L’ambiente al primo posto

ROMA – focus/ aise – Uno studio frutto della pluriennale collaborazione fra l’Istituto di geoscienze e georisorse del Consiglio nazionale delle ricerche di Pisa (Cnr-Igg), l’Istituto Nazionale di Geofisica e Vulcanologia (sedi di Napoli e Pisa), e la società Steam srl, specializzata nello sviluppo delle tecnologie energetiche geotermiche, ha aggiunto nuovi elementi alla comprensione del bradisismo in atto nella zona dei Campi Flegrei. La ricerca, pubblicata sulla rivista Solid Earth, ha preso in esame, in particolare, i fluidi fumarolici della Solfatara assieme a diverse tipologie di informazioni geo-scientifiche, portando all’elaborazione del modello concettuale del sistema magmatico-idrotermale della Solfatara, e dimostrando che nell’acquifero intermedio, situato a 2,7 – 4,0 km di profondità, si genera la crisi bradisismica, dovuta ai fenomeni di riscaldamento e pressurizzazione graduale dell’acquifero stesso.
“Ci siamo concentrati sullo studio dei fluidi fumarolici in quanto proprio questi gas sono i ‘messaggeri’ che portano in superficie le informazioni relative alle proprie sorgenti presenti in profondità e alle reazioni chimiche che li producono o consumano”, spiega Matteo Lelli, ricercatore del Cnr-Igg tra gli autori dello studio, e associato a INGV. “Questo è stato possibile avvalendoci di particolari geotermometri e geobarometri messi a punto nell’ambito di precedenti indagini, e calibrati per calcolare la temperatura e la pressione dei tre acquiferi presenti a diverse profondità nel sottosuolo flegreo, nel corso degli ultimi 40 anni, in base alle caratteristiche chimiche dei fluidi fumarolici della Solfatara. Per ricostruire il modello concettuale del sistema magmatico-idrotermale della Solfatara abbiamo incrociato le informazioni geo-scientifiche acquisite sia dalle indagini di superficie, sia dai pozzi geotermici che vennero perforati dalla Joint-Venture Agip-Enel già negli anni ‘70-‘80 raggiungendo profondità massime di circa 3 km”.
È stato, così, dimostrato che il riscaldamento e la pressurizzazione graduale dell’acquifero intermedio, posizionato a circa 2.7 – 4.0 km di profondità, sono il motore diretto della crisi bradisismica positiva in atto: tali fattori sono, a loro volta, controllati dal degassamento magmatico, come già dimostrato analizzando le variazioni degli isotopi dello zolfo dell’idrogeno solforato contenuto nei fluidi fumarolici della Solfatara.
“Per quanto concerne le implicazioni di pericolosità, va sottolineato che fino a quando l’acquifero intermedio sarà pressurizzato, potrebbero verificarsi esplosioni idrotermali o freatiche, cioè dovute alla vaporizzazione dell’acqua e all’espansione praticamente istantanea del vapore prodotto che causerebbero lo sgretolamento delle rocce della copertura dell’acquifero intermedio: è importante sottolineare che questo tipo di fenomenologia non implica il coinvolgimento diretto di una massa magmatica”, aggiunge Claudia Principe, ex-dirigente di ricerca del Cnr-Igg e associato a INGV, “Qualora un evento di questo tipo si verificasse, esso determinerebbe la formazione di colate di fango bollente e detriti che si riverserebbero rapidamente al di fuori dell’area sorgente, percorrerebbero i bassi morfologici e si dirigerebbero verso la linea di costa, come già successo in passato alla Solfatara. La condizione che renderebbe possibile questa tipologia di eventi è il superamento della soglia di resistenza delle rocce che coprono l’acquifero intermedio, che a sua volta è favorito dal progressivo indebolimento di queste rocce a causa dei sempre più frequenti eventi sismici concentrati in quest’area”.
Lo studio fornisce anche elementi per monitorare l’evoluzione del fenomeno, comprendere gli scenari futuri e i rischi ad esso associati. “Se la previsione delle esplosioni idrotermali rimane un’operazione complessa - dato che in molti casi tali eventi non sono preceduti da precursori, oppure i precursori sono pochi e troppo vicini all'evento- è comunque possibile mitigare il rischio di esplosione idrotermale tenendo sotto controllo la temperatura e la pressione dell’acquifero intermedio usando i nostri geotermometri e geobarometri a gas”, prosegue Luigi Marini.
“Inoltre, se si potessero analizzare i fluidi di pozzi geotermici che raggiungono l’acquifero intermedio questo monitoraggio sarebbe ancora più semplice: inoltre, questi pozzi geotermici avrebbero come obbiettivo principale la riduzione della pressione dell’acquifero intermedio e quindi il controllo del bradisismo e la mitigazione del pericolo rappresentato dalle esplosioni idrotermali. Certamente questo approccio richiederebbe un notevole investimento, ma avrebbe un ampio ritorno economico grazie alla produzione di energia geotermoelettrica e al recupero di materie prime di estremo interesse, come il litio, contenute nei fluidi geotermici. Le potenzialità geotermiche dei Campi Flegrei furono dimostrate da Agip-Enel negli anni 70 e 80. Gli ostacoli che esistevano allora per lo sfruttamento dei fluidi geotermici oggi non sussistono più grazie ai miglioramenti dei materiali e delle tecnologie di perforazione”.
