Leone XIV e l’anelito alla Pace - di Gianni Lattanzio

foto Vatican Media
ROMA\ aise\ - Il primo viaggio di Papa Leone XIV in Turchia e Libano ha manifestato un pontificato che si definisce fin dall’inizio come ministero della pace: tra Chiese, tra religioni, tra popoli feriti da guerre che sembrano senza uscita. In un Mediterraneo attraversato da conflitti e instabilità, il Papa ha voluto mostrare che il Vangelo della pace non è un’utopia devota ma una via politica, sociale e spirituale insieme, capace di generare processi di dialogo e mediazione.
LA PACE, NOME DI DIO E VOCAZIONE DELL’UOMO
Nel suo itinerario tra Ankara, Istanbul e Beirut, Leone XIV ha fatto risuonare la beatitudine “Beati gli operatori di pace” come chiave di lettura del tempo presente, insistendo sul fatto che la pace non è solo tregua militare ma riconciliazione delle memorie e giustizia per i più deboli. Richiamando l’orizzonte biblico di Isaia – “forgeranno le loro spade in vomeri” – il Papa ha denunciato l’illusione di una sicurezza fondata sulle armi, contrapponendole alla “potenza debole” del dialogo e della mediazione, che costruiscono nel silenzio ciò che i conflitti distruggono nel clamore.
Questo sguardo è radicato nella teologia del Concilio Vaticano II, che nella Gaudium et spes vede la pace come “opera della giustizia” e frutto di un ordine voluto da Dio, e nella Caritas in veritate e Fratelli tutti, dove la pace è concepita come architettura complessa di istituzioni giuste, memorie riconciliate e popoli fratelli. In continuità con questi testi, Leone XIV insiste sul legame stretto tra pace, tutela del creato e lotta alle disuguaglianze, mostrando come la crisi ecologica e l’ingiustizia sociale alimentino instabilità e violenza.
TURCHIA: ECUMENISMO E PROFEZIA DEI DUE STATI
In Turchia, la partecipazione alla Divina Liturgia con il patriarca ecumenico Bartolomeo ha avuto un forte valore ecclesiologico e politico: la ricerca della piena comunione tra cattolici e ortodossi è presentata come segno e strumento di pace in un mondo diviso. L’abbraccio tra Papa e Patriarca, sulle orme di Paolo VI e Atenagora, riprende la logica giovannea dell’unità dei discepoli “perché il mondo creda”, indicando che la credibilità del Vangelo della pace passa anche dall’unità dei cristiani.
Sul piano geopolitico, la scelta di ribadire in terra turca che “la soluzione dei due Stati” è l’unica via realistica e giusta per il conflitto israelo-palestinese colloca la Santa Sede in una linea di coerenza con il magistero recente ma con un accento nuovo di franchezza. Leone XIV, riconoscendo alla Turchia un ruolo di mediazione tanto su Gaza quanto su Ucraina, mostra una teologia della politica che valorizza ogni spazio di negoziato come luogo in cui lo Spirito può operare vie di riconciliazione, anche attraverso leader non cristiani.
LIBANO: UN “PAESE-MESSAGGIO” NEL CROCEVIA DEI CONFLITTI
In Libano, il Papa ha incontrato un popolo segnato da crisi economica, esplosione del porto, fuga dei giovani, bombardamenti periodici, ma capace di una resilienza che egli stesso ha letto come “parabola” evangelica per il mondo. Riprendendo l’intuizione di Giovanni Paolo II, per cui “il Libano è più di un Paese, è un messaggio”, Leone XIV ha visto nella convivenza tra diciotto comunità religiose un laboratorio di quella “amicizia sociale” che la dottrina sociale della Chiesa considera oggi alternativa credibile ai nazionalismi identitari.
