I passi della ricerca

ROMA – focus/ aise – Contrastare il cancro attraverso cellule artificiali in grado di individuare la patologia e di curarla. È il duplice obiettivo al quale lavora una squadra di ricerca del Dipartimento di Biologia cellulare, computazionale e integrata – Cibio – dell’Università di Trento, che ha recentemente vinto due progetti europei finanziati da Horizon Europe EIC Pathfinder Open. Entrambi gli studi sono coordinati da Martin Hanczyc, professore di Biochimica, responsabile del laboratorio di biologia artificiale del Dip. Cibio, e vedono la partecipazione di altre istituzioni accademiche e di partner industriali europei.
Nel laboratorio del professor Hanczyc già da tempo si lavora allo sviluppo di nuove tecnologie cellulari sintetiche e di materiali bio-ispirati. Esperienza che ora diventa lo strumento cardine per portare avanti i due progetti.
Il principio è lo stesso per entrambi gli studi: inserire nelle cellule artificiali determinati elementi che vadano a colpire, in maniera mirata, quelle dell’organismo umano malate.
Il finanziamento europeo complessivo ammonta a 6,5 milioni di euro. Il gruppo di ricerca è per ora formato da Silvia Holler (assegnista di ricerca post doc), Luca Tiberi (che dirige il laboratorio dei disturbi cerebrali e cancro), e Vito D’Agostino (responsabile del laboratorio di biotecnologia e nanomedicina) e sarà ampliato nei prossimi mesi.
I due progetti di ricerca
Il primo progetto si chiama Bio-HhOST (Bio-hybrid Hierarchical organoid-synthetic tissue).
Lo scopo è di costruire tessuti bio-ibridi, all’interno dei quali cellule artificiali interagiscano con quelle naturali cancerogene, cambiando il loro destino, influenzandone la funzione, la proliferazione e la differenziazione.
Quelli con cui le cellule artificiali andranno ad interagire sono organoidi, aggregati tridimensionali di cellule utilizzati nel mondo della ricerca per riprodurre tessuti e organi umani miniaturizzati e semplificati, creati a partire da cellule staminali.
Queste cellule artificiali conterranno elementi specifici, come per esempio fattori di crescita o farmaci antitumorali capaci di rispondere agli stimoli chimici dell'ambiente e di agire in maniera mirata soltanto sulle cellule viventi tumorali. Il fine è fermarne la crescita e sconfiggerle.
Questi nuovi materiali, chimicamente programmabili, consentiranno di ridurre l'uso di animali negli studi scientifici e di sostenere lo sviluppo e lo studio di medicinali su sistemi più simili agli esseri umani.
Il lavoro sarà svolto da un team interdisciplinare con competenze in biologia, bioingegneria, microfluidica, matematica, programmazione informatica, e comprende, oltre all’Università di Trento, quella di Cardiff e quella di Scienze applicate di Zurigo, e all’azienda MIC di Parigi.
Il nome del secondo progetto è OMICSENS. In questo caso si lavora per costruire il primo sensore biomolecolare nano-fotonico integrato. Uno strumento che potrebbe rivoluzionare i tempi di diagnosi e la prognosi del tumore ai polmoni. Nello specifico del “non-small cell lung cancer”, un particolare tipo di carcinoma polmonare, aggressivo e difficile sia da individuare che da trattare.
All’interno del sensore viene posizionato un microchip dove il medico versa alcune gocce di sangue, un campione di tessuto o delle vescicole extracellulari del paziente. Questo materiale interagisce con particelle artificiali che si legano con le cellule tumorali eventualmente presenti. A questo punto un detector, ossia un rivelatore realizzato con metamateriali sintetici, grazie ad algoritmi di intelligenza artificiale, analizza le reazioni chimiche sul campione.
Tramite il biosensore il medico sarà in grado di verificare con rapidità se è presente il tumore e iniziare tempestivamente la terapia.
Il chip è pianificato per essere pronto all’uso e riutilizzabile. L’intenzione è quella di sfruttarlo in futuro anche per il trattamento di altri tipi di neoplasie.
In questo caso i partner accademici del progetto sono l’Istituto di Bioingegneria della Catalogna, l’Università Ludwig Maximilian di Monaco, l'Istituto Reale di Tecnologia di Stoccolma e alcune aziende europee (Multiwave Imaging, 4K-MEMS SA e Quaisr). Le competenze dei partner accademici e industriali di questo progetto comprendono oncologia, bioingegneria, microfluidica, biochimica, sistemi microelettromeccanici, nano-fotonica, fisica computazionale ed intelligenza artificiale.
