Swissinfo.ch/ 150 anni di cittadinanza svizzera per Cavaione, la storia di un villaggio senza patria – di Marija Alberti-Miladinovic

Keystone/Gian Ehrenzeller

BERNA\ aise\ - “Immaginate di vivere nel 1850 in un paesino di montagna che fa parte dell’Impero austriaco. Nove anni dopo, nel 1859, il territorio viene annesso al Regno di Sardegna, che nel 1861 diventa Regno d’Italia. Per poco però. Due anni e si cambia di nuovo bandiera: dal 1863 questo borgo alpino assolato entra a far parte della Confederazione elvetica. Stiamo parlando di Cavaione, un villaggio incastonato sul versante destro della Valposchiavo che fa parte del comune di Brusio, nel canton Grigioni, a una decina di chilometri dal confine italiano. I suoi tornanti, lungo cui spuntano case e stalle, salgono dai 1’200 ai 1’500 metri di altitudine. Complici le vicissitudini storiche che negli anni precedenti hanno coinvolto l’area di confine, dopo l’annessione alla Svizzera, per diversi anni la popolazione è rimasta senza cittadinanza, più legata al territorio che allo Stato di appartenenza”. Ne scrive Marija Alberti-Miladinovic su “swissinfo.ch”.
“Solo il 12 luglio del 1875, esattamente 150 anni fa, la gente di Cavaione ottenne finalmente la cittadinanza elvetica, passando così alla storia come l’ultimo paese a entrare a far parte della Svizzera.
PARTE DI UN MONDO A SÉ STANTE
Come scrive la Fondazione Cavaione in una nota dedicata proprio all’anniversario che cade in questi giorni “gli abitanti di quello che era probabilmente l’insediamento più ripido della Svizzera seppero anche sfruttare la situazione a loro favore”.
In occasione della naturalizzazione, si legge ancora, l’allora assessore di Brusio riferì quanto segue: “In passato, gli abitanti di Cavaione non volevano identificarsi come grigionesi perché, facendo così, non erano chiamati a pagare imposte a Tirano”, in Valtellina, dove si approvvigionavano. “Ai funzionari del fisco italiano dicevano invece il contrario”.
Anche una volta che la popolazione ha chiarito la questione legale diventando svizzera, ci racconta lo storico Fabrizio Lardi, la percezione di essere una comunità paesana prima che nazionale è rimasta.
“Come spesso accade nei territori che si radicano lungo le frontiere, anche i cavaionesi integravano il loro magro reddito agricolo con il contrabbando. Durante la Seconda Guerra mondiale, poi, la vicinanza con il confine è servita per far entrare i profughi ebrei italiani in Svizzera. C’è sempre stata un po’ questa concezione di far parte di un mondo a sé stante”.
Nonostante questa percezione di essere una comunità un po’ a metà tra Svizzera e Italia, continua Lardi, “è interessante il fatto che fossero integrati nelle milizie grigionesi. Non tutti, ma molti partecipavano alla leva anche senza possedere la cittadinanza. Un fatto curioso ma che può essere spiegato da controlli che, probabilmente, all’epoca erano meno capillari di oggi”.
DAL RICONOSCIMENTO ALLA NATURALIZZAZIONE
Prima che il Consiglio federale regolasse i confini con l’Italia, includendo Cavaione nel comune di Brusio, la frontiera era oggetto di dispute tra Grigioni e Valtellina. I Grigioni tracciavano il confine lungo la cresta montuosa e poi verso nord, mentre i valtellinesi lo consideravano più a ovest, includendo Cavaione e le sue risorse nel territorio italiano.
Il cantone svizzero si basava su un arbitrato del 1526, che però i valtellinesi contestavano perché emesso da un tribunale composto solo da grigionesi. Il trattato del 1863-64 tra Svizzera e Italia portò alla rettifica dei confini in tre aree: Passo dello Splügen, Castasegna e la bassa Valposchiavo. La Svizzera rinunciò ad alcuni chilometri di territori nelle prime due zone, ottenendo in cambio l’inclusione di Cavaione. Rimaneva tuttavia irrisolta la questione della cittadinanza dei suoi abitanti.
