Cittadinanza/ Menia (FdI): ci saranno correttivi ma l’impianto resta

ROMA\ aise\ - Nella seduta di ieri, la Commissione Affari Costituzionali del Senato, alla presenza della sottosegretaria agli esteri Maria Tripodi, ha proseguito la discussione sul decreto – cittadinanza emanato dal Governo il 28 marzo scorso. Diversi gli interventi a dibattito. Oltre a quello della senatrice La Marca, secondo cui “a fronte delle tante criticità emerse nel corso delle audizioni, sarebbe stato opportuno che il Governo ritirasse il provvedimento in esame”, critiche sul metodo sono state espresse non solo dall’opposizione, ma anche dal senatore Tosato della Lega.
A difendere la ratio del provvedimento è stato Roberto Menia (FdI) che ha comunque annunciato che ci saranno correttivi.
Obiettivo del decreto, ha affermato il senatore, è quello di “frenare la presentazione di un numero sproporzionato di domande di riconoscimento della cittadinanza provenienti da persone che vivono prevalentemente in Brasile, e in parte in Argentina, le quali, pur non avendo alcun legame con l'Italia, fanno valere una discendenza di sei generazioni, considerato che l'emigrazione italiana in Sudamerica risale alla fine dell'Ottocento. L'urgenza dell'intervento, quindi, è determinata dall'intasamento di corti d'appello, consolati ed enti locali per l'esame di decine di migliaia di pratiche di cittadinanza, che comportano anche un rilevante giro di affari, considerato che ognuna ha un costo di circa cinquemila euro. È noto – ha aggiunto Menia – che il passaporto italiano è particolarmente ambito, perché consente di recarsi negli Stati Uniti solo con l'ESTA e di muoversi liberamente all'interno dell'Unione europea. Peraltro, questo non comporta un vantaggio dal punto di vista dell'aumento della forza lavoro in Italia, perché i nuovi cittadini di lingua portoghese o spagnola preferiscono stabilirsi in Portogallo o in Spagna”.
Si tratta, ha aggiunto, di una “situazione che causa un sovvertimento del principio di cittadinanza, che dovrebbe comportare anche un legame affettivo e culturale con la madrepatria. Per questo motivo, il provvedimento stabilisce che si considera non aver mai acquistato la cittadinanza italiana chi è nato all'estero ed è in possesso della cittadinanza di un altro Stato e tale disposizione si applica anche ai nati all'estero prima dell'entrata in vigore provvedimento”.
Il senatore di Fratelli d’Italia ha quindi ammesso che “la norma possa risultare eccessivamente rigorosa, soprattutto per un Governo che è sensibile agli ideali di patriottismo”, convenendo sulla “opportunità di apportare alcuni correttivi, evitando situazioni di squilibrio, come quella denunciata dal senatore Borghese durante le audizioni: essendo un italiano all'estero di terza generazione, qualora avesse un altro figlio, si troverebbe nella situazione paradossale per cui il primo ha la cittadinanza italiana, mentre un eventuale nuovo nato non vi avrebbe diritto”.
Il senatore ha quindi anticipato di avere “elaborato proposte di modifica per prevedere, tra i requisiti richiesti, il superamento di un test di conoscenza della lingua italiana al livello B1, oltre a stabilire una corsia agevolata per il rientro degli oriundi e l'obbligo di dimostrare periodicamente il legame con il Paese d'origine”.
Forti “perplessità”, come detto, sono state espresse dai senatori intervenuti al dibattito.
Nicita (Pd) ha sostenuto che “il principale obiettivo del Governo dovrebbe essere quello di preoccuparsi della popolazione italiana fra trenta-quaranta anni, considerate le dimensioni dei fenomeni di emigrazione dei giovani laureati e di invecchiamento demografico. Sarebbe preferibile, quindi, volgere l'attenzione ai giovani immigrati che frequentano le scuole italiane e parlano addirittura i dialetti locali, o che rappresentano l'Italia nello sport. La proposta in esame, invece, non risolve alcuno di questi problemi”. Quanto alla rappresentanza degli Italiani all'estero, ha aggiunto, “in passato il principale partito della maggioranza, che ha ritenuto giusto prevedere una forma di riconoscimento per coloro che sono emigrati e con i loro sacrifici hanno consentito lo sviluppo economico italiano degli anni Sessanta, si è molto speso”.
