grande successo italiano, di critica e pubblico. Questo padiglione, che è un po’ il fiore all’occhiello della presenza italiana alla COP, sarà donato allo Stato del Parà. Proprio in questi giorni ci siamo accordati con la Secretária alla Cultura Ursula Vidal concordando i termini di questa donazione. Una operazione “win – win”: da un lato lasciamo un’opera d’arte architettonica straordinaria che oramai fa parte integrante del paesaggio di Belem, ma allo stesso tempo abbiamo mostrato alle autoritá brasiliane quanto noi teniamo al successo della COP. Quindi ha anche un significato molto importante per i rapporti tra i due Paesi e il segno della nostra vicinanza storica al Brasile e a Belém dove negli anni hanno operato diversi architetti italiani, come Landi e Coppedé, che realizzó la bellissima Basilica di Nossa Senhora de Nazaré, una delle piú importanti Chiese del Paese. 120 anni dopo Coppedè, Ratti ha lasciato un nuovo legato italiano a Belem con Aquapraça. (paolo carlucci\aise)