L'ambiente al primo posto

ROMA – focus/ aise – Uno studio curato dall’Istituto di ricerca sulla crescita economica sostenibile del Consiglio nazionale delle ricerche (Cnr-Ircres), realizzato nell’ambito del progetto FOSSR – Fostering Open Science in Social Science Research – in collaborazione con gli istituti Cnr-Istc e Cnr-Irpps e con l’Università di Catania, e pubblicato su Scientific Reports (Nature Portfolio), mostra come i giovani ricercatori italiani stiano contribuendo in modo decisivo alla costruzione della conoscenza sul cambiamento climatico.
La ricerca ha analizzato oltre 74.000 tesi di dottorato realizzate tra il 2008 e il 2021, offrendo la prima mappatura completa della produzione dottorale sul clima in Italia. L’analisi mostra forti specializzazioni territoriali nelle scelte di ricerca dei giovani ricercatori e ricercatrici: mentre nel Nord Italia prevalgono gli studi su acqua, biodiversità e agricoltura; nelle regioni del Centro e del Sud l’attenzione si concentra soprattutto su energia, infrastrutture sostenibili e processi industriali. Le tesi condotte negli atenei delle Isole, infine, sono maggiormente orientate ai temi della governance, delle politiche climatiche e della gestione delle risorse.
Le analisi basate su machine learning mostrano una differenza netta tra le tesi in inglese e quelle in italiano. Le tesi scritte in inglese provengono soprattutto dalle scienze della vita, dalle scienze fisiche e dalle ingegnerie, dove la produzione in lingua inglese è più numerosa e il tema climatico è affrontato con maggiore frequenza. Al contrario, le tesi redatte in italiano appartengono più spesso alle scienze sociali, economiche e umanistiche, discipline fondamentali per comprendere gli impatti del cambiamento climatico, ma che trattano ancora il tema in misura più limitata.
“Ci siamo concentrati sull’analisi delle tesi di dottorato in quanto rappresentano un osservatorio privilegiato per capire come si stia formando la nuova generazione di esperti del clima”, afferma Antonio Zinilli, ricercatore Cnr-IRCrES e autore della ricerca. “Il nostro studio ha rilevato che i giovani ricercatori adottano soprattutto un approccio orientato alle soluzioni, più che a una semplice analisi delle sfide climatiche. Si tratta di un elemento particolarmente significativo perché questo orientamento proattivo verso l’innovazione sostenibile emerge in modo trasversale a tutte le aree disciplinari: dalle scienze della vita alla fisica e all’ingegneria, fino alle scienze sociali, economiche e umanistiche. Tuttavia, nonostante l’interesse crescente, solo il 13% dei dottorandi affronta esplicitamente il cambiamento climatico: un segnale di sottorappresentazione del tema nel sistema dottorale italiano”, prosegue Zinilli.
I risultati offrono indicazioni importanti per rafforzare i percorsi formativi, sostenere i giovani ricercatori e per capire in che modo il sistema della ricerca affronta le sfide climatiche del Paese.
Alpi e ghiacciai sempre più fragili, vulnerabili e soprattutto instabili. Nel 2025 il campanello d’allarme arriva da frane, crolli di roccia e colate detritiche in alta quota, ma anche dall’aumento degli eventi meteo estremi che investono sempre più le regioni alpine, complice la crisi climatica che causa la fusione dei ghiacciai alpini e le piogge intense anche in alta quota.
A scattare questa fotografia è il VI report Carovana dei ghiacciai di Legambiente dal titolo “Ghiacciai alpini ed eventi estremi in un clima che cambia”, presentato nei giorni scorsi a Torino presso il Museo "Duca degli Abruzzi" e realizzato in collaborazione con CIPRA ITALIA (Commissione Internazionale per la Protezione delle Alpi), con la Fondazione Glaciologica Italiana in qualità di partner scientifico, e con partner FRoSTA e Sammontana e partner tecnico EPHOTO. I numeri del report parlano chiaro.
FRANE
Nel 2025 da inizio gennaio ad oggi sono 40 gli eventi franosi documentati ad alta quota nell’arco alpino, concentrati soprattutto nella stagione estiva, con un crescendo dal mese di giugno (10) ad agosto (18). In particolare, da inizio anno i crolli di roccia, stando all’analisi della ricercatrice Marta Chiarle del CNR-IRPI, hanno quasi eguagliato per numerosità le colate detritiche (rispettivamente 18 e 20 eventi documentati). Il Veneto con 17 eventi franosi e la Valle D’Aosta, con 12, le regioni più colpite. Ai dati del 2025 si affiancano quelli sul lungo periodo: dal 2018 al 2025, stando all’elaborazione di Legambiente su dati Ispra-Inventario dei fenomeni franosi in Italia (Progetto IFFI), sono ben 671 gli eventi franosi principali registrati nelle sette regioni dell’arco alpino (Liguria, Piemonte, Valle D’Aosta, Lombardia, Veneto, Trentino-Alto-Adige, Friuli-Venezia Giulia). Un territorio, quello delle regioni dell'arco alpino, dove sino ad oggi sono state censite e mappate - stando ai dati di ISPRA riportati sulla piattaforma Idrogeo e sull'Inventario dei Fenomeni Franosi in Italia (IFFI) - oltre 239 mila frane che interessano più di 276 mila persone.
