L’appello di Papa Leone XIV: negoziare un futuro di pace per tutti i popoli

ROMA\ aise\ - “Negoziare un futuro di pace per tutti i popoli” e “rigettare quanto possa pregiudicarlo”. È l’esortazione che Papa Leone XIV ha rivolto alla comunità internazionale al termine della recita dell’Angelus domenicale di ieri, 27 luglio, in piazza San Pietro.
“Il mio cuore è vicino a tutti coloro che soffrono a causa dei conflitti e della violenza nel mondo”, ha detto Prevost. “In particolare, prego per le persone coinvolte negli scontri al confine tra Thailandia e Cambogia, specialmente per i bambini e le famiglie sfollate. Possa il Principe della pace ispirare tutti a cercare il dialogo e la riconciliazione”.
“Prego per le vittime delle violenze nel sud della Siria”, ha continuato il Papa, che segue “con molta preoccupazione la gravissima situazione umanitaria a Gaza, dove la popolazione civile è schiacciata dalla fame e continua ad essere esposta a violenze e morte”. Rinnovando quindi il suo “accorato appello al cessate il fuoco, alla liberazione degli ostaggi e al rispetto integrale del diritto umanitario”, il Pontefice ha aggiunto: “ogni persona umana ha un'intrinseca dignità conferitale da Dio stesso: esorto le parti in tutti i conflitti a riconoscerla e a fermare ogni azione contraria ad essa. Esorto a negoziare un futuro di pace per tutti i popoli e a rigettare quanto possa pregiudicarlo”.
Il Papa ha infine affidato “a Maria, Regina della pace, le vittime innocenti dei conflitti e i governanti che hanno il potere di porvi fine” e ha ringraziato “tutti i giornalisti che contribuiscono ad una comunicazione di pace e di verità”.
Durante l’Angelus Prevost aveva illustrato il passo del Vangelo in cui “Gesù che insegna ai suoi discepoli il Padre nostro (cfr Lc 11,1-13): la preghiera che unisce tutti i cristiani. In essa il Signore ci invita a rivolgerci a Dio chiamandolo "abbà", "papà", come bambini, con “semplicità […], fiducia filiale, […] audacia, certezza di essere amati” (Catechismo della Chiesa Cattolica, 2778). Con un'espressione molto bella, il Catechismo della Chiesa Cattolica dice in proposito che “attraverso la Preghiera del Signore, noi siamo rivelati a noi stessi, mentre ci viene rivelato il Padre” (ibid., 2783). Ed è vero: più preghiamo con fiducia il Padre dei Cieli, più ci scopriamo figli amati e più conosciamo la grandezza del suo amore (cfr Rm 8,14-17)”.
“Il Vangelo odierno, poi”, aveva continuato Papa Leone, “descrive i tratti della paternità di Dio attraverso alcune immagini suggestive: quella di un uomo che si alza, nel cuore della notte, per aiutare un amico ad accogliere un visitatore inaspettato; oppure quella di un genitore che si preoccupa di dare cose buone ai suoi figli. Esse ci ricordano che Dio non ci volta mai le spalle quando ci rivolgiamo a Lui, nemmeno se arriviamo tardi a bussare alla sua porta, magari dopo errori, occasioni mancate, fallimenti, nemmeno se, per accoglierci, deve "svegliare" i suoi figli che dormono in casa (cfr Lc 11,7). Anzi, nella grande famiglia della Chiesa, il Padre non esita a renderci tutti partecipi di ogni suo gesto d'amore. Il Signore ci ascolta sempre quando lo preghiamo e se a volte ci risponde con tempi e in modi difficili da capire è perché agisce con una sapienza e con una provvidenza più grandi, che vanno al di là della nostra comprensione. Perciò anche in questi momenti, non smettiamo di pregare e pregare con fiducia: in Lui troveremo sempre luce e forza”.
“Recitando il Padre nostro, però, oltre a celebrare la grazia della figliolanza divina, noi esprimiamo anche l'impegno a corrispondere a tale dono, amandoci come fratelli in Cristo”, aveva proseguito il Santo Padre. “Uno dei Padri della Chiesa, riflettendo su questo, scrive: “Bisogna che, quando chiamiamo Dio "Padre nostro", ci ricordiamo del dovere di comportarci come figli” (S. Cipriano di Cartagine, De dominica Oratione, 11), e un altro aggiunge: “Non potete chiamare vostro Padre il Dio di ogni bontà, se conservate un cuore crudele e disumano; in tal caso, infatti, non avete più in voi l'impronta della bontà del Padre celeste” (S. Giovanni Crisostomo, De angusta porta et in Orationem dominicam, 3). Non si può pregare Dio come "Padre" e poi essere duri e insensibili nei confronti degli altri. Piuttosto è importante lasciarsi trasformare dalla sua bontà, dalla sua pazienza, dalla sua misericordia, per riflettere come in uno specchio il suo volto nel nostro”.
“Cari fratelli e sorelle”, aveva infine concluso rivolgendosi a fedeli e pellegrini raccolti in piazza San Pietro, “la liturgia oggi ci invita, nella preghiera e nella carità, a sentirci amati e ad amare come Dio ci ama: con disponibilità, discrezione, premura vicendevole, senza calcoli. Chiediamo a Maria di saper rispondere all'appello, per manifestare la dolcezza del volto del Padre”. (aise)