Làmbere: Riccardo Chiodi in mostra a L’Aquila

L’AQUILA\ aise\ - La sede della Fondazione Giorgio de Marchis Bonanni d'Ocre a L’Aquila (Corso Vittorio Emanuele II, 23) ospita da oggi, 15 marzo, al primo piano di Palazzo Cappa Cappelli, la mostra “Làmbere” di Riccardo Chiodi, a cura di Emiliano Dante e Piotr Hanzelewicz.
In esposizione, fino al 5 aprile, oltre alla produzione dell’ultimo anno di ricerca dell’artista, anche alcune selezioni di lavori, dal 2012 in poi, che esplorano le tematiche generali della mostra ed in particolare i diversi aspetti della relazione con chi o cosa è “altro”: dall’approfondimento del tema del corpo tra peso e leggerezza, già presente in 209949 gr ? negli spazi di 16 Civico nel 2017, all’indagine dei rapporti con il corpo dell’altro, portati avanti nel progetto Per renderti il tuo sangue a Spazio Varco nel 2020.
Con Làmbere la ricerca artistica di Riccardo Chiodi è sguardo che torna sull’altro, con la consapevolezza della conquista dello spazio: se formalmente il lavoro di Riccardo Chiodi richiama sperimentazioni di arte spaziale o esperienze optical, la componente concettuale e relazionale risulta indispensabile per comprendere pienamente la sua poetica qui presentata in un ventaglio ampio e completo. Làmbere è una mostra costruita da continui strappi che creano strisce che vengono avvicinate, a sfiorarsi, a ricomporre in tal modo un’unità ordinata e pulita seppur sfilacciata.
Come scrive il curatore Emiliano Dante: “La costanza della struttura, l’incedere per minime variazioni, al contrario delle esperienze degli anni ‘60, nasce dall’esigenza di lavorare su altro rispetto alla forma in sé. Dove il minimalismo si concentrava sulle strutture primarie, dove l’optical trovava la sua ragion d’essere nella pura stimolazione retinica, l’opera oggettuale di Chiodi trova il suo orizzonte operativo fuori dal semplice rapporto oggetto-occhio, in un altro che è lavoro, è fatica, è tempo, è vissuto. La ricorrenza strutturale, quindi, è in effetti un modo di trascendere l’esperienza individuale. Serve simultaneamente a trasformarla e a interpretarla, a mostrarla e, paradossalmente, a nasconderla. Ecco quindi che il lavoro estenuante sulla materia sfocia in una perfezione impersonale – ed ecco che il vestito delle feste della nonna, che è lo stesso con cui è stata vestita al suo funerale, viene mostrato al pubblico – ma mostrato non in quanto vestito, ma in quanto materia. Mostrato e nascosto, celebrato e sezionato”.
E Piotr Hanzelewicz prosegue: “Riccardo è tante cose. Alcune più di altre hanno impattato e lasciato segni nella sua vita. Alcune in forma transitoria, altre lo accompagneranno fino a quando smetterà di respirare per sempre. Riccardo ha fatto pugilato e quindi si è misurato ed ha dovuto misurare il peso del suo corpo, per lavorare poi sul peso fisico delle sue opere pittoriche (in legno, ferro e tela) che godevano di una straordinaria leggerezza visiva. Poi c’è stato il trapianto di midollo e la conseguente perdita di peso fisico, in favore di un aumento del “peso visivo”. Poi c’è la recente diagnosi di Asperger, qui dichiarata pubblicamente per la prima volta. Riccardo gioca con il suo cognome per firmarsi. Non lo fa però con un riferimento didascalico e diretto al “chiodo” o ai “chiodi”: prende il “dato di fatto” del suo cognome e lo divide in parti uguali ottenendo Chi odi. Fa sempre così, fa così anche con la tela. Il timbro con cui sigla le sue opere può fare riferimento ad un aulico “colui che senti, ascolti” oppure a “colui per il quale nutri odio”. Alì suggeriva di volare come una farfalla e di pungere come un’ape. Calvino parlava di una intelligente sottrazione di peso. A Newton cadde una mela in testa e fu un avvenimento di una riguardevole gravità”.
La Fondazione Giorgio de Marchis Bonanni d’Ocre viene istituita a L’Aquila nel 2004 allo scopo di conservare, tutelare e valorizzare il patrimonio documentario e librario raccolto dal professor Giorgio de Marchis nel corso della sua carriera di storico dell’arte. Manifesti, locandine, inviti e brossure sono solo alcuni esempi delle tipologie documentarie che caratterizzano l’archivio composto da quasi 200.000 pezzi. Cataloghi di mostre, monografie e saggi, che popolano la biblioteca, contribuiscono a restituire l’immagine di un periodo denso di cambiamenti non solo a livello sociale ma anche storico-artistico, quale gli anni Sessanta e Settanta in Europa. Dal 2018 abita gli spazi del primo piano del Palazzo Cappa Cappelli che apre costantemente per eventi, mostre e collaborazioni con artisti ed enti. (aise)