Italoamericano/ Due chiacchiere con Gian Maria Annovi, poeta e semifinalista al Premio Strega – di Silvia Nittoli

SAN FRANCISCO\ aise\ - ““Ero un ragazzino di provincia che amava la poesia”. Si definisce così Gian Maria Annovi, ripensando ai suoi esordi, alle sue prime poesie. Nato nel 1978 a Scandiano, un piccolo paese tra le colline emiliane, Annovi è ora tra i semifinalisti al Premio Strega Poesia, il più importante riconoscimento letterario italiano. Una carriera che ha preso il via nel 1998 quando, con un piccolo editore, esordisce con la sua prima raccolta, Denkmal, alla quale ne sono seguite altre cinque, fino a Discomparse, pubblicata da Nino Aragno Editore nel 2023, che ha catturato l’attenzione della giuria del Premio Strega, insieme ad altri 11, tra 144 candidati. “Questa raccolta raccoglie quasi dieci anni di scrittura. Io scrivo poco e tendo a riscrivere molto, non sono tanto prolifico”. Mi racconta Annovi, che dopo una laurea in Filosofia a Bologna e un dottorato in Italian Studies alla Columbia University di New York da undici anni vive a Los Angeles, dove insegna letteratura italiana alla University of Southern California (USC)”. Ad intervistare Annovi è stata Silvia Nittoli per “l’ItaloAmericano.org”, magazine diretto a San Francisco da Simone Schiavinato.
D. Come è avvenuto il suo esordio nella poesia?
R. Ho iniziato a scrivere molto presto e arrivato all’età di 20 anni ho provato a mandare in giro alcune mie poesie. Stiamo parlando dell’epoca pre-internet, quando si spedivano ancora le lettere. A un certo punto mi sono deciso a inviarle a quello che secondo me era il poeta più importante, Andrea Zanzotto, che aveva da poco pubblicato una riedizione del Galateo in Bosco. Ricordo ancora con grande emozione quando ricevetti la sua telefonata. Ha fatto una specie di piccolo editing alla mia raccolta, si è anche auto-intitolato una poesia che gli avevo dedicato. Ricordo che mi disse: “Qui come titolo metterei un bell’asterisco, perché rende bene l’idea del male impronunciabile di cui parli”.
D. Che tipo di stile ha la sua poesia?
R. Concettuale, ragionativa. Normalmente i miei testi fanno parte di una serie, e ogni serie è come un racconto, una specie di storia, che può ruotare intorno a un’idea o una storia vera e propria. Quindi il testo individuale ha un valore relativo, cioè funziona in questo sistema che chiamo serie. È una poesia che si pone tra la sperimentazione e una concezione della lirica contemporanea e che mette dunque in discussione la centralità del soggetto.
D. Alcune delle sue poesie sono state tradotte in inglese, spagnolo, tedesco e francese e incluse in numerose antologie. Quante fedele può essere una tradizione in un’altra lingua?
R. La traduzione poetica è la forma di traduzione più difficile perché mantenere forma e contenuto è pressoché impossibile. Si deve necessariamente rinunciare a qualcosa. Quello che per me è importante è rendere l’effetto della poesia, ovvero l’effetto che l’autore vuole ottenere sul lettore nella lingua originale e per questo motivo non sono contrario a modificare i testi. Per esempio, in una mia raccolta bilingue del 2010, Kamikaze e altre persone, i testi originali e le mie traduzioni in inglese sono molto diversi tra loro, al punto che non le chiamo versioni, proprio nel senso del verso, cioè del verso animale, che è l’espressione di un bisogno, e a volte di un dolore, di una sofferenza. È questo ciò uno deve comunicare: la ragione dell’espressione prima della forma.
D. Che materie insegna alla USC?
R. Tengo corsi di letteratura, cinema e cultura italiana e anche dei corsi graduate per letterature comparate, in particolare corsi di media studies o translation studies. Mi sono occupato molto di poeti sperimentali come Amelia Rosselli, Andrea Zanzotto, Antonio Porta, l’area delle avanguardie. Negli ultimi 15 anni ho lavorato parecchio su Pier Paolo Pasolini, che comunque non è solo un poeta, ma è un artista multi-mediale. Tra le mie pubblicazioni accademiche più recenti c’è il saggio Pier Paolo Pasolini: Performing Authorship (Columbia University Press 2017), per il quale ho ricevuto il Premio internazionale Flaiano e il MLA Howard R. Marraro Prize per l’Italianistica.
D. Di che progetti si sta occupando al momento?
R. Sto lavorando su un secondo libro sempre su Pier Paolo Pasolini e ho in cantiere un libro su Nanni Balestrini, che è stato uno scrittore, un poeta e uno dei principali esponenti della neoavanguardia italiana. Il 12 giugno volerò a New York perché al CIMA, il Center for Italian Modern Art, faranno una mostra su di lui e mi hanno invitato per parlarne.
D. Di quali altri autori si è occupato?
R. Lo scorso anno, in occasione delle celebrazioni per il centenario di Italo Calvino, ho organizzato Six Memos for the Present 1923-2023, un ciclo di conferenze che miravano a offrire una prospettiva interdisciplinare sull’eredità di Italo Calvino, in collaborazione con USC Dornsife e l’Istituto Italiano di Cultura di Los Angeles. Ho invitato alcuni studiosi e artisti come Gian Maria Tosatti che ha rappresentato l’Italia al Padiglione della Biennale due anni fa; abbiamo fatto anche un evento con il romanziere e poeta Andrea Bajani, che ha tenuto una conferenza sulla lingua di Calvino.
D. Che periodo sta vivendo la letteratura italiana negli Stati Uniti?
R. L’interesse per la cultura italiana dell’America è quasi una forma di feticismo, nel senso che tutto quello che è italiano ha un’aurea di prestigio e di bellezza, cosa che ovviamente è uno stereotipo. Detto questo, quello che della letteratura italiana si conosce sono gli autori più commerciali, come nel caso di Ferrante. Per quanto riguarda l’ambiente accademico, l’italianistica, come tutte le discipline che si occupano di culture nazionali e lingue in particolare, sono in uno stato di crisi, non solo in America, ma anche in Europa. I Dipartimenti di italianistica all’estero ormai fanno fatica, ma questo è un problema generale legato alla nostra società che non valorizza per nulla la lettura, la lettura anche meditata, pensata, lenta. I valori al giorno d’oggi sono altri, più legati alla velocità della tecnologia che alla profondità della poesia”. (aise)