L'ambiente al primo posto

ROMA – focus/ aise – Il Mar Ligure Orientale ha fatto registrare tra il 2021 e il 2024 un aumento sia della temperatura (+0,045 °C all’anno) sia della frequenza e dell’intensità delle ondate di calore, con picchi nel biennio 2022–2023. È quanto emerge dallo studio pubblicato sulla rivista “Journal of Marine Systems” e presentato oggi, 27 novembre, a La Spezia in occasione del workshop dedicato al progetto “Pilota Smart Bay Santa Teresa”, promosso da ENEA, Università di Genova, Istituto di Sociologia Internazionale di Gorizia (ISIG) e altre organizzazioni attive sul territorio. Il progetto, nato nell’ambito del PNRR RAISE, ha permesso di potenziare il primo osservatorio marino del genere in Italia con modem acustici sottomarini, sensori, sonde ad alta precisione ed altre tecnologie innovative per il monitoraggio di temperatura, CO2, pH, ossigeno e clorofilla.
“Le analisi condotte hanno rilevato chiari segnali di cambiamento climatico con le ondate di calore che si dimostrano una minaccia per gli organismi sensibili alla temperatura e per le comunità calcificanti, fondamentali per la biodiversità”, ha spiegato la coautrice dello studio Tiziana Ciuffardi del Laboratorio ENEA di Biodiversità ed ecosistemi presso il Dipartimento Sostenibilità. “Malgrado i cambiamenti in corso”, ha aggiunto, “il Golfo di La Spezia continua ad agire come “pozzo” naturale di carbonio assorbendo CO2, soprattutto nei mesi invernali e primaverili grazie ai processi di calcificazione, come dimostrano i banchi di mitili rilevati”.
Nel corso dell’evento sono state illustrate infrastrutture, tecnologie e soluzioni innovative che alimentano la Smart Bay Santa Teresa, il ruolo degli investimenti PNRR e i contributi di centri di ricerca, imprese e dei numerosi attori del territorio che la sostengono, come il Parco Naturale Regionale di Porto Venere e la Marina Militare.
“Lo studio ha confermato il ruolo strategico degli osservatori costieri ad alta risoluzione nel prevedere gli effetti del cambiamento climatico e nel proteggere gli ecosistemi marini, altamente vulnerabili alle variazioni fisiche e chimiche del mare”, ha detto Chiara Lombardi, responsabile del Laboratorio di Biodiversità ed ecosistemi e coautrice dello studio. “Rafforzare e ampliare la rete di monitoraggio”, ha concluso, “è essenziale per sviluppare modelli previsionali e sistemi di allerta precoce, salvaguardando biodiversità, infrastrutture e attività economiche”.
L’evento ha consentito anche di mettere in luce come la piattaforma Smart Bay Santa Teresa generi opportunità per le comunità costiere nel campo della rigenerazione ambientale e dell’acquacoltura. Sono intervenuti, tra gli altri, il presidente INGV Fabio Florindo, il direttore del Dipartimento Scienze del sistema Terra e tecnologie dell’ambiente del Cnr Francesco Petracchini e rappresentanti del Comando Interregionale Marittimo Nord, Comando Raggruppamento Subacquei ed Incursori, Guardia Costiera e Capitaneria di Porto della Spezia.
“Smart Bay Santa Teresa rappresenta un elemento chiave del progetto PNRR RAISE, che sta trasformando La Spezia in un modello replicabile di sviluppo sostenibile”, ha sottolineato Cristian Chiavetta, responsabile del Laboratorio ENEA di Strumenti per la sostenibilità e circolarità di sistemi produttivi e territoriali. “Stiamo creando un laboratorio a cielo aperto – ha aggiunto – dove vengono testate in condizioni reali i reef costruiti con scarti di mitilicoltura, le microgrid intelligenti e i sistemi di economia circolare portuale”.
