Le raffinate opere pittoriche di Juan Araujo a Palazzo Massimo di Roma

ROMA\ aise\ - Rimangono ancora pochi giorni per visitare una interessantissima mostra al Museo Nazionale - Palazzo Massimo di Roma. Si tratta della prima personale in un museo italiano dell’artista venezuelano Juan Araujo, una delle figure di maggior rilievo nel panorama artistico internazionale.
La mostra, curata da Luis Pérez-Oramas e Stéphane Verger e realizzata in collaborazione con Galleria Continua, rimarrà allestita sino a martedì, 28 maggio, ed è stata concepita per entrare in dialogo in particolare con gli affreschi romani della collezione di Palazzo Massimo. La mostra ha per titolo “Clouds and shadows on Mars”, svelando la relazione dell’artista non solo con l’antichità ma anche con il cosmo.
L’immagine della mostra, che raffigura una scena del film “L’eclisse” di Michelangelo Antonioni parrebbe una stampa e invece si tratta della riproduzione pittorica realizzata da Araujo e già da qui si può dedurre la maestria pittorica dell’artista, il quale nella sua poetica e nella sua cifra stilistica ricrea pittoricamente quello che lo colpisce, creando un effetto di straniamento e ponendo tutta una serie di domande all’osservatore, tessendo spesso legami tra spazio e tempo attraverso il suo atto di scelta e riproducendo in piccoli dipinti, il cui procedimento è molto lento e minuzioso, scene tratte da cataloghi, da riviste, da fotografie, da film.
La mostra è caratterizzata da 22 piccole opere disseminate nel secondo piano di Palazzo Massimo, non a caso il piano più pittorico del Museo, che già da solo toglie il fiato per la maestosa e raffinata bellezza. Araujo interviene con i suoi lavori quasi in punta di piedi, creando una sorta di coltissima “caccia al tesoro”, come ha sottolineato Stéphane Verger, direttore del Museo. Senza alcuna didascalia, le opere di Arajuo entrano in relazione con lo spazio museale con grande rispetto, ma allo stesso tempo ne cambiano la percezione e sollevano domande alle quali a volte non è neanche possibile dare risposta; in senso squisitamente artistico si percepiscono però in modo sottile rimandi e risonanze interne.
Il dialogo è triangolare: tra arte antica, arte contemporanea e cosmo. Una sorta di triade spazio-temporale. Afferma infatti l’artista che “ogni dipinto è stato realizzato appositamente per questo luogo con un procedimento molto lungo. Il titolo originario della mostra era “Eclissi” perché si va a eclissare: una cosa va su un’altra e si ottiene una terza idea. Ma quando è nata l’immagine della guerra con la didascalia della Nasa, questa era molto più attuale dell’idea dell’eclissi”. E chiarisce ulteriormente: “la mostra suggerisce che antichità e modernità appartengono a una temporalità estesa apparentemente unica che mostra attraverso frammenti, come frasi interrotte in un testo discorsivo, brevi intervalli che in questo caso sono le mie opere intercettate all’interno delle sale del museo. Scegliendo questo titolo ho voluto portare nell’esposizione anche il mondo reale, con tutta la sua forza”.
L’immagine a cui si riferisce Araujo è del dipinto “Clouds and shadows on Mars”, che appunto dà il titolo alla mostra e in cui viene raffigurata un’immagine di un’esplosione a Gaza insieme a una descrizione della Nasa riferita al ritrovamento di nuvole e ombre su Marte. In quest’opera, posta vicino a un affresco che dialoga con il dipinto in termini di forme e cromie, sono racchiusi proprio gli elementi del contemporaneo e dello spazio in dialogo con un’opera d’arte antica.
Stéphane Verger si è detto particolarmente soddisfatto della mostra, che inaugura anche la collaborazione del Museo Nazionale Romano Palazzo Massimo con la Galleria Continua, un partenariato dato anche dalla vicinanza delle due realtà nella stessa zona di Roma, tra la stazione Termini e Piazza della Repubblica, dove il Museo Nazionale Romano ha anche le sedi delle Terme di Diocleziano e dell’ex Planetario, divenuto Museo dell’Arte Salvata. A Verger “è piaciuta subito la proposta dell’artista e del percorso della mostra, inserita nel contesto del museo in un equilibrio molto delicato. I visitatori avranno il privilegio di vedere le opere dell’artista e le meraviglie del Museo in un percorso molto colto e articolato. Il tema a volte è diretto tra l’opera e la sala, a volte più colto e indiretto”.
Luis Pérez-Oramas, che con Verger ha curato la mostra, racconta della sua amicizia con l’artista, da cui dichiara di avere imparato molto: “Juan Araujo non è solo un maestro della pittura, ma è anche maestro nella riproduzione delle immagini e sono immagini con cui viviamo. Sappiamo da Benjamin che l’immagine è una incorporazione di immagini e le trovo particolarmente interessanti. Abbiamo frammenti di affreschi e cancellazioni di tempo nel museo. Juan Araujo porta riferimenti dell’arte italiana e volontariamente cancella il tempo. Quello che resta è il nome dei pianeti, è la collisione di elementi apparentemente non uniti. L’astrofisica ci dice che quando guardiamo alle galassie vediamo l’evento originario. Al telescopio guardiamo un passato forse perduto così come guardiamo alle rovine del passato”.
I riferimenti pittorici che Arajuo richiama nelle sue immagini sono quelli di Giorgio Morandi, di Cy Twombly, ma anche fotografici, come l’immagine della casa di vetro di Lina Bo Bardi inserita nel contesto degli antichi affreschi della Casa di Livia.
Come ha affermato ancora Verger, quello che ha fatto Araujo è quello che deve fare ogni visitatore: guardare con tutto il proprio vissuto. E in questa mostra il visitatore potrà cercare, con l’aiuto di una mappa, tutte le opere disseminate in un contesto d’eccezione ricostruendo rimandi a volte coltissimi, a volte più immediati, con il proprio vissuto artistico e culturale. Come osserviamo al telescopio le stelle che ci paiono minuscole, così si possono ammirare le piccole opere di Araujo che brillano della luce della grande arte e in cui sono state lasciate in modo estremamente raffinato anche le tracce pittoriche sfuggite alla ricerca della perfezione. (g.cat\aise)