“A prescindere dalla differente impostazione culturale”, ha concluso, pur sottolineando che “secondo il Partito democratico il diritto di cittadinanza dovrebbe essere interpretato in modo aperto e non in senso nazionalista, difensivo e oppressivo”, è “anomalo che si debba affrontare con un provvedimento d'urgenza un tema che attiene a un diritto costituzionale”.
Critico anche il senatore Tosato della Lega: “intervenendo sul riconoscimento della cittadinanza, è inopportuno affrontare il tema con un provvedimento d'urgenza. Pur essendo comprensibile l'urgenza di alleggerire i tribunali e i Comuni intasati dalle molteplici pratiche per la cittadinanza, si finisce per comprimere il dibattito, costringendo il Parlamento ad assumere una decisione entro sessanta giorni”. Due, ha aggiunto, le “esigenze da contemperare: da un lato, vi è la necessità di evitare gli abusi e contenere l'esorbitante numero di richieste di cittadinanza, pur in assenza di un effettivo legame con il Paese e di un sentimento di italianità. Dall'altro, occorre tutelare e valorizzare il legame con le comunità italiane all'estero, ambasciatrici delle eccellenze italiane nel mondo. Diversamente, si rischia di deprimerne l'attaccamento all'Italia”. La maggioranza “deve essere aperta alle proposte correttive, soprattutto a partire da quelle d'iniziativa dei parlamentari eletti all'estero, che hanno una percezione più corretta delle criticità da affrontare”.
Per il senatore Cataldi (M5S) “non si può considerare urgente un problema che riguarda potenzialmente ottanta milioni di Italiani all'estero, sulla base della segnalazione di qualche comune del Veneto. Si tratta invece di una mancanza di capacità di pianificazione. Il problema indubbiamente è reale; tuttavia, non va affrontato solo sotto il profilo numerico, in quanto collegato a una convenienza materiale e alla necessità di impedire eventuali abusi. Si tratta piuttosto di una questione giuridica, cioè del riconoscimento di un diritto, che andrebbe esaminata con maggiore ponderazione, al di là della contrapposizione per motivi politici”.
Critica su contenuto e metodo anche la senatrice Musolino (IV): “la decisione di affidare il riordino di una materia tanto complessa come la cittadinanza a un decreto-legge tradisce l'intenzione di impedire lo svolgimento del dibattito democratico e la formazione della norma nell'alveo parlamentare. Il riconoscimento della cittadinanza dovrebbe essere un provvedimento con valenza dichiarativa, certificazione da rilasciare su istanza, in base alla ricorrenza di determinati requisiti”.
“Se la necessità è quella di risolvere l'affollamento di pratiche in comuni e tribunali, - ha aggiunto – si sarebbe potuto snellire o digitalizzare le procedure, oppure aumentare gli sportelli, anziché adottare provvedimenti restrittivi per cittadini italiani che non possono più essere riconosciuti come tali, per di più in modo retroattivo. Ostacolando il riconoscimento della cittadinanza, che è al tempo stesso un diritto, uno status e anche un sentimento, si penalizzano cittadini italiani che si sono trasferiti all'estero per necessità e che poi hanno inviato in Italia il frutto dei loro sacrifici, così come in Sicilia circa 300 milioni di euro vengono trasferiti dagli immigrati alle loro comunità di origine. Auspico – ha concluso – che il Governo intenda rinunciare al provvedimento d'urgenza e soprattutto alla retroattività della norma, per favorire una migliore ponderazione su un tema molto importante”.
Il dibattito proseguirà nella seduta di oggi. (aise)