“Uroboro”: l’arte optical e cinetica di Marina Apollonio al BAC Bellano Arte Cultura

LECCO\ aise\ - Con la mostra Uroboro di Marina Apollonio (1940), esponente di primo piano dell’arte optical e cinetica internazionale, BAC Bellano Arte Cultura apre il programma di mostre ideate per indagare i linguaggi del contemporaneo in relazione all’identità del luogo, del paesaggio e della sua memoria.
Curata da Chiara Gatti, la mostra presenta sino al 26 ottobre due installazioni site-specific di Marina Apollonio distribuite tra il Museo Giancarlo Vitali, dove dialoga con la collezione permanente, e lo spazio al piano terra di San Nicolao Arte Contemporanea.
Reduce dall’importante retrospettiva allestita alla Peggy Guggenheim Collection di Venezia, conclusasi lo scorso marzo, Apollonio approda a Bellano con un progetto inedito, destinato a modificare la percezione degli ambienti che accolgono le sue opere di ampie dimensioni, una Dinamica circolare, di 4 metri e mezzo di diametro, e una Ellisse prospettica, di due metri di altezza.
Uroboro: simbolo del cosmo e dell’eterno
Il titolo della mostra, Uroboro, è un riferimento esplicito alla circolarità dei lavori dell’artista, che si legano idealmente all’iconografia sacra che riecheggia in sottotraccia alla storia secolare di San Nicolao, ai suoi affreschi trecenteschi e alle tracce liturgiche dell’originario convento degli Umiliati.
Simbolo del cosmo e dell’eterno sin dalla tradizione egizia, l’uroboro era il serpente che, mordendosi la coda, disegnava un anello magico, allegoria dell’infinito rigenerarsi della vita. Una nuova leggenda dalle forme astratte abita ora la ex chiesa e coinvolge il pubblico in un viaggio sensoriale, in una interazione fisica con l’immagine che inganna i sensi e, allo stesso tempo, li attiva.
Riflettendo sempre sulla forma pura e primaria del cerchio, Marina Apollonio ne ha esplorato negli anni ogni variazione organica, al fine di innescare un moto interno, foriero di relazioni dinamiche fra opera e ambiente. Le “dinamiche circolari” fanno parte della riflessione di Apollonio sin dai primi anni Sessanta, quando l’artista sperimentò il moto illusionistico della spirale, delle volute o dei cerchi concentrici distorti da piccole interferenze o inversioni di rotta, indagando le reazioni dello sguardo nei confronti di forme statiche, azionate tuttavia nel nostro cervello da ipotesi di cambiamenti, che vengono interpretati come movimenti veri e propri: il cambiamento della luce, le impalpabili modificazioni ambientali recepite come vitali, gli stessi microscatti oculari che ingannano la ricezione.
“Scelta una forma primaria, quale ad esempio il cerchio”, scriveva Apollonio nel 1966, “ne studio le possibilità strutturali per renderla attiva, cercando il massimo risultato con la massima economia”. Economia intesa come sintesi di geometria, essenza stessa della natura delle cose e, di conseguenza, del nostro modo di scrutarle.
Tra verità e impressione: due opere site-specific
La mostra invita lo spettatore a interagire con le opere esposte a pavimento e a parete, le due grandi forme circolari, la cui ossatura pare animarsi nello spazio e, allo stesso tempo, dilatarsi o implodere, includendo le superfici murarie adiacenti, gli affreschi e le volte, nella forza centrifuga che si scatena.
I cerchi concentrici di Marina Apollonio, complice il loro spessore variabile, il loro assottigliarsi e poi inspessirsi ripetutamente, evocano onde e risacche, pari a quelle di un organismo pulsante, in grado di trascinare il pubblico in una simulazione imprevista; un’adesione sensoriale programmata, non meccanica, ma percettiva, secondo lo studio introdotto dai padri nobili dell’arte programmata stessa e la loro anticipazione profetica delle neuroscienze.
In un’epoca odierna in cui le neuroscienze, studiando gli organi di senso, analizzano a fondo la capacità del cervello di interpretare i segnali che lo raggiungono, l’opera d’arte optical – esattamente come fu “concepita” negli anni Sessanta – torna dunque di straordinaria attualità per la sua inclinazione a mettere alla prova il sistema nervoso, invitandolo a orientarsi tra verità e impressione. La ricerca artistica di Marina Apollonio si concentra su tali stimoli, combinando l’elaborazione cerebrale e la scientificità degli esiti con una componente estetica e formale di straordinaria eleganza, fatta di equilibri, simmetrie e ritmi perfetti.
Dopo la mostra riservata alle fotografie di Giovanni Hänninen, che ha documentato le diverse fasi del cantiere di restauro in San Nicolao, il BAC apre, con Uroboro di Apollonio, il programma di mostre progettate per indagare i linguaggi del contemporaneo, posti in relazione all’identità del luogo, del paesaggio e della sua memoria. (aise)