l’ItaloAmericano/ Il debutto di Francesco Bauco a Hollywood – di Silvia Nittoli

foto di Stefano Lisci

SAN FRANCISCO\ aise\ - ““È bello avere sogni nei cassetti, ma i cassetti vanno aperti, altrimenti restano solo sogni”, ci racconta Francesco Bauco, che il suo cassetto l’ha aperto all’Hudson Theater di Hollywood, dove lo scorso 18 maggio ha debuttato negli Stati Uniti con lo spettacolo What Am I Doing Here?, del quale l’attore italiano è regista e protagonista. Un atto unico in cui Elio, il personaggio interpretato da Bauco, sul palco coadiuvato da sei attori, fa un bilancio della propria vita e della propria solitudine all’alba dei quarant’anni”. Ad intervistarlo è stata Silvia Nittoli per l’ItaloAmericano.org, magazine diretto a San Francisco da Simone Schiavinato.
“Lo spettacolo era stato rappresentato in Italia con il titolo Come mai sono qui, un monologo composto da una serie di frasi e aneddoti tratti dal libro di Paolo Silvestrini, Dettagli di dettagli. “What Am I Doing Here è un viaggio teatrale incentrato su un uomo alle prese con i suoi amori passati, le sue incertezze e il fascino enigmatico delle donne, intrecciando ricordi toccanti e incontri stravaganti. Le interazioni di Elio con una variopinta gamma di personaggi si svolgono su un palco scenografato in maniera essenziale, mischiando umorismo e introspezione”, spiega Bauco, nato e cresciuto a Roma ma residente a Los Angeles dal 2015. “Dopo il tour in Italia, in diverse località marittime, in arene romane e in alcuni spazi archeologici come accaduto nello splendido antico teatro romano di Formia, in provincia di Latina, ho sentito che ci potevano essere le potenzialità per portarlo negli Stati Uniti”.
D. Come è nata l’idea di portare in un teatro di Hollywood uno spettacolo italiano?
R. Esibirmi in Italia come regista e protagonista è stata una bella sfida, ma il riscontro del pubblico italiano mi ha dato la forza di fare una cosa che avevo desiderio di fare da tempo ma di cui avevo paura di non essere all’altezza: recitare in inglese e dirigere attori americani. Poi mi son ricordato che nella vita dobbiamo fare proprio le cose che ci spaventano, che ci fanno uscire dalla nostra comfort zone, e sfidarci sempre, fare un passo più in là ogni volta.
D. Quali difficoltà ha incontrato nell’adattamento dall’italiano all’inglese?
R. Il sarcasmo americano è differente in alcuni aspetti dall’ironia schietta italiana. Lauren Waites, una delle attrici dello spettacolo, ha avuto il difficile compito di adattare il testo in inglese senza tradire la scrittura asciutta e a tratti cinica di Paolo Silvestrini.
D. Per What Am I Doing Here ha curato anche la regia. Ha avuto degli autori di riferimento?
R. La regia teatrale è qualcosa che amo fare con tutto me stesso da sempre. Essendo attore, lavorare con gli attori parlando lo stesso linguaggio e coinvolgerli nella tua visione è una esperienza unica, quasi un processo magico. I riferimenti per il riadattamento sono stati quelli dei film italiani e non, ma anche di spettacoli di Broadway a me cari. Ho inserito infatti citazioni e omaggi a Federico Fellini, Vittorio De Sica, Alan Aycbourne, Woody Allen, Mike Nichols e persino Carlo Verdone.
D. Il cast americano è composto da attori italiani e americani. Era una cosa che desiderava avere anche attori italiani?
R. Sì, l’ho voluto fortemente. Nonostante le due attrici italiane Ilaria Cerini e Gaia Passaler parlino benissimo inglese, per me aveva una forte valenza simbolica ed energetica creare un’equa ripartizione delle due nazionalità. Per questo insieme a noi tre attori italiani, ci sono gli americani Lauren Waites, Alex Mason e Michael Collins.
D. Quanto italiane e quanto universali considera le tematiche dello spettacolo?
R. Elio è tutti noi, a prescindere dalla nazionalità. Con le sue paure, i dubbi, le insicurezze, le malinconie e le speranze. Elio è universale. La sua paura di invecchiare, di non aver lo stesso appeal sulle donne come a 30 anni, son paure che appartengono alla sfera maschile, e non solo, di tutto il globo. Lo spettacolo è una sorta di lente di ingrandimento sulle decisioni che prendiamo nel corso della vita; al momento magari non ce ne accorgiamo ma quelle decisioni cambiano il percorso che intraprendiamo, che prende una direzione piuttosto di un’altra.
D. Da quando è negli Stati Uniti, ha recitato con Bruce Willis, Matt Damon, Kathleen Turner e Christian Bale. A quale successo cinematografico è più legato?
R. Sicuramente la mia svolta cinematografica è avvenuta nel 2018 quando ho firmato con la 20th Century Fox per interpretare Lorenzo Bandini, storico pilota della Ferrari degli anni ’60, nel film Ford V Ferrari, tradotto in Italia come Le Mans ’66 – La grande sfida. Il film ha ottenuto quattro candidature agli Academy Awards nel 2019, tra cui “Miglior Film” vincendo poi ben due statuette. L’anno successivo sono stato special guest star nella serie televisiva della CBS, Mom, nella quale ho recitato al fianco di attrici come Kathleen Turner, il premio Oscar Allison Janney, e Anna Faris.
D. Come attore cosa le ha insegnato il cinema che ha portato con sè anche a teatro?
R. Lavorare fianco a fianco sul set con grandi star di Hollywood mi ha portato due insegnamenti che porto con me non solo in scena ma nella vita: la disciplina e l’umiltà. Entrambe fondamentali per costruire qualcosa rimanendo con i piedi per terra e non dimenticando da dove si è venuti.
D. Quanto è stato importante avere l’aiuto dal Sistema Italia a Los Angeles, dal Consolato Italiano all’Istituto Italiano di Cultura?
R. Avere il sostegno e il supporto dalle prestigiose istituzioni italiane qui a Los Angeles è stato fondamentale non solo dal punto di vista logistico ma anche psicologico. Saper di esser affiancato da loro mi ha dato molta carica e fiducia. Quando le persone credono in te, aumenta la responsabilità, ma parallelamente aumenta anche l’entusiasmo e la voglia di fare bene. La Console Raffaella Valentini e il direttore dell’Istituto Italiano di Cultura Emanuele Amendola erano in prima fila.
D. Quali sono gli obiettivi di “What Am I Doing Here” in futuro?
R. Ne stiamo parlando con gli altri Istituti Italiani di Cultura per portarlo non solo in altri sedi in California, ma anche a Washington D.C. e New York. Lo considero particolarmente adatto a quest’ultima città, non solo per la cultura teatrale che si respira nella Grande Mela, ma anche perché a New York la comunità italoamericana è solida ed è una vera istituzione”. (aise)