Il Politecnico Federale di Zurigo (ETH) ha costruito una nuova galleria lunga 120 metri presso il suo BedrettoLab, un laboratorio di ricerca sotterraneo ubicato nel Canton Ticino (Svizzera). Il nuovo tunnel si sviluppa parallelamente a una zona di faglia naturale accuratamente selezionata per condurre gli esperimenti previsti dal progetto FEAR (Fault Activation and Earthquake Rupture), finanziato dal Consiglio Europeo della Ricerca (ERC, nell’ambito dei progetti Synergy) con 14 milioni di euro e finalizzato a dare una risposta a due dei quesiti più importanti e ancora irrisolti della sismologia: cosa accade poco prima dell’inizio di un terremoto? E cosa ne provoca l’arresto?
Grazie alla vicinanza del tunnel alla faglia selezionata, i ricercatori potranno studiare in dettaglio come un terremoto si forma in un determinato punto di una faglia e come si propaga lungo di essa fino a esaurire la propria energia. Usando dei sistemi di osservazione innovativi e installando diversi tipi di sensori, il gruppo di ricerca del progetto FEAR, che comprende oltre all’ETH anche l’Istituto Nazionale di Geofisica e Vulcanologia di Roma (INGV) e l’Università di Aachen (Germania), sta studiando in che modo si muovono le faglie per comprendere meglio i terremoti e i processi di generazione delle onde sismiche responsabili dello scuotimento del terreno durante un evento sismico, con l’auspicio di ampliare i limiti della prevedibilità dei terremoti.
A tale scopo, il gruppo di ricerca internazionale creato dal progetto FEAR ha sviluppato numerose collaborazioni anche con altre Università in Svizzera, Italia, Germania, Francia e USA.
Il team di FEAR ha scavato numerosi pozzi per raggiungere la faglia, installare sistemi di osservazione e studiare i terremoti alla sorgente. Gran parte di essi permette di monitorare i processi all’interno del volume di roccia circostante la faglia; altri servono a iniettare acqua utilizzata per innescare piccoli terremoti. Dotati di una vasta gamma di sensori, questi pozzi formano una rete di monitoraggio all’avanguardia e unica al mondo collocata direttamente sulla faglia selezionata.
I sensori lì presenti hanno una sensibilità adeguata a rilevare piccoli movimenti generati da eventi sismici di magnitudo -5 (un valore negativo della magnitudo Richter) e misureranno parametri fondamentali come la pressione dei fluidi nelle fratture e le variazioni delle deformazioni.
Durante gli esperimenti di simulazione su larga scala che sta approntando il team di FEAR, nella zona della faglia saranno iniettate centinaia di metri cubi di acqua ad alta pressione: l'aumento della pressione del fluido che ne deriva riduce la resistenza (l’attrito) sui piani di faglia, indebolendoli e agevolandone lo slittamento. Questa riduzione dell’attrito può innescare un movimento di faglia e, quindi, un terremoto.
"L’osservatorio sulla faglia è il tassello mancante del puzzle dello studio dei terremoti", ha spiegato il Prof. Domenico Giardini, uno dei quattro coordinatori del progetto FEAR. "Disponiamo di eccellenti reti di monitoraggio in tutto il mondo. Tuttavia, gran parte di loro è collocata sulla superficie, e quindi a molti chilometri di distanza dal punto di origine dei terremoti. Inoltre, anche i pochi sensori nei pozzi si trovano normalmente solo in prossimità delle zone di faglia, non al loro interno".
Nei prossimi esperimenti il gruppo di ricerca di FEAR ha intenzione di generare un sisma di magnitudo 1: un valore ben inferiore alla soglia di percezione umana (che si colloca intorno a una magnitudo 2.5 in superficie), ma pur sempre in grado di produrre forti movimenti del suolo a pochi metri dalla faglia.
I ricercatori possono sfruttare l’approfondita esperienza accumulata negli ultimi quattro anni grazie ai numerosi esperimenti di iniezione svolti nel BedrettoLab con livelli crescenti di pressione, nei quali finora hanno indotto sismi fino a una magnitudo di -0.5.
La fitta rete di sensori collocati sulla zona di faglia e nell’area circostante aiuterà i ricercatori a capire cosa accade prima, durante e dopo un evento di questo genere e, inoltre, consentirà loro di cercare anche dei segnali precursori, che potrebbero essere impossibili da rilevare con sistemi di monitoraggio meno sensibili e che, un domani, potrebbero aiutare a prevedere i terremoti più forti. (focus\aise)