Paura, silenzio, isolamento: continua il percorso del Comites New York a supporto delle donne migranti vittime di violenza

NEW YORK\ aise\ - Negli appartamenti delle donne immigrate, la violenza domestica si insinua silenziosa, invisibile agli occhi del mondo. Qui, chi subisce abusi spesso non può denunciare, non può lasciare il partner violento, non può nemmeno parlare liberamente: il visto, il lavoro, la rete familiare sono legati a una persona che controlla ogni aspetto della loro vita. In un Paese straniero, la paura raddoppia e la violenza diventa ancora più drammatica. A queste storie spezzate, il Comites di New York ha deciso di dare voce e, soprattutto, una via d’uscita. In appena due settimane, due incontri pubblici hanno riempito le sale e aperto un varco nella coscienza collettiva; un terzo appuntamento è già previsto per l’inizio del nuovo anno.
Questa successione serrata di incontri è stata possibile grazie a una donazione privata avvenuta durante un altro evento sempre organizzato dal Comites sulla violenza domestica qualche anno fa e che ora ha trasformato le parole in azioni concrete. Un sostegno che ha già cambiato la vita di diverse donne in condizioni gravissime: immigrate con visti dipendenti dall’abuser, senza reddito e senza rete familiare negli Stati Uniti.
“Senza fondi questo programma sarebbe stato molto più impegnativo”, ha spiegato il presidente del Comites, Enrico Zanon, sottolineando la responsabilità morale di chi interviene. Una linea condivisa da Claudia Carbone, presidente della Commissione Diritti Civili: “Abbiamo bisogno di uomini alleati in questa battaglia. Non può ricadere solo sulle donne. Serve un cambiamento culturale, che insegni ai più piccoli che l’amore è rispetto, confini e reciprocità”.
A guidare il dialogo con sensibilità narrativa è stata la giornalista e comunicatrice Francesca Di Matteo, che ha aperto con una domanda semplice ma potente, presa da un libro per bambini: “Che cos’è l’amore?”. Un monito a ricordare che la prevenzione comincia dall’infanzia. Il video di Albina Perri, direttrice del settimanale Giallo, ha mostrato la scia dei femminicidi in Italia, denunciando la necessità di pene adeguate, denunce tempestive e una cultura che non normalizzi la violenza maschile. La lettura di una lettera anonima, scritta da una donna immigrata vittima di un narcisista patologico, ha restituito il peso di un dolore spesso taciuto: manipolazione, isolamento, paura e assenza di una rete di supporto. Gli interventi degli esperti hanno completato il quadro. La terapeuta familiare Alessandra Sabbatini ha illustrato le diverse forme della violenza domestica e le ferite profonde lasciate sui figli, evidenziando anche il ruolo ambiguo dei media. L’antropologa e psicoterapeuta Leide Porcu ha analizzato le radici culturali dell’abuso, legate alla mascolinità tossica e alla socializzazione patriarcale, sottolineando la prevenzione attraverso l’educazione emotiva e modelli di mascolinità non violenta.
Dal fronte istituzionale, Jenny A. Proano, rappresentante dell’NYC Mayor’s Office to End Domestic and Gender-Based Violence (ENDGBV), ha fornito informazioni cruciali sulle risorse disponibili per le vittime, spiegando come sia importante parlare di violenza in contesti dove essa è spesso normalizzata. Ha descritto i primi passi sicuri per cercare aiuto grazie ai Family Justice Centers che accolgono chiunque, indipendentemente dallo status legale, la HOPE Hotline e il programma Respect First, rivolto a persone che hanno causato danno e che necessitano di percorsi di responsabilizzazione e cambiamento comportamentale. “È fondamentale intervenire anche sull’abuser, perché non colpisca di nuovo”, ha spiegato.
Poi, la coach Francesca Carelli ha condiviso la sua esperienza personale di riconoscimento dell’abuso emotivo e di ricostruzione dell’identità, mentre la scrittrice e poetessa María Isabel Dicent ha trasformato emozioni difficili in parole capaci di creare connessione tra i presenti.
Il percorso del Comites era iniziato settimane prima con l’evento “Breaking the Silence: Empowering Voices, Inspiring Change”, moderato sempre da Di Matteo e con la partecipazione di figure istituzionali come la giudice Jessica Earle Gargan, Daniela Castro del Lenox Hill Neighborhood House e Sara Martinez di Sanctuary for Families. Tra testimonianze video e domande dal pubblico, si è parlato di rifugi, sicurezza, educazione finanziaria e percorsi di autonomia. La giudice Gargan ha presentato casi che l’hanno profondamente colpita, ricordando quanto sia complesso per le donne denunciare e come alcune vittime abbiano testimoniato a favore dell’abuser per timore o minacce, ricevendo poi ripercussioni significative, sottolineando l’importanza di richiedere al primo segnale un ordine di protezione anche se non formalmente sposate e di segnalare alla polizia ogni comportamento sospetto che presagisca la violenza.
La chiusura dell’incontro ha lasciato un’eco profonda: “Le vecchie generazioni di donne restavano per i figli. Le nuove generazioni decidono di lasciare per i loro figli”, ha detto la giornalista Di Matteo. Interrompere la violenza significa scegliere la libertà, per sé e per chi verrà dopo.
Il Comites ha quindi deciso di continuare questo percorso nei prossimi mesi con nuovi incontri, strumenti e spazi sicuri. In una città immensa come New York, nessuna persona immigrata dovrebbe sentirsi sola. Perché, a volte, una donazione non finanzia semplicemente un evento: finanzia una via di fuga, un nuovo inizio, una vita salvata. (aise)