MeridianoItalia.tv/ Giovani ed il Giubileo, dal Grande Giubileo del 2000 al Giubileo della Speranza - di Gianni Lattanzio


ROMA\ aise\ - “C’è un filo sottile, forse invisibile agli occhi frettolosi, che unisce l’estate del 2000 a quella del 2025: storie di zaini e passi, sudore e speranze, metropolitane che non dormono mai e Tor Vergata che torna cuore pulsante del mondo, mentre Roma – antica e stanca, ogni volta pronta a lasciarsi sorprendere – si fa campo da gioco per la fede dei giovani. È un tempo che sembra sospeso: la città intorno si arrabatta con le sue paure, le sue piccole miserie, ma in quei giorni, in quella pianura, accade qualcosa che trasfigura ogni cosa. “I Giovani ed il Giubileo, dal Grande Giubileo del 2000 al Giubileo della Speranza”: ecco il titolo giusto per raccontare la vita che ribolle sotto la cenere dell’abitudine, la caparbia energia di chi ha vent’anni e non vuole mollare il mondo ai cinici”. Così scrive Gianni Lattanzio, direttore di MerianoItalia.tv, nei giorni in cui Roma ospita il Giubileo dei Giovani.
“Tutto ricomincia – e tutto si rinnova – da un ricordo: l’alba del nuovo millennio, venticinque anni fa, il “Grande Giubileo” e Giovanni Paolo II che tira su le maniche della storia e affida ai giovani il compito più audace: essere le “sentinelle del mattino”. Tor Vergata è un fiume di voci, bandiere, promesse e canti che trafiggono il silenzio: la fede non è più solo un appuntamento del calendario, ma un’esperienza che chiama alla libertà, alla fraternità, al coraggio di scegliere Cristo senza trucchi e senza maschere. Molti di quei ragazzi sarebbero diventati medici, insegnanti, suore, padri e madri: ancora oggi – come raccontano interviste e testimonianze – portano addosso il “fuoco” acceso in quei giorni.
Ogni stagione, però, col suo superbo carico di luce, racchiude una scommessa nuova. Roma – città abituata alle sfide impossibili – rialza la posta. Nell’estate del 2025 si prepara a ospitare il “Giubileo della Speranza”, la più grande mobilitazione giovanile mai vista dagli anni Duemila. La città si trasforma: cinquemila forze dell’ordine, migliaia di volontari, decine di navette, milioni di bottiglie d’acqua, palazzetti e scuole che diventano dormitori improvvisati, linee della metropolitana accese per ventuno ore filate, controlli, maxi-schermi e la promessa che – almeno per una settimana – niente e nessuno resterà indietro o solo. L’organizzazione è tanto minuziosa da sembrare, a tratti, un prodigio laico: Tor Vergata, finalmente completata e rinnovata, diventa laboratorio di futuro; i giovani sono chiamati a camminare per chilometri di asfalto bollente, ma lo fanno sorridendo – perché sanno che, qui, la stanchezza non è mai solo stanchezza, ma l’annuncio di una vita che vale.
Fra i battiti di questa festa, emergono volti che diventano modelli. Non sono santi da cartolina: sono ragazzi veri, instancabili, fragili e audaci. Pier Giorgio Frassati incarna la gioia di arrampicarsi “verso l’alto” – grintoso, fedele, ironico, con le mani nella vita degli ultimi e lo sguardo fisso sull’Eucaristia. La sua canonizzazione è fissata proprio nel cuore di questo Giubileo: nella basilica di Santa Maria sopra Minerva, a due passi dai rumori del centro, la sua salma diventa bandiera silenziosa di una santità gioiosa, vicina, contagiosa. Accanto a lui, la luce sottile di San Nunzio Sulprizio, giovane operaio dell’Ottocento, logorato dal dolore e dalla povertà: proprio nella sofferenza, però, capace di custodire – e offrire – una speranza ostinata, che diventa tiepido rifugio per chi, oggi, si sente stanco, fragile, messo ai margini. Nunzio e Pier Giorgio insegnano che la santità è faccenda per tutti: per chi si arrampica e per chi si trascina, per chi ride e per chi piange.
Ma, a ben guardare, il vero miracolo resta quello che accade lontano dai riflettori: nell’incrocio delle vite ordinarie che si donano, si accolgono, si mischiano senza difese. Giovani che cucinano la colazione all’alba; gruppi che lavano piatti e coperte; confessioni che riscrivono la storia personale; lacrime asciugate da un abbraccio inatteso. Sono questi i segni veri del Regno, la risposta al cinismo di chi pensa che “non cambierà mai nulla”. In quei giorni Roma impara, ancora una volta, che la città – per essere umana – ha bisogno di una Chiesa capace di ospitare non solo le certezze, ma anche le domande, le fragilità, le ferite dissimulate dietro i selfie o le storie.
Il cammino non è tutto festa. La sfida della pastorale giovanile – lo dicono i responsabili e lo gridano i fatti – si fa ogni giorno più complessa: piattaforme digitali che divorano il tempo e la capacità di attenzione, relazioni che si fanno liquide, tante case senza padri o senza nonni, la tentazione di ridurre tutto a un like o a una performance. Eppure, proprio qui la Chiesa prova a giocarsi la sua audacia più grande: offrire non solo risposte, ma “spazi per domandare”, comunità dove nessuno sia costretto a salvarsi da solo. È questa la sfida più grande: mostrare che la speranza non è un’illusione per ingenui, ma una disciplina collettiva che si costruisce un passo alla volta tra le generazioni, tra i sogni e i dolori, tra le ombre del mondo e la promessa di Dio che “fa nuove tutte le cose”.
È qui che Bibbia e vita si toccano: il Giubileo dei giovani non sarà mai soltanto un episodio tra molti, ma una parabola che narra la Parola stessa del Vangelo. Lo sguardo di Pietro che invita a “rendere ragione della speranza che è in noi” (1 Pt 3,15); il cuore inquieto di Maria che accoglie l’imprevedibile; le lacrime di Geremia, le domande di Giobbe, l’audacia di Davide ragazzo davanti a Golia. E soprattutto il passo di Gesù che, a trent’anni soltanto, cammina a fianco degli ultimi e dei ribelli, e scommette tutto sulla possibilità che un giovane, anche nel buio, possa ancora scegliere la luce.
“Dal Grande Giubileo del 2000 al Giubileo della Speranza”: è questo il cammino che Roma, la Chiesa e il mondo provano a scrivere ancora. Una storia che non si lascia chiudere nei programmi, ma abita le pieghe segrete delle esistenze – e che, proprio per questo, ci chiama a credere che niente è impossibile quando si sogna insieme.
Così sarà, se avremo il coraggio di rimetterci in cammino. Perché la speranza avrà sempre la faccia giovane di chi osa ancora scommettere sul domani. E il miracolo più grande, come venticinque anni fa, accadrà forse nel silenzio di una notte d’agosto, tra le luci di Tor Vergata: quando una città intera capirà che – per un attimo – tutto davvero può rinascere dal basso”. (aise)