Gli italiani all’estero: che tipo di risorsa? - di Nello Gargiulo

SANTIAGO DEL CILE\ aise\ - "Le comunità italiane all’estero sono una risorsa per l’Italia". Questa espressione frequentemente usata rischia di trasformarsi presto solo in un modo di dire, specie se non si va più in profondità, ai contenuti. "Risorsa", infatti, vuol dire anche ricchezza e capacità. E per avere un rapporto costruttivo con le comunità all’estero, l’Italia deve misurarsi sulla base di una reciprocità operativa che valorizzi le peculiari caratteristiche che rendono le comunità interlocutori validi e soggetti di interventi.
Il vasto mondo dei 60 milioni di italo-discendenti porta con sé una grande varietà di cultura che è germinata nelle terre di accoglienza rendendone visibile tanto la dimensione dell’identità come quella dell’integrazione. Due esempi, per quanto detto, sono la cultura e l’economia.
Da una parte l’aumento del numero delle scuole italiane paritarie all’estero, che integrate nelle scuole locali, rende il Sistema educativo e formativo italiano presente nei paesi dove stanno operando. Ma è solo con la fatica e la passione dei connazionali impegnati su questi fronti che si sviluppano queste scuole, così come fanno anche i programmi per la diffusione della lingua e della cultura italiana. Dall’altra parte anche l’aspetto economico e le politiche per l’internazionalizzazione del Made in Italy non solo si basano sulle iniziative di imprenditori che agiscono dall’Italia; ma anche di coloro che nati nei paesi di accoglienza vengono stimolati a promuovere i prodotti italiani, oltre che per il naturale interesse commerciale anche per la passione di sentirsi più italiani e vicini alla Madre Patria.
Qui le camere di commercio italiane all’estero andrebbero ulteriormente potenziate nella linea di creare dei veri programmi di formazione sul Made in Italy diretti, soprattutto, ai giovani imprenditori.
La reciprocità dovrebbe portare con sé anche il riconoscimento di tanti connazionali imprenditori, che con il loro spirito di iniziativa aprono strade nel mondo all’industria e ai prodotti italiani. In questo senso andrebbe riconsiderato anche il criterio con cui ogni anno la Presidenza della Repubblica assegna quelle Onorificenze con il grado di Cavalieri del Lavoro. Viene da chiedersi: perché solo uno dei connazionali all’estero del mondo del lavoro ne viene insignito?
Anche qui sarebbe il caso di dare maggiore spazio anche a quegli imprenditori che all’estero elevano la parte più nobile del lavoro italiano con innovazioni, creazione di posti di lavoro e anche con importanti dosi di solidarietà per ridurre le disuguaglianze sociali.
Gli equilibri e la stima renderanno l’espressione "risorsa per l’Italia" certamente più ricca ed efficace. (Nello Gargiulo\ aise)
* membro del Cgie per il Cile