Francesco e i migranti: quale eredità? – di padre Lorenzo Prencipe

ROMA\ aise\ - Il 21 aprile 2025, il giorno dopo la Pasqua di Risurrezione, di buon mattino, papa Francesco ha chiuso gli occhi al mondo e li ha riaperti nell’eternità. La fine del viaggio terreno e del pontificato lasciano comunque un’eredità, ricca e pesante, con la quale continuare confrontarsi. Nello specifico, per quanto riguarda il mondo dei migranti, le loro aspirazioni, i loro sogni, difficoltà, ostacoli, sconfitte e morti, qual è l’eredità di Francesco per il mondo?
A questa domanda dobbiamo rispondere il più onestamente possibile per evitare di ingrossare le fila di quanti, nei giorni del lutto, si dichiarano, ipocritamente, più “papisti” del defunto pontefice, estrapolando ed esaltando alcune frasi ad effetto ma decurtandone il pensiero globale.
Se la comunicazione mediatica non può fare a meno di titoli ad effetto come “il papa degli ultimi”, “il papa della pace”, “il papa dell’ambiente”, “il papa della pulizia… da ogni sozzura”, “il papa dei migranti”, tali slogan però non possono essere sufficienti a riempire la bocca di politici, ecclesiastici e “cristiani solo di nome” che, ora, esaltano, colui che, fino a ieri, avevano ignorato, se non osteggiato e combattuto.
Chi sono allora i migranti per Francesco?
I migranti, con il loro bagaglio di storia, cultura e tradizioni ma anche con le loro ferite aperte e i loro bisogni materiali, sono quei “testimoni di speranza” che interpellano le nostre società, sempre più chiuse ed impaurite, a ripensare le sue fondamenta di umanità e fraternità.
I migranti, allora, ci invitano a “vivere insieme” a “costruire e ricostruire il mondo” in seguito all’incontro.
Cosa è contrario all’approccio di Francesco verso i migranti?
Proclamare, ad ogni occasione, a proposito e a sproposito, generalizzando alcune situazioni di disagio e di difficoltà, che i migranti sono il pericolo numero uno delle nostre società e che contro di loro bisogna difendersi.
Continuare ad erigere muri, barriere, centri di detenzione e rimpatrio.
Legittimare, in nome di distinzioni “artificiose” (migranti economici contro richiedenti asilo) campagne di odio e discriminazione, deportazioni e respingimenti in mare, nei deserti o nei lager-centri di detenzione.
Considerare e trattare gli esseri umani come merce di scambio (denaro ai paesi di origine e di transito in cambio di politiche di contenimento delle migrazioni), imprigionati, torturati e, spesso, assassinati.
A quanti esaltano Francesco post-mortem, lo stesso Francesco ricorda che ci troviamo di fronte a un bivio di civiltà: o l’incontro o lo scontro, o la cultura dell’umanità e della fratellanza o la cultura dell’indifferenza fanatica che lascia morire chi è nel bisogno. Non è quindi possibile non prendere posizione, anche se la franchezza e coerenza del linguaggio non appartiene alla politica e, a volte, neanche a certi uomini e donne di chiesa.
Come agire “francescanamente” con i migranti?
Con i migranti che, fuggendo (si tratta di veri profughi anche senza il riconoscimento dello “status ufficiale di rifugiato”) da povertà (generata dagli squilibri mondiali di una ricchezza mal o non distribuita), da disastri ambientali (frutto dei cambiamenti climatici dovuti allo sfruttamento violento dell’uomo sul creato) e da conflitti armati (guerre, persecuzioni, atti di terrorismo), arrivano nei nostri Paesi è ora di pensare e costruire un vivere insieme, in società e nella Chiesa, tra diversi che si rispettano perché si accolgono nelle loro peculiarità e accettano di condividere la comunicazione (il linguaggio), il diritto (le regole), l’utilizzo solidale dei beni (il benessere) perché la Terra e l’Universo non appartengono ai singoli individui nè a Governi o a Stati nazionali, preoccupati solo di salvaguardare i confini del proprio orticello, ma sono stati affidati in custodia all’Umanità tutta intera per la ricerca e la realizzazione del bene comune.
