I passi della ricerca (2)

ROMA – focus/ aise - Luna e asteroidi sono al centro di due importanti Memorandum of Understanding firmati il 24 febbraio, dall’Agenzia Spaziale Italiana (ASI), rispettivamente con l’Agenzia spaziale degli Emirati Arabi Uniti (UEASA) e il Mohammed Bin Rashid Space Centre (MBRSC), con l’obiettivo di rafforzare la collaborazione internazionale nel settore dell’esplorazione spaziale. A firmare il presidente dell’ASI Teodoro Valente, il presidente di UEASA, Ahmad Belhoul Al Falasi e il direttore generale di MBRSC, Salem Humaid AlMarri, alla presenza della presidente del Consiglio, Giorgia Meloni, e del presidente degli Emirati Arabi Uniti, Sheikh Mohamed bin Zayed al Nahyan.
I due accordi riguardano la missione Rashid Rover 3, sviluppata dal Mohammed Bin Rashid Space Centre (MBRSC), e la missione Emirates Mission to Asteroids (EMA), promossa dall’United Arab Emirates Space Agency (UAESA). I Memorandum confermano l’impegno congiunto delle parti per lo sviluppo di attività scientifiche e tecnologiche di grande rilevanza per l’esplorazione della Luna e degli asteroidi.
La missione Rashid Rover 3 – ricorda l’Asi – è parte del programma Emirates Lunar Mission (ELM), avviato nel 2020, e prevede lo sviluppo di rover lunari per l’esplorazione della regione del Polo Sud lunare, un’area di grande interesse scientifico per la ricerca di ghiaccio superficiale e per lo studio dell’evoluzione del nostro satellite naturale. L’Italia, attraverso l’ASI, giocherà un ruolo fondamentale in questa missione attraverso la fornitura del Moon Infrared Spectrometer (MoonIS), uno spettrometro ad infrarossi avanzato, che sarà integrato nel carico utile del rover. Lo strumento italiano è basato sul design e sulle componenti dello spettrometro MA_MISS attualmente a bordo del rover Rosalind Franklin della missione ExoMars dell’Agenzia Spaziale Europea (ESA).
La missione Rashid Rover 3, in programma per il 2028, avrà un impatto significativo sullo studio della Luna, con particolare attenzione alla geologia e alla composizione minerale della superficie lunare.
In parallelo, l'ASI ha firmato anche un accordo con l’Agenzia spaziale degli Emirati Arabi Uniti (UAESA) per la missione Emirates Mission to Asteroids (EMA). Si tratta, spiega l’Asi, di un ambizioso progetto che mira ad esplorare asteroidi di interesse scientifico, con lo scopo di raccogliere dati cruciali per comprendere meglio l'origine del nostro Sistema Solare e le risorse potenzialmente sfruttabili in futuro.
L’ASI fornirà il proprio supporto tecnico e scientifico, contribuendo alla progettazione e realizzazione della missione, attraverso le competenze italiane nella tecnologia spaziale avanzata. L’Italia avrà un ruolo centrale anche in questa missione, portando avanti la propria tradizione di eccellenza nell’innovazione spaziale.
E’ stato appena pubblicato sulla rivista Journal of Volcanology and Geothermal Research lo studio “Chemical and isotopic characterization of groundwater and thermal waters from the Campi Flegrei caldera (southern Italy)”, a cura di un team dell’Osservatorio Vesuviano dell’Istituto Nazionale di Geofisica e Vulcanologia (INGV-OV), in collaborazione con il Dipartimento di Scienze della Terra e del Mare dell’Università degli Studi di Palermo (UniPA-DISTeM), il Dipartimento di Scienze della Terra, dell’Ambiente e delle Risorse dell’Università degli Studi di Napoli Federico II (UniNA- DiSTAR) e il Dipartimento di Scienze e della Terra dell’Università degli Studi di Milano-Bicocca (UniMiB-DISAT).
"Il lavoro rappresenta il primo studio esaustivo sulla geochimica della falda flegrea dal 2005 data di inizio dell'attuale crisi bradisismica el, e ha permesso di riconoscere i complessi processi che controllano le differenti caratteristiche delle acque, fra i quali l’aggiunta di gas vulcanico-idrotermali e i loro processi di degassamento, contribuendo alla definizione del modello geochimico del sistema" spiega Stefano Caliro, Dirigente Tecnologo responsabile del monitoraggio geochimico dei vulcani campani presso l’INGV-OV, sottolineando come la comprensione di tali processi sia cruciale per il monitoraggio dell'attività vulcanica.
"Tra i risultati più interessanti vi è l’integrazione del modello concettuale con il modello fisico numerico del sistema, che prevede una risalita di gas nell’area Solfatara-Pisciarelli, e l’ identificare l’interazione tra fluidi vulcanici e acquiferi sulla base delle caratteristiche delle acque. Questa zona si conferma come il cuore dell'attività idrotermale della caldera", sottolinea Giovanni Chiodini, Dirigente di Ricerca Associato presso l’INGV.
I processi geochimici identificati sono strettamente connessi, ma ognuno domina in regioni specifiche del sistema idrotermale, causando quindi, la grande variabilità nella composizione delle acque sotterranee all'interno della caldera. Nei Campi Flegrei coesistono, infatti, acque fredde di origine meteorica, acque bicarbonate termali originate dalla interazione con i gas nelle aree periferiche del sistema, acque clorurate derivate da soluzioni saline ad alta temperatura, e, infine, acque sotterranee dell'area Solfatara-Pisciarelli, dove gioca un ruolo determinante la condensazione di vapore ricco di zolfo.
“L’indagine ha avuto quindi lo scopo di comprendere meglio i processi chimici che influenzano la composizione delle acque sotterranee. Attraverso l'analisi di 114 campioni raccolti in un’estesa campagna di misure tra il 2013 e il 2014, abbiamo sviluppato un modello geochimico che ha permesso di descrivere l’evoluzione della interazione di acqua meteorica con soluzioni saline idrotermali e gas vulcanici durante il suo percorso sotterraneo”, aggiunge Alessandro Aiuppa, Professore presso l’Università di Palermo.
I dati raccolti hanno quindi permesso di sviluppare un modello concettuale avanzato utile per evidenziare e interpretare eventuali cambiamenti futuri nella chimica delle acque sotterranee e nella dinamica dei processi. “I risultati di questo studio hanno permesso di progettare e realizzare una rete multiparametrica permanente di monitoraggio delle acque nella caldera, attiva dal 2018 e in continua evoluzione, che rappresenta uno strumento essenziale per rilevare modifiche nel sistema e riconoscere eventuali segnali della ripresa dell’attività vulcanica", conclude Mauro A. Di Vito, Direttore dell’INGV-OV. (focus\aise)