Nell’incontro interreligioso in piazza dei Martiri, il Papa ha interpretato la storia libanese come confutazione pratica della logica dello “scontro di civiltà”: cristiani, musulmani e drusi possono vivere insieme, e questo mostra che paura e pregiudizio non sono destino inevitabile. Sullo sfondo emerge una lettura teologico-storica del Medio Oriente: terra di chiamata di Abramo e dei profeti, luogo in cui la fraternità tradita può sempre essere ricostruita, se si accetta la fatica di guarire memorie ferite e di riformare istituzioni corrotte.
DIALOGO CON L’ISLAM E DISARMO DELLE MILIZIE
Leone XIV ha fatto del dialogo con l’islam non un capitolo a parte, ma l’asse portante della sua proposta di pace: elogiando il Libano dove minareti e campanili stanno fianco a fianco, ha indicato la preghiera condivisa come invocazione comune del dono della pace al “misericordioso Creatore del cielo e della terra”. In questa prospettiva, l’islam non è percepito come minaccia all’identità cristiana, ma come interlocutore necessario per costruire società inclusive, contro le paure alimentate in Europa e Nord America da retoriche anti-migranti.
Al tempo stesso, il Papa non si è lasciato arruolare dagli attori armati: rispondendo al messaggio di Hezbollah, ha parlato con chiarezza della proposta ecclesiale che le milizie “lascino le armi e cerchino il dialogo”, ribadendo che nessuna lotta armata porta beneficio duraturo, mentre solo trattative e mediazioni edificano. Qui si riflette una linea costante del magistero, da Benedetto XV a Francesco: la guerra è “inutile strage”, la legittima difesa non può trasformarsi in logica permanente di milizie e vendette, e la vera sicurezza nasce da istituzioni inclusive e da un ordine internazionale fondato sul diritto.
GIOVANI, DONNE E POVERI: SOGGETTI STORICI DELLA PACE
Una cifra originale del viaggio è stata la centralità assegnata a giovani e donne come soggetti attivi della pace, non semplici destinatari di protezione. Ai giovani il Papa ha ricordato il dono della speranza e del tempo, chiamandoli a una “resistenza al male” non violenta, capace di trasformare ferite personali e collettive in impegno per un futuro diverso per il Libano e per la regione.
Alle donne Leone XIV ha riconosciuto un ruolo imprescindibile nel custodire e ricostruire legami, insistendo sulla loro partecipazione alla vita sociale, politica e religiosa come fattore di vero rinnovamento. Nelle sue parole alle comunità segnate dalla migrazione forzata, poi, riecheggia il capitolo 25 di Matteo: nell’attenzione ai profughi, ai poveri e ai feriti dell’esplosione del porto, il giudizio sulla storia è legato a come si accoglie chi bussa e a come si rende possibile restare o tornare nella propria terra.
MEDIAZIONE, REALISMO E SPERANZA CRISTIANA
Nelle conferenze stampa in volo, il Papa ha delineato un modello di presenza della Santa Sede nei conflitti contemporanei: non attore di potere, ma coscienza critica che incoraggia mediazioni, riconosce il ruolo di Stati come Turchia e Italia, dialoga con tutte le parti senza farsi strumentalizzare. Questo “realismo cristiano” prende sul serio la complessità delle guerre ibride, dei cyber-attacchi, delle crisi energetiche, ma rifiuta la rassegnazione a un mondo diviso in blocchi, rilanciando l’idea di una pace “giusta” negoziata e non imposta.
L’anelito alla pace che attraversa il viaggio di Leone XIV è lettura concreta del mandato paolino: “Lasciatevi riconciliare con Dio”. La riconciliazione verticale diventa impegno orizzontale a guarire memorie, a trasformare istituzioni, a educare popoli al dialogo, in un intreccio di diplomazia, pastorale e profezia. In un Mediterraneo spesso ridotto a linea di frattura, il Papa ha indicato Turchia e Libano come luoghi-simbolo di un’altra possibilità: che il “Dio della pace” continui a suscitare, nella storia concreta, donne e uomini capaci di trasformare l’anelito in cammino condiviso. (gianni lattanzio*\aise)
* Segretario Generale Istituto Cooperazione Paesi Esteri (ICPE)