Con i migranti che, restando nei loro Paesi, sono vittime di povertà (generata dagli squilibri mondiali di una ricchezza mal o non distribuita), di disastri ambientali (frutto dei cambiamenti climatici dovuti allo sfruttamento violento dell’uomo sul creato) e di conflitti armati (guerre, persecuzioni, atti di terrorismo), è il momento di abbandonare qualsiasi approccio neocoloniale di sottomissione, diretta o indiretta, agli interessi dei Paesi, singoli o aggregati in “presunte” Unioni, più ricchi (in denaro e/o in armi) o agli interessi di gruppi multinazionali dediti allo sfruttamento di uomini e beni. È il momento, allora, di pensare e realizzare una rispettosa e solidale azione di cooperazione tra Paesi in vista di redistribuire le ricchezze in modo giusto ed equo, aiutare allo sviluppo efficace di Paesi spesso sfruttati, accompagnare con costanza la formazione educativa e lavorativa dei giovani in cerca di avvenire e sogni da realizzare.
I pilastri umani e spirituali dell’approccio di Francesco ai migranti
Alcuni esponenti della comunicazione e della politica criticano Francesco perché nella vicinanza ai migranti si sarebbe troppo “appiattito” su posizioni radicali di “amore e accoglienza universale e indiscriminata”, proprie di ONG e operatori sociali estremisti, e non di governi saggi e previdenti che invece i migranti preferiscono tenerli il più lontano possibile.
Per queste voci, “ideologicamente” critiche, l’essenziale non è la difesa e salvaguardia della vita umana, di ogni vita umana, ma il rovesciamento del “tavolo da gioco”, addossando responsabilità e colpe non ai carnefici, ma alle vittime. Con tale logica perversa, se si sostiene la necessità dei salvataggi in mare dei migranti in pericolo si controbatte che se i migranti non partissero per niente non correrebbero alcun rischio; se si denuncia la politica di respingimento indiscriminata dei migranti verso Paesi “autoritari o dittatoriali”, si controbatte affermando che si tratta di salutare opera di dissuasione verso quei migranti che invece di godersi il sole nel loro paese d’origine preferiscono venire ad elemosinare nei nostri “poveri” Paesi… e se si chiedono misure ed azioni di regolarizzazione ed integrazione di quei migranti già presenti nelle nostre società (e che magari abbiamo a casa nostra come domestici, badanti o raccoglitori di pomodori senza documenti), si controbatte sostenendo che è più economico ed educativo (verso i futuri candidati all’emigrazione) rimandarli nei loro Paesi d’origine e, restando i rimpatri sempre molto esigui, si preferisce lasciarli “per sempre, in situazione irregolare…
È evidente che la gestione delle migrazioni rimane una sfida tutta da risolvere con soluzioni sempre da trovare e da ritrovare, ma è ancor più chiaro, con le parole di Francesco che ci troviamo di fronte a un bivio di civiltà: o l’incontro o lo scontro, o la cultura dell’umanità e della fratellanza o la cultura dell’indifferenza fanatica che lascia morire chi è nel bisogno… e che bisogna prender posizione.
Ecco allora alcune convinzioni di fondo che possono sostenere nella vicinanza ai migranti, non gli ipocriti accaparratori del lascito di Francesco, ma gli “amanti dell’umanità fraterna”, suoi veri eredi.
- I tre monoteismi mediterranei sono fondati sull’accoglienza e l’amore per lo straniero in nome di Dio.