La spessa calotta glaciale della Groenlandia - la seconda più grande del mondo - ha perso più massa di quanto pensassimo, rivela un recente studio pubblicato sulla rivista Nature. I ghiacciai della Groenlandia si stanno ritirando più rapidamente del previsto, manifestando una sensibilità alla crisi climatica che avrà impatti irreversibili su scala globale. Studiare la calotta glaciale della Groenlandia è di fondamentale importanza per comprendere i processi climatici, prevederne le conseguenze e sviluppare strategie di mitigazione e resilienza.
Ma per farlo, non si può semplicemente demandare tutto alla tecnologia. Ramón Larramendi, uno dei più noti esploratori polari a livello mondiale da oltre 20 anni impegnato a sviluppare metodologie sostenibili per il monitoraggio delle regioni polari, è il capo-spedizione di SOS ARCTIC - WINDSLED 2024, una traversata di 30 giorni iniziata il 2 maggio, da 1500 chilometri nei ghiacci interni della Groenlandia, sfruttando esclusivamente l’energia eolica. Una missione complessa e lunga durante la quale verranno raccolti dati e campioni al fine di analizzare la condizione della calotta polare in luoghi mai raggiunti prima via terra esplorati prima. Il tutto grazie l’utilizzo di un mezzo innovativo ideato dallo stesso Larramendi.
A supportare questa spedizione 2024, per la prima volta diverse realtà italiane: Gruppo Sella, Sella SGR, Banca Patrimoni Sella & C., il CNR grazie al Programma di Ricerca Artico e l’impegno dell’Istituto di Scienze Polari, Terre Polari, insieme a LCE - Life Cycle Engineering e MAS - Management Around Sports, con la Media Partnership ufficiale di Osservatorio Artico. L’”Inuit Windsled” è il frutto dell’incontro tra la conoscenza tradizionale inuit e l’innovazione tecnologica occidentale. Attraverso la sua ormai quarantennale esperienza, Larramendi si è reso conto che l’elemento fondamentale per l’esplorazione artica è la semplicità. Come un cacciatore inuit era consapevole della necessità di usare strumenti semplici e di facile riparazione, così deve esserlo anche il ricercatore. Nasce così il progetto di una slitta a trazione eolica studiata in modo tale da coniugare la ricerca scientifica con la salvaguardia ambientale.
La spedizione è partita da Qaleraliq, nella parte meridionale della Groenlandia, spingendosi per oltre 1500km verso Nord, in direzione Upernavik, grazie al Windsled più avanzato mai costruito. La nuova slitta sarà lunga 20 metri e larga 3 metri, dotata di pannelli solari e di un aquilone che potrà condurre la spedizione fino a un massimo di 50km/h. Trasporterà una squadra di otto persone con un carico di 3.000 chili. Questo test servirà a determinare la sua capacità di carico massima per future campagne scientifiche, da effettuarsi regolarmente in Groenlandia e, sperabilmente, anche in Antartide. Per maggiori informazioni: https://windsled.org/inuit-windsled/
La raccolta dei dati e dei campioni verrà svolta in collaborazione con enti di ricerca internazionali quali il Climate Change Institute del Maine (USA) e l’Universtià autonoma di Madrid. E appunto l’Istituto di Scienze Polari del CNR. Obiettivo generale della campagna, effettuare l’ultima prova prima di rendere il Windsled, a partire dal 2025, una piattaforma di ricerca permanente e internazionale.
Ramón Hernando de Larramendi, nato a Madrid nel 1965, è un esploratore polare di lunga esperienza. Ha percorso più di 40.000km nei territori polari, ed è stato protagonista di un’avventura senza eguali come la Spedizione Circumpolare del 1990: per tre anni, dal 12 febbraio 1990 al 25 marzo 1993, Larramendi ha percorso 14.000 km, dalla Groenlandia all'Alaska, attraverso il passaggio a Nord Ovest grazie a slitte trainate da cani e kayak. In questa spedizione circumpolare raggiunse il Polo Nord Geomagnetico all'età di 25 anni, diventando così il più giovane esploratore a riuscirci. Un punto di partenza per decine di altre missioni, in Artide e Antartide, di cui SOS Arctic 2024 si propone di essere la prossima, grande tappa. (focus\ aise)