Addio a Vargas Llosa: morto l’ultimo interprete della generazione d’oro della letteratura latinoamericana

Swedish Academy Helena Paulin Stromberg
ROMA\ aise\ - Lo scrittore peruviano, naturalizzato spagnolo, Mario Vargas Llosa è morto ieri, 13 aprile, a Lima all’età di 89 anni. Lo scrittore, premio Nobel per la letteratura nel 2010, era l’ultimo grande interprete della generazione d’oro della letteratura latinoamericana.
Ad annunciare la scomparsa è stato il figlio, Alvaro Vargas Llosa, tramite un post social firmato anche dal fratello Gonzalo e dalla sorella Morgana. “È morto circondato dalla sua famiglia e in pace – si legge nel post -. La sua dipartita rattristerà parenti, amici e lettori in giro per il mondo, però, speriamo vi sia di consolazione come lo è per noi, ha vissuto una vita lunga, multipla e fruttuosa, lasciando dietro di sé la sua opera, che sopravvivrà”.
Vargas Llosa, nato ad Arequipa il 28 marzo 1936, insieme al colombiano Gabriel Garcia Marquez e all’argentino Julio Cortazar, è stato uno dei grandi protagonisti del boom letterario latinoamericano negli anni ’60 e ’70.
Oltre che romanziere, per cui si apprezzano le sue descrizioni della realtà sociale, le battaglie intimiste e il suo realismo crudo, Vargas Llosa è stato anche giornalista, saggista e politico. È stato autore di capolavori come quello ferocemente anti-militarista “La città e i cani”, che all’epoca della sua pubblicazione suscitò un forte dibattito e un’aspra critica da parte dei vertici militari e governativi peruviani. Oppure de “La casa verde”, dove narra, sfiorando il realismo magico e il fatalismo, degli indios peruviani e dei suoi sfruttatori. E poi ancora “Conversazione nella Cattedrale”, “Pantaleón e le visitatrici”, “La zia Julia e lo scribacchino” e “La guerra della fine del mondo”. È con questi ultimi titoli della fine degli anni ’70 e inizio ’80 che avviene quella che può essere definita una vera e propria “inversione a U” a livello di temi e a livello politico-economico-sociale. Una inversione a U che prima lo vedeva sognante con la rivoluzione, molto vicino ai movimenti della sinistra sudamericana e anti-imperialista convinto, e poi passare ad avere come musa politica Margaret Thatcher e il conservatorismo; fino a candidarsi (e perdere), con un programma di ispirazione liberale, alle elezioni presidenziali del Perù nel 1990. Una inversione a U talmente forte da rompere in modo completo con Garcia Marquez (con il quale venne addirittura alle mani) e con i movimenti della sinistra. Per questo, Vargas Llosa sarà spesso criticato negli ambienti intellettuali sudamericani (e non solo) per le sue posizioni che negli anni sono diventate sempre più liberiste e conservatrici. Negli ultimi anni, si era anche esposto politicamente appoggiando le candidature in Perù di Keiko Fujimori (figlia di quell’Alberto Fujimori che lo aveva sconfitto nel 1990 e che avrebbe governato in modo autoritario il Perù fino al 2000), e in Brasile di Jair Bolsonaro.
Il Nobel per la letteratura gli venne assegnato “solo” nel 2010, quando pubblicò “Il sogno del Celta”, incentrato sulla vita del diplomatico e indipendentista irlandese Roger Casement, ma è stato considerato un po' da tutti più come un premio alla carriera che al singolo romanzo. Gli accademici svedesi specificarono la seguente motivazione: “per la sua mappatura delle strutture del potere e le sue immagini taglienti con cui ha dipinto la resistenza, la rivolta e la sconfitta degli individui”.
In tanti hanno espresso il loro cordoglio per la scomparsa, compresa la casa reale della Spagna, di cui aveva anche la cittadinanza, e il Presidente della Repubblica di Francia, Emmanuel Macron. Vargas Llosa fu infatti il primo autore di lingua spagnola a entrare a far parte dell’Académie francaise. (l.m.\aise)