EVENTI METEO ESTREMI E CRISI CLIMATICA
Nel 2025 preoccupa anche l’aumento degli eventi meteo estremi nelle regioni alpine. Secondo i nuovi dati aggiornati dell’Osservatorio Città Clima di Legambiente, sono ben 154 quelli registrati da gennaio a fine novembre 2025 nelle regioni dell’arco alpino contro i 146 del 2024.
Allagamenti da piogge intense, 52 casi, seguiti da danni da vento (27), esondazioni fluviali (25) e frane da piogge intense (21) gli eventi meteo più frequenti. La Lombardia si conferma la regione più colpita con 50 eventi meteo estremi che hanno causato danni, seguita da Veneto (32), Piemonte (28) e Liguria (27). E con l’avanzare della crisi climatica la situazione potrebbe aggravarsi: un recente studio condotto dagli scienziati delle università di Losanna (UNIL) e di Padova, basato sull’analisi dei dati di quasi 300 stazioni meteorologiche montane, indica che un aumento di 2°C della temperatura regionale potrebbe raddoppiare la frequenza di questi eventi estremi.
Altro alert riguarda anche l’aumento delle temperature, che accelera da un lato la fusione dei ghiacciai e dall’altra comporta meno nevicate. In 60 anni sulle Alpi Italiane, secondo i dati emersi da Carovana dei ghiacciai 2025 di Legambiente e dai dati della Fondazione Glaciologica Italiana, si è persa un’area glaciale di oltre 170 km2.
CASI SIMBOLO FRANE e GHIACCIAI
Ai dati si affiancano le immagini di alcuni casi simbolo che hanno segnato questo 2025.In fatto di instabilità glaciale, c’è la grande valanga di roccia e ghiaccio originatasi per il collasso del Ghiacciaio di Birch in Svizzera che lo scorso maggio ha seppellito il villaggio di Blatten. Qui ha fatto tappa la Carovana dei ghiacciai 2025, la campagna di Legambiente che da sei anni monitora in Italia e all’estero lo stato di salute dei ghiacciai e dell’alta quota, che a Blatten ha toccato con mano la grande ferita ancora visibile sul versante svizzero, constatando anche la prontezza con cui è stata gestita l’emergenza, grazie ai dati del monitoraggio in atto. Tra gli altri esempi simbolo del 2025 ci sono le ripetute colate detritiche - 14 gli eventi documentati nell’estate 2025 - che da giugno a fine agosto hanno tenuto sotto scacco la S.S. 51 di Alemagna (BL), riaprendo il dilemma tra sicurezza e tutela della viabilità, a pochi mesi dall’inizio delle Olimpiadi invernali di Cortina-Milano. Tra i ghiacciai più in sofferenza, il re delle Alpi europee, l’Aletsch, in Svizzera, che dal 2000 al 2023 è arretrato in media di 40 metri l’anno (Glamos, rete di monitoraggio dei ghiacciai svizzeri), perdendo spessore soprattutto nella sua lingua terminale. L’Adamello-Mandrone, il più esteso ghiacciaio italiano, risulta in costante declino. Qui, a quota 2.600 metri, i dati elaborati da Provincia autonoma di Trento, SAT, MUSE, SGL e Università di Padova, hanno registrato un abbassamento di 4 metri della superficie; più in alto, le perdite si riducono, ma risultano comunque significative fino a 3.200 metri di quota. Per quanto riguarda poi i ghiacciai tedeschi dello Zugspitze, in Germania, lo Schneeferner settentrionale, secondo le proiezioni dei glaciologi tedeschi, entro il 2030 si ridurrà a poche placche residue di ghiaccio. Sullo stesso massiccio, il permafrost è destinato a scomparire entro il 2050.
Per Legambiente, CIPRA ITALIA e Fondazione Glaciologica Italiana, dunque, di fronte ad una montagna sempre più instabile e fragile, è necessario intraprese importanti azioni coordinate. Come: l’avvio di un monitoraggio ambientale dell’alta quota, mirato ma continuativo, modulato caso per caso, sia per la sicurezza delle persone sia per la gestione dei territori montani; l’aggiornamento costante delle carte di pericolosità geomorfologica per supportare correttamente la pianificazione territoriale. L’avvio di campagne di comunicazione per informare la popolazione sulle misure di riduzione del rischio.
È inoltre importante, per le associazioni ambientaliste, colmare le lacune conoscitive tra le quali: un catasto dei ghiacciai e una carta della distribuzione del permafrost aggiornati sull’intero territorio nazionale, fondamentali per rivedere le strategie di valutazione, monitoraggio e mitigazione dei rischi in montagna, tenendo conto dell’entità e della velocità delle trasformazioni in atto. É altrettanto fondamentale lavorare sui piani di mitigazione e di adattamento. Temi e proposte portate in primo piano anche questa estate con le sei tappe di Carovana dei ghiacciai 2025 di Legambiente - in Italia, Svizzera e Germania - e che sono anche al centro del Manifesto europeo per una governance dei ghiacciai e delle risorse connesse promosso da Legambiente insieme ad altre realtà, tra cui anche il CAI e sottoscritto da oltre 80 soggetti tra associazioni, enti di ricerca e istituzioni nazionali e internazionali. (focus\aise)