I progressi della ricerca italiana

ROMA – focus/ aise – Una pubblicazione che riassume in sé un lavoro congiunto di più di cinque anni e presenta alla comunità scientifica un nuovo strumento, che consente per la prima volta un'integrazione accurata tra dissezione ex-vivo e trattografia in-vivo, due tecniche complementari che finora non erano mai state integrate nello studio delle connessioni della sostanza bianca umana. Un risultato rappresentativo della nuova tendenza della ricerca, che richiede la convergenza di competenze multidisciplinari, in questo caso tra le neuroscienze cliniche e l'intelligenza artificiale. Lo studio apre nuove frontiere per la neurochirurgia nel trattamento dei tumori cerebrali, nell'approccio alle patologie neurologiche degenerative e, in ambito neuro-riabilitativo, per valorizzare le potenzialità della plasticità cerebrale. Il nuovo strumento, chiamato BraDiPho (Brain Dissection Photogrammetry), è il risultato dello sforzo congiunto dell'Università di Trento, l'Azienda provinciale per i servizi sanitari e la Fondazione Bruno Kessler, con la collaborazione dell'Università di Bordeaux in Francia e l'Università di Sherbrooke in Canada.
Ne dà nota un paper pubblicato su Nature Communications, di cui prima autrice è Laura Vavassori, dottoranda del Centro Mente Cervello (Cimec) dell’Università di Trento con una borsa finanziata da Apss con il progetto NeuSurPlan della Provincia autonoma di Trento co-finanziato dall’Azienda sanitaria. La ricerca segue un approccio interdisciplinare e coniuga neuroscienze cliniche, intelligenza artificiale e neuroanatomia, con la guida di Silvio Sarubbo, docente del Centro interdipartimentale di Scienze mediche (Cismed), del Cimec e del Dipartimento di Biologia cellulare, computazionale e integrata (Cibio) di UniTrento e direttore dell’Unità operativa complessa di Neurochirurgia dell’ospedale “Santa Chiara” di Trento; Paolo Avesani, responsabile del Laboratorio di Neuroinformatica (NILab) del Center for Augmented Intelligence di Fbk; Laurent Petit, ricercatore dell’Università di Bordeaux. Con la fondamentale collaborazione fra le Unità operative di Neurochirurgia e di Anatomia patologica, guidata da Mattia Barbareschi, docente del Cismed e del Dipartimento Cibio, in particolare per quanto riguarda il supporto con spazi dedicati e preparati anatomici.
A spiegare l’innovazione, con la quale Trento si colloca come punto di riferimento a livello mondiale, è Silvio Sarubbo. Il professore ricorre a un’efficace metafora: il cervello umano come un mondo e BraDiPho come una mappa 3D che consente di individuare le autostrade delle funzioni cerebrali, di orientarsi con precisione nel preparare interventi neurochirurgici o nello studio e nell’insegnamento dell’anatomia neuronale. Una guida nella ricerca sulla sostanza bianca, settore in cui Italia ed Europa sono leader, che apre nuove prospettive terapeutiche sia nel campo neuro-oncologico, sia nella neuromodulazione, "riconosciuta come una delle nuove frontiere per il trattamento di varie patologie neurologiche e psichiatriche".
Il contesto di partenza, le necessità
“La conoscenza delle strutture di connessione del cervello è molto importante in ambiente clinico e la comunità scientifica ci sta lavorando molto”, spiega Sarubbo, “soprattutto sta cercando di farlo nel modo meno invasivo possibile. Lo strumento che si è utilizzato nel corso degli ultimi vent’anni è la risonanza magnetica attraverso la trattografia, che per ricostruire le fibre calcola il coefficiente di diffusione nell'acqua all'interno della sostanza bianca e restituisce un’immagine derivata. Un metodo con dei limiti e che produce molti falsi positivi. C’è dunque bisogno di tornare all’anatomia di base per validare i risultati e finora l’unico modo per farlo era la microdissezione, che significa dissecare ex-vivo in laboratorio dei preparati anatomici (i cosiddetti cervelli donati alla ricerca, n.d.r.)”.