“I risultati presentati oggi”, come ha illustrato Giorgio Graditi, direttore generale ENEA, “dimostrano come dati scientifici continui e affidabili siano fondamentali per interpretare gli effetti del cambiamento climatico nel Mediterraneo, in quanto consentono di integrare informazioni geofisiche e ambientali per garantire sicurezza e resilienza del territorio. Smart Bay Santa Teresa”, ha aggiunto, “dimostra come ricerca scientifica, innovazione e collaborazione territoriale possano diventare strumenti concreti per la tutela del mare e per una crescita sostenibile, offrendo al tempo stesso un modello replicabile in altri contesti costieri e portuali a supporto della gestione ambientale e della blue economy”.
A tre anni dalla frana di fango che il 26 novembre 2022 colpì la località di Casamicciola, sull’isola di Ischia, uno studio ha dimostrato come le reti strumentali normalmente utilizzate per studiare terremoti e vulcani possano rivelarsi fondamentali anche per analizzare la dinamica di eventi potenzialmente distruttivi come le frane e per pianificare sistemi di allerta precoce.
Il lavoro, dal titolo “Tracking the November 26, 2022, Casamicciola debris flow through seismic signals (Ischia, southern Italy)”, è stato condotto da un team di ricercatori dell’Istituto Nazionale di Geofisica e Vulcanologia (INGV) e dell’Università di Camerino e ha analizzato l’imponente frana di fango, innescata da piogge eccezionalmente intense, che il 26 novembre 2022 ha interessato Casamicciola causando 12 vittime e l’evacuazione di più di 200 persone, oltre a danni diffusi a edifici e infrastrutture.
“Il nostro studio rappresenta uno dei pochi casi documentati in cui lo scuotimento ad alta frequenza e le variazioni di inclinazione del suolo prodotti da un evento naturale di questo tipo siano stati registrati e studiati”, spiega Stefania Danesi, prima ricercatrice dell’INGV. “I dati registrati dalle stazioni sismiche permanenti dell'INGV hanno infatti evidenziato il distacco e l’evoluzione del flusso fin dai primi istanti, consentendo di ricostruire le diverse fasi della frana”.
“L’analisi delle forme d’onda sismiche ci ha permesso di localizzare nel tempo e nello spazio le origini dei distacchi multipli e di stimare sia la massa del materiale mobilizzato sia la velocità istantanea di propagazione del flusso (tra i 10 e i 15 metri al secondo al momento dell’impatto con gli edifici), oltre alle dimensioni dei massi più grandi, che raggiungevano i 3 metri di diametro”, aggiunge Stefano Carlino, ricercatore dell’INGV. “Le pressioni di impatto calcolate risultano coerenti con i danni osservati nell’area di Celario, dove la frana ha causato i risentimenti maggiori”.
La ricerca, pubblicata sulla rivista scientifica ‘Landslides’, mette in evidenza il potenziale delle reti multiparametriche come base per futuri sistemi di allerta precoce. Secondo gli autori, infatti, l’installazione di una rete dedicata di sismometri e tiltmetri in questo versante dell’isola di Ischia potrebbe garantire una finestra di alcune decine di secondi tra l’innesco del fenomeno e il suo impatto nelle aree abitate, tempo prezioso per l’attivazione di sistemi di allarme. In particolare, considerate le dimensioni relativamente ridotte del fronte delle frane che interessano l’area, questi tempi consentirebbero l’attuazione di procedure di evacuazione della popolazione maggiormente esposta.
“Il nostro lavoro evidenzia come i metodi sismologici consentano di seguire dinamicamente l’evoluzione di frane potenzialmente catastrofiche e di ottenere informazioni quantitative utili per la mitigazione del rischio. In un contesto di cambiamento climatico, con eventi meteorologici estremi sempre più frequenti, disporre di reti di monitoraggio dedicate potrebbe essere un passo significativo per garantire una maggiore sicurezza delle comunità più esposte a questo tipo di rischio”, conclude Nicola Alessandro Pino, Professore ordinario della Scuola di Scienze e Tecnologie dell’Università di Camerino. (focus\aise)