Cittadinanza/ Acli: no alle semplificazioni, sì a una cittadinanza consapevole

ROMA\ aise\ - “La cittadinanza italiana non può essere solo una questione generazionale, si tratta di una questione molto complessa che le Acli, anche grazie all’esperienza maturata attraverso attraverso le associazioni della Federazione delle Acli internazionali, attive in 21 Paesi, stanno seguendo da tempo”. È quanto dichiara il presidente nazionale delle Acli, Emiliano Manfredonia, chiedendosi “perché non si è proceduto con un iter parlamentare, in cui le tante sensibilità che hanno già prodotto proposte di legge sul tema possano trovare in sintesi, anche grazie al contributo degli organi rappresentativi degli italiani all’estero”.
Il decreto legge numero 36 del 25 marzo ha modificato le regole per acquisire la cittadinanza italiana per gli italo discendenti ed è un cambiamento “radicale”, sottolinea Manfredonia, perché, spiega, “modifica la natura della legge 91 del 1992, che riconosce il diritto ad essere cittadino italiano a tutti i figli di genitori italiani, mettendo un limite a due generazioni (genitori o nonni) nati in Italia per richiedere la cittadinanza italiana”, richiamando inoltre i concetti di “urgenza” e “sicurezza nazionale”.
“Da troppi anni le Acli e molta società civile richiamano l’attenzione delle istituzioni sulla regolamentazione di una cittadinanza consapevole”, osserva il presidente Manfredonia, “anche rispetto al fatto che è diventato vergognosamente un prodotto da commercializzare e, a fronte di tutto questo, si ricorre a un decreto-legge che si chiude a ogni modifica. Siamo di fronte al picco di denatalità e di fecondità, si aprono scenari complessi anche nell’immediato futuro, e il Governo pensa ai respingimenti e alla conta degli avi, per ridurre ancora di più le richieste di cittadinanza”.
Il presidente delle Acli critica il decreto nel “merito”, perché, afferma, “la ratio pare quella di riconoscere la cittadinanza in base ad una presunta maggiore italianità rispetto ad oggi dei soli nipoti dei nati in Italia. Ma è davvero così?”, si chiede. “La semplificazione della legge 91 del 1992 non rende giustizia alla nostra storia di emigrazione perché invece di valorizzare il rapporto tra “sangue” e appartenenza alla comunità italiana attraverso la conoscenza della lingua e della cultura italiana, si riduce tutto ad una questione “generazionale” che, come abbiamo sempre sostenuto, avrebbe potuto essere un elemento riformabile della legge 91 ma insieme a questi elementi”.
“Esisteranno ancora “italiani che non parlano italiano”, come viene ricordato da chi ha solo una idea negativa delle nuove generazioni di italiani nati all’estero, a danno di tutti coloro hanno la voglia di coltivare la propria identità italiana con sincero legame al nostro Paese”, assicura Matteo Bracciali, vicepresidente nazionale della Federazione delle Acli Internazionali, per il quale “sarebbero necessari dei correttivi in particolare con una regolamentazione che dia la possibilità di trasmettere la cittadinanza quando sussiste, ad esempio, la certificazione di una profonda conoscenza linguistica”.
Per Bracciali “un altro rilievo sui disegni di legge annunciati riguarda le modifiche delle procedure di richiesta della cittadinanza italiana”.
C’è poi il rapporto cittadinanza-diritti sociali, per tutelare il quale le Acli chiedono al Governo “un reale ascolto delle rappresentanze degli italiani all’estero: l’idea di alleggerire la pressione sui Consolati non deve essere un’ulteriore complicazione nel rapporto con l’Amministrazione Pubblica né un rallentamento o, peggio, un numero chiuso per l’ottenimento della cittadinanza”.
“Dall’altra parte”, continua il vicepresidente Bracciali, “sul tema della partecipazione dei nuovi italiani alla vita pubblica non è sufficiente chiedere di esercitare diritti o doveri almeno una volta in 25 anni, perché non è una cittadinanza “compilativa” quella a cui dobbiamo tendere, ma la norma deve prevedere investimenti in strumenti di consapevolezza, come informazione, educazione e prossimità tra Italia e chi è italiano e vive in altro Paese del mondo. Si chiamano investimenti perché il ritorno di relazioni si trasforma in dati economici e sociali dando sostanza all’Italia fuori dall’Italia orgogliosa del proprio passato e con una identità ricca e plurima”.
Per Bracciali è “un gravissimo errore” che il governo non abbia “ascoltato le rappresentanze degli italiani all’estero, come Comites e CGIE e le reti associative, ma abbiamo ancora speranza di poter contribuire a costruire una normativa inclusiva, per sostenere una cittadinanza consapevole”. (aise)