- Lo stile di Dio è quello della vicinanza, della compassione e della tenerezza che tende la mano per risollevare il caduto. In un solo caso è lecito guardare una persona dall’alto in basso: quando cerchiamo di prenderla per mano per sollevarla da terra. In tutte le altre situazioni è un peccato di superbia, un atto immotivato di superiorità, un gesto di disprezzo perché le persone vanno sempre guardate negli occhi, con empatia.
- I credenti devono quindi operare, con generosità e impegno incessante, per edificare una civiltà dell’incontro con Dio e con il prossimo, per la difesa e promozione della vita umana.
- Il mare (le strade dei migranti) da fonte di vita (possibile realizzazione di aspirazioni e di desiderio di vita migliore) diventano luoghi di morte (tombe senza lapidi) a cui non ci si può mai abituare con ideologica indifferenza. Il grido di dolore dei migranti sta tramutando il mare nostrum in mare mortuum, il Mediterraneo da culla della civiltà a tomba della dignità. I migranti morti nel tentativo di arrivare in una “terra di vita” non sono fatti di cronaca, non sono cifre, ma sono nomi e cognomi, volti e storie, vite spezzate e sogni infranti.
- I migranti che rischiano di morire devono sempre essere soccorsi; è un dovere di umanità, un dovere di civiltà. Frapporre ostacoli di ogni tipo a coloro che soccorrono è una forma di complicità in non assistenza a persona in pericolo. I migranti che rischiano la vita in mare non invadono, ma cercano accoglienza e vita. I porti hanno vocazione di porte aperte che accolgono, e non possono essere chiusi al grido “invasione” ed “emergenza”, alimentando ad arte le paure delle società di destinazione.
- La storia, e in particolare quella del Mediterraneo, Mare Nostrum, non si riduce ad un intreccio di conflitti tra civiltà, religioni e visioni differenti. Gli scambi intercorsi tra i popoli hanno reso il Mediterraneo culla di civiltà, spazio di incontro tra le religioni abramitiche; tra il pensiero greco, latino e arabo; tra la scienza, la filosofia e il diritto; laboratorio di pace e fraternità, capace di opporre alla divisività dei conflitti ideologici la “convivialità delle Differenze”, ai nazionalismi antiquati e belligeranti il sogno della comunità delle nazioni.
- Il fenomeno migratorio non è tanto un’emergenza, un’urgenza momentanea, sempre buona ad alimentare paure e resistenze, ma un dato di fatto dei nostri tempi, un processo che coinvolge nel Mediterraneo tre continenti (e a livello globale il mondo intero) e va governato con sapiente lungimiranza, con una responsabilità europea e mondiale capace di fronteggiare le obiettive difficoltà.
- Il mare nostrum grida giustizia, con le sue sponde che da un lato trasudano opulenza, consumismo e spreco, mentre dall’altro vedono prevalere povertà e precarietà. Il Mediterraneo rispecchia il mondo globale, con un Sud che si volge al Nord, con tanti Paesi in via di sviluppo, afflitti da instabilità, regimi, guerre e desertificazione, che guardano a quelli benestanti, in un mondo globalizzato nel quale tutti siamo connessi ma i divari non sono mai stati così profondi (Populorum progressio, n.3).
- Sono perciò tuttora validi i “tre doveri” (indicati da Paolo VI) delle nazioni più sviluppate: “dovere di solidarietà, cioè l’aiuto che le nazioni ricche devono prestare ai Paesi in via di sviluppo; dovere di giustizia sociale, cioè il ricomponimento in termini più corretti delle relazioni commerciali difettose tra popoli forti e popoli deboli; dovere di carità universale, cioè la promozione di un mondo più umano per tutti, un mondo nel quale tutti abbiano qualcosa da dare e da ricevere, senza che il progresso degli uni costituisca un ostacolo allo sviluppo degli altri” (Populorum progressio, n. 44).