La novità: migliaia di immagini restituiscono un modello tridimensionale
Come spiegano i ricercatori, il problema finora era la mancanza di un modo di integrare l’ex-vivo nello spazio dell’in-vivo e proprio questo è stato il punto di avvio della ricerca. Il paper è di fatto il racconto di come i team di Sarubbo e Avesani sono riusciti a risolvere questo problema, riuscendo a riprodurre fedelmente l’anatomia ex-vivo in modo virtuale. Lo hanno fatto con BraDiPho: “Per la prima volta questo strumento mette un preparato anatomico in uno spazio radiologico”, chiarisce il neurochirurgo. “Ora si può fondere l’anatomia ex-vivo con l’anatomia in vivo, compararle, intersecarle e fare delle misure quantitative: in parole semplici fare una valutazione non solo qualitativa, cioè visiva, ma anche quantitativa. Per la prima volta, anziché fare un’immagine della dissezione del preparato, ne facciamo migliaia, in momenti diversi. Parliamo di migliaia di fotografie, scattate da due macchine ad altissima risoluzione che fanno uno scatto per ogni grado, 360, da diverse angolazioni, che, grazie anche all’intelligenza artificiale, diventano un modello 3D del preparato anatomico ad altissima risoluzione. Un modello che si può fondere con la risonanza magnetica”.
La strategia: un utilizzo consapevole dell’intelligenza artificiale
“L’intelligenza artificiale”, ricorda Avesani, “offre un contributo decisivo nella ricostruzione individuale della connettività cerebrale, permettendo di analizzare in modo personalizzato le reti di fibre e le loro variazioni anatomiche. Ma sappiamo che soprattutto nella clinica i suoi risultati devono essere interpretabili e spiegabili. I modelli fotogrammetrici della dissezione ex-vivo del cervello forniscono un riferimento anatomico essenziale, consentendo ai clinici di contestualizzare la trattografia, e di integrare in modo più consapevole i dati generati dall’intelligenza artificiale”.
“Se guardiamo al futuro della medicina personalizzata”, spiega ancora Avesani, “una delle sfide fondamentali consiste nel distinguere tra le differenze interindividuali intrinseche e le deviazioni patologiche rispetto al modello canonico. L’intelligenza artificiale rappresenta uno strumento imprescindibile per affrontare questa sfida, grazie alla sua capacità di integrare e analizzare dati multidimensionali e di elevata complessità”.
Nuove frontiere per chirurgia, clinica e didattica
Finora 12 preparati anatomici sono dunque stati tradotti in fotogrammetria e sono disponibili online gratuitamente per tutta la comunità scientifica all’indirizzo https://bradipho.eu. Nell’articolo si presenta dunque, chiarisce Sarubbo, “un nuovo metodo di validare l’informazione anatomica e di certificarla”. “Tutti i laboratori del mondo potranno scaricare i preparati anatomici disseccati e le ricostruzioni trattografiche che abbiamo usato come esempio. In un Dipartimento di Neurochirurgia qualsiasi nel mondo”, prosegue, “un neurochirurgo potrà scaricare i modelli e sovrapporci il tumore del prossimo caso che dovrà operare, vederlo inserito nel contesto strutturale, imparare l’anatomia e pianificare meglio la strategia di cura”. Una vera mappa che guiderà la mano dei neurochirurghi attraverso i sistemi funzionali senza correre il rischio di danneggiarli. “È un vero atlante del cervello, un metodo per comparare l’ex-vivo e l’in-vivo e ricostruire sostanzialmente l’anatomia reale che viene utilizzata per programmare e studiare gli interventi, ma anche per insegnare ai futuri medici e agli specialisti. Abbiamo già usato il tool proprio in quest’ambito all’Università di Trento per il Corso di Anatomia delle funzioni cerebrali”.