Nel 1873, il villaggio contava 103 abitanti. Di questi, i membri di 14 famiglie risultavano apolidi. Si decise quindi di incorporare Cavaione nel comune di Brusio. Il Consiglio federale sostenne la richiesta e l’Assemblea federale approvò un finanziamento di 17’900 franchi per quella che è stata l’ultima naturalizzazione “di massa” della Confederazione.
A questi, il Canton Grigioni aggiunse 3’600 franchi, mentre i cavaionesi, a costo di sacrifici, racimolarono altri 1’420 franchi che offrirono insieme alla promessa di dare una mano nella costruzione della nuova scuola del paese. L’edificio, inaugurato nel 1873, è stato attivo per quasi 100 anni, fino al 1971, quando fu costretto a chiudere per carenza di scolari.
UNA COMUNITÀ POVERA E ANALFABETA
“Se da una parte, la gente di Cavaione poteva trarre qualche profitto dalla situazione di incertezza in cui viveva, i cavaionesi erano però anche svantaggiati su alcune cose”, spiega ancora Fabrizio Lardi. “Prima del riconoscimento territoriale da parte elvetica facevano riferimento a Tirano, in Valtellina, poi l’Italia ha smesso di fornire loro servizi come quello scolastico o medico in quanto non italiani”.
“È pressoché impossibile sapere come questa situazione di apolidi venisse vissuta dalle persone del luogo perché erano a quei tempi una comunità povera che non sapeva leggere, né scrivere. Non ci sono quindi testimonianze dirette in cui venga raccontata questa fase di passaggio, ma solo documenti di dichiarazioni riferite da altri, che ne interpretavano intenzioni e opinioni”, spiega ancora Lardi.
In un articolo risalente al 1963 di un altro storico svizzero, Riccardo Tognina, (Cavaione, das vergessene DorfCollegamento esterno), veniva confermata la vita modesta condotta dai cavaionesi, i quali praticavano un’agricoltura di sussistenza, coltivando patate, orzo e segale, e allevando bestiame. La vita non era semplice: si pensi che per raggiungere Brusio, il percorso a piedi lungo la mulattiera era di almeno due ore a passo deciso.
L’EMIGRAZIONE
Dei 103 abitanti del 1875, nel 1950 ne erano rimasti solo 65, riportava ancora Tognina. “Molti sono emigrati in Australia per fare gli agricoltori. Altri hanno scoperto i nostri centri svizzeri, dove si sono trasferiti per lavorare, ad esempio, come muratori”.
È interessante inoltre leggere come, nel 1963, un buon conoscitore della società come Tognina scrivesse che la costruzione della strada carrabile che da Cavaione avrebbe portato a fondovalle, in corso in quegli anni, lasciava qualche spiffero di speranza per un rallentamento dell’emigrazione, invece che per un suo incremento. “Ora anche questo villaggio di montagna dei Grigioni avrà una strada. Che non serva a facilitare il trasferimento dei locali, ma a rendere più piacevole e facile la vita delle famiglie che vivono lassù”.
Stando a quanto ci conferma Lardi, oggi, gli abitanti di Cavaione sono otto. L’apertura della strada ha infatti segnato l’inizio di un’emigrazione ancor più decisa e il numero di abitanti diminuì rapidamente e, come anticipato, anche la scuola chiuse nel 1971.
CAVAIONE OGGI
L’identità dei cavaionesi, tuttavia, non si è volatilizzata con le partenze in cerca di una vita migliore. Anzi, è ben salda anche in chi non abita più l’assolata sponda montana, ma comunque vi fonda le proprie radici familiari.
Dal 2016, la Fondazione Cavaione sta lavorando per rivitalizzare il villaggio. Finora ha riparato diversi chilometri di muri a secco e il vecchio edificio scolastico è stato trasformato in alloggi collettivi.
L’anniversario dei 150 anni dalla naturalizzazione dei cavaionesi è inoltre stata l’occasione per la Fondazione di organizzare una festa in cui persone emigrate, discendenti e amici tornano per celebrare tutti insieme. Un invito cui hanno risposto in 180 e che è stata da pretesto per adibire anche una piccola mostra che ripercorre la storia di Cavaione nell’ex aula scolastica, curata dalla Società Storica Valposchiavo”. (aise)