- Siamo coscienti che oggi il mare della convivenza umana è inquinato dalla precarietà; e dove c’è precarietà c’è criminalità; dove c’è povertà materiale, educativa, lavorativa, culturale e religiosa, il terreno delle mafie e dei traffici illeciti è spianato. Serve un sussulto di coscienza per dire “no” all’illegalità e “sì” alla solidarietà, che non è una goccia nel mare, ma l’elemento indispensabile per purificarne le acque. In effetti, il vero male sociale non è tanto la crescita dei problemi, ma la decrescita della cura, l’incapacità di mettersi nei panni dell’altro per prendersene cura.
- Bisogna aprire le porte delle chiese, delle canoniche, dei conventi, delle case…, ma soprattutto quelle del cuore, per accogliere, accompagnare (=proteggere e difendere), promuovere, considerare uno di noi (= integrare) i migranti che ci interpellano.
- Bisogna ripartire dall’ascolto dei poveri, dei migranti, che, come ricorda Primo Mazzolari, “si abbracciano, non si contano”, perché sono volti, non numeri. Bisogna trattarli come fratelli di cui conoscere le storie, non come problemi fastidiosi, cacciandoli via, mandandoli a casa.
Bisogna accoglierli, non nasconderli; integrarli e dar loro dignità, non sgomberarli in altri posti lontani da noi.
- Il criterio principale nell’accoglienza del migrante non può essere il mantenimento del proprio benessere, bensì la salvaguardia della dignità umana.
- Nella lotta allo sfruttamento di esseri umani, la soluzione non è respingere, ma assicurare, con legislazioni adeguate e secondo le possibilità dei Paesi (soli o aggregati in Unioni), un ampio numero di ingressi legali e regolari, sostenibili grazie a un’accoglienza equa da parte del continente europeo e del mondo intero, nel contesto di una collaborazione con i Paesi d’origine.
- Il futuro dell’umanità non è nella chiusura, che è un ritorno al passato, un’inversione di marcia nel cammino della storia. Dire “basta” è chiudere gli occhi; tentare ora di “salvare solo sé stessi” si tramuterà in tragedia domani.
- Nonostante le difficoltà, la convivialità (=la comunione delle diversità) è possibile ed è fonte di gioia. In tal senso, l’identità senza riconoscimento dell’alterità può divenire omicida.
Bisogna vivere una città, una società, una Chiesa, plurale e singolare, in quanto è la pluralità, frutto di incontro con il mondo, a renderne singolare la storia.
- É l’incontro il cammino per riconoscersi; il cammino per rendere possibile una condivisione solidale soprattutto dinanzi a tragedie e bisogni… L’integrazione, anche dei migranti, è faticosa, ma lungimirante: prepara il futuro che, volenti o nolenti, sarà insieme o non sarà.
L’assimilazione, che non tiene conto delle differenze e resta rigida nei propri stereotipi, fa invece prevalere l’idea sulla realtà e compromette l’avvenire, aumentando le distanze e provocando la ghettizzazione, che genera ostilità e insofferenze.
- Abbiamo bisogno di fraternità e, come credenti, non possiamo accettare che le vie dell’incontro siano chiuse, non possiamo accettare che la verità del dio denaro prevalga sulla dignità dell’uomo, che la vita si tramuti in morte. Siamo invece chiamati alla testimonianza della carità: non a ricamare il Vangelo di parole, ma a dargli carne con i fatti; non a misurare la visibilità e l’apparenza, ma a spenderci nella concretezza della gratuità.
- Come ogni faro che illumina il mare e mostra il porto… bisogna costruire sempre nuove forme di risposte sinergiche e collaborative che trovano nei giovani gli attori privilegiati di incontro, comprensione e innovazione, capaci di superare barriere e preconcetti per costruire una civiltà dell’accoglienza e della fraternità.
Ecco quanto papa Francesco lascia in eredità a coloro che, con i migranti, vogliono continuare a costruire “ponti” nonostante l’avanzare minaccioso di muri e barriere.
A-Dio Francesco e grazie. (p. lorenzo prencipe*\aise)
* Presidente del Centro Studi Emigrazione Roma | CSER