Papa Leone: il Regno di Dio appartiene agli umili

Vatican Media
ROMA\ aise\ - “Non è ostentando i propri meriti che ci si salva, né nascondendo i propri errori, ma presentandosi onestamente, così come siamo, davanti a Dio, a sé stessi e agli altri, chiedendo perdono e affidandosi alla grazia del Signore”. Questo il “potente” messaggio di Papa Leone XIV durante la recita dell’Angelus. Di fronte a fedeli e pellegrini raccolti ieri, 26 ottobre, in piazza San Pietro, il Santo Padre ha invitato a non aver “paura di riconoscere i nostri errori, di metterli a nudo assumendocene la responsabilità e affidandoli alla misericordia di Dio. Potrà così crescere, in noi e attorno a noi, il suo Regno, che non appartiene ai superbi, ma agli umili, e che si coltiva, nella preghiera e nella vita, attraverso l’onestà, il perdono e la gratitudine”.
Queste riflessioni sono emerse dalla lettura del Vangelo (cfr Lc 18,9-14) che “presenta due personaggi, un fariseo e un pubblicano, che pregano nel Tempio.
Il primo”, ha spiegato Prevost, “vanta un lungo elenco di meriti. Le opere buone che compie sono molte, e per questo si sente migliore degli altri, che giudica in modo sprezzante. Sta in piedi, a testa alta. Il suo atteggiamento è chiaramente presuntuoso: denota un’osservanza della Legge esatta, sì, ma povera d’amore, fatta di “dare” e di “avere”, di debiti e crediti, priva di misericordia. Anche il pubblicano sta pregando, ma in modo molto diverso. Ha tanto da farsi perdonare: è un esattore al soldo dell’Impero romano e lavora con un contratto di appalto che gli permette di speculare sui proventi a scapito dei suoi stessi connazionali. Eppure, alla fine della parabola, Gesù ci dice che proprio lui, tra i due, è quello che torna a casa “giustificato”, cioè perdonato e rinnovato dall’incontro con Dio”.
Il perché lo ha spiegato Leone: “anzitutto, il pubblicano ha il coraggio e l’umiltà di presentarsi davanti a Dio. Non si chiude nel suo mondo, non si rassegna al male che ha fatto. Lascia i luoghi in cui è temuto, al sicuro, protetto dal potere che esercita sugli altri. Viene al Tempio da solo, senza scorta, anche a costo di affrontare sguardi duri e giudizi taglienti, e si mette davanti al Signore, in fondo, a testa bassa, pronunciando poche parole: “Oh Dio, abbi pietà di me peccatore” (v. 13)”.
“Così Gesù ci dà un messaggio potente”, ha proseguito il Papa: “non è ostentando i propri meriti che ci si salva, né nascondendo i propri errori, ma presentandosi onestamente, così come siamo, davanti a Dio, a sé stessi e agli altri, chiedendo perdono e affidandosi alla grazia del Signore”.
“Commentando questo episodio”, ha aggiunto Prevost, “Sant’Agostino paragona il fariseo a un malato che, per vergogna e orgoglio, nasconde al medico le sue piaghe e il pubblicano a un altro che, con umiltà e saggezza, mette a nudo davanti al dottore le proprie ferite, per quanto brutte a vedersi, chiedendo aiuto. E conclude: “Non ci stupisce […] se quel pubblicano, che non ebbe vergogna a mostrare la sua parte malata, se ne tornò […] guarito” (Sermo 351,1)”.
“Cari fratelli e sorelle, facciamo così anche noi”, l’invito del Papa.” Non abbiamo paura di riconoscere i nostri errori, di metterli a nudo assumendocene la responsabilità e affidandoli alla misericordia di Dio. Potrà così crescere, in noi e attorno a noi, il suo Regno, che non appartiene ai superbi, ma agli umili, e che si coltiva, nella preghiera e nella vita, attraverso l’onestà, il perdono e la gratitudine”. Infine il consueto appello “a Maria, modello di santità, che ci aiuti a crescere in queste virtù”.
Al termine dell'Angelus, Leone ha rivolto il suo pensiero alle popolazioni del Messico orientale, colpite nei giorni scorsi dall’alluvione. “Prego per le famiglie e per tutti coloro che soffrono a causa di questa calamità, e affido al Signore, per intercessione della Vergine Santa, le anime dei defunti”, ha detto.
Infine “incessante” la “preghiera per la pace” e “speranza” per “i bambini, le madri, i padri e gli anziani vittime delle guerre”. (aise)