Sapere esattamente come è fatto il cervello umano significa anche poter agire su altri fronti. “Il rilievo non è solo meramente accademico. Significa pure poter orientare la decisione chirurgica; dal punto di vista clinico, ad esempio nel caso di alcune malattie neurologiche, sapere quale parte degenera prima e quindi poter capire su quale parte poter lavorare per rigenerare, stimolare, neuromodulare. Quella della neuromodulazione è la nuova frontiera del trattamento di diverse patologie neurologiche, quali possono essere i disordini del movimento, come la malattia di Parkinson, su cui si interviene ad esempio con la stimolazione di strutture cerebrali profonde (di cui molti aspetti di connessione con il resto del cervello umano devono ancora essere approfonditi per migliorare sempre di più i risultati terapeutici). L’importante è sapere cosa si deve modulare, potersi muovere in maniera precisa. E in questo ci viene in aiuto BraDiPho”.
Un team di ricercatori dell’Università degli Studi di Roma Tor Vergata, in collaborazione con Sapienza Università di Roma, ha sviluppato un nuovo sistema molecolare in grado di creare micro-compartimenti programmabili che imitano il modo in cui le cellule organizzano le proprie funzioni interne. Lo studio è stato pubblicato su JACS – Journal of the American Chemical Society, una tra le riviste più autorevoli nel campo della chimica.
Alla base di questa tecnologia ci sono strutture chiamate nanostelle di DNA, molecole di DNA sintetico progettate in laboratorio con quattro bracci. Tre terminano con sequenze adesive che permettono alle nanostelle di riconoscersi e agganciarsi tra loro in modo controllato. Il quarto braccio è invece modificato con un antigene, cioè una porzione molecolare riconosciuta in modo specifico da un anticorpo.
Quando è presente l’anticorpo corretto, questo si lega agli antigeni di nanostelle diverse e funziona come un ponte molecolare, collegandole tra loro e facendo nascere i micro-compartimenti sferici. È proprio la presenza dell’anticorpo a “decidere” quando questi compartimenti si formano, si dissolvono o si riformano: per questo il sistema è programmabile. Variando tipo e quantità di anticorpo, i ricercatori possono controllare in modo preciso il comportamento del sistema.
La parte innovativa di questo lavoro – evidenziano gli atenei romani – consiste nel dimostrare che DNA e anticorpi possono essere usati insieme come elementi costruttivi per creare micro-strutture dinamiche che riproducono artificialmente una logica tipica dei sistemi biologici: formare ambienti interni altamente regolati in risposta a un segnale specifico. Questo meccanismo è alla base dell’organizzazione cellulare naturale e rappresenta uno dei tratti più complessi da imitare in laboratorio.
“Questa scoperta apre porte a possibilità entusiasmanti. La capacità dei micro-compartimenti di formarsi in risposta a molecole specifiche, per esempio, potrebbe essere utilizzata per rilevare marcatori biologici, permettendo nuovi strumenti diagnostici", spiega Erica Del Grosso, ricercatrice principale del progetto e professoressa associata presso il Dipartimento di Scienze e tecnologie chimiche dell’Università di Roma Tor Vergata.
“I nostri micro-compartimenti ibridi anticorpo-DNA sono come un ponte tra biologia e tecnologia”, conferma Francesco Ricci, ricercatore principale del progetto e professore ordinario presso lo stesso Dipartimento. "Non sono solo stabili e precisi, ma programmabili, fornendo un modo per creare strutture artificiali simili a cellule e sostenere la ricerca di nuovi biomateriali".
“Unire DNA e anticorpi è come costruire un ponte tra due mondi: scoprire come queste molecole interagiscono e collaborano apre nuove prospettive e rende la ricerca che faccio sempre più stimolante”, aggiunge Sara Scalia, primo autore dell’articolo e dottoranda presso il gruppo guidato dal Professor Francesco Ricci.
"Dal punto di vista teorico siamo riusciti a sviluppare un modello che ha permesso di spiegare l’origine dei micro-compartimenti e di prevederne il comportamento”. conclude Lorenzo Rovigatti, professore di fisica della materia teorica presso la Sapienza Università di Roma. “Un passo importante verso lo sviluppo di applicazioni in ambito biomedico e della scienza dei materiali”.
Il progetto è stato sostenuto dal Consiglio europeo per la ricerca (ERC), dall’Associazione italiana per la ricerca sul cancro (AIRC), dal Ministero dell’Università e della ricerca e da NextGenerationEU – Missione 4, Componente 2. (focus\aise)