ItaloAmericano.org/ La regista italiana Maura Delpero fa la storia con “Vermiglio” – Silvia Nittoli
Photo courtesy of Janus Film
SAN FRANCISCO\ aise\ - “Per la prima volta dopo 19 anni, una regista rappresenterà l’Italia nella corsa per le statuette del cinema. Il secondo lungometraggio di Maura Delpero, Vermiglio, ha infatti ottenuto una nomination ai Golden Globe nella categoria Miglior Film in Lingua Straniera. Dopo aver ricevuto ampi consensi di critica durante i suoi passaggi nei festival di Venezia e Toronto, il film di Delpero è diventato anche la candidatura ufficiale dell’Italia per il Miglior Film Internazionale alla 97ª edizione degli Academy Awards”. Così scrive Silvia Nittoli che ha intervistato la regista per l’ItaloAMericano.org diretto da Simone Schiavinato.
“Scritto e diretto da Delpero, Vermiglio è il ritratto di una famiglia numerosa e prende il titolo dal nome di un villaggio di montagna nelle Alpi italiane, che per generazioni è stato la casa della famiglia della regista. “Vermiglio è il villaggio montano del Trentino-Alto Adige dove è nato mio padre”, ci racconta Delpero quando la incontriamo a Los Angeles durante la campagna promozionale del film.
Ambientato nel 1944 e in gran parte recitato in dialetto locale, esplora gli effetti che la Seconda Guerra Mondiale ha su una piccola comunità. “Ho scelto quello specifico periodo storico perché lo considero un periodo di grande transizione”, ci ha detto Delpero.
La trama si sviluppa interamente nel piccolo paese di montagna, lontano dai conflitti che attraversano l’Europa, dove l’arrivo di un soldato disertore sconvolge la vita del maestro del villaggio e della sua famiglia. Quando la figlia maggiore, Lucia, si innamora di lui, il destino della famiglia prende una piega inaspettata. Con Vermiglio, Maura Delpero ha realizzato un film profondamente personale ma dal richiamo universale. Unendo la storia della sua famiglia con quella dell’Italia, Vermiglio diventa un’opera che collega passato e presente, guadagnandosi un meritato riconoscimento a livello internazionale.
D. Come è nato il film? Come è nata l’idea?
R. Non la definirei un’idea, ma piuttosto una sensazione. È nata in un momento in cui tutto nella mia vita stava cambiando. Stavo lavorando a un altro progetto quando mio padre è morto, e ho sentito un bisogno urgente di fermarmi e riflettere. Era un momento di svolta per me: da un lato elaboravo il lutto per la perdita di mio padre, dall’altro desideravo diventare madre. Poi ho fatto un sogno: mio padre mi è apparso come un bambino, gioioso e spensierato. Quell’immagine ha ispirato il bambino nel film, che è basato su di lui. Mio padre è cresciuto in un piccolo villaggio di montagna, e ho iniziato a scrivere di bambini che giocavano lì—ragazzi ispirati a mio padre e ai suoi fratelli, i miei zii e zie. Col tempo, ciò che era iniziato come una storia personale è diventato qualcosa di molto più grande. Mi sono resa conto che c’era qualcosa di universale in queste dinamiche familiari. Scrivendo, ricordi, odori, sapori, suoni, mi sono tornati in mente, e la storia si è naturalmente evoluta in qualcosa di profondamente audiovisivo.
D. Altri personaggi sono ispirati a persone della sua vita?
R. Sì, molti. La madre nel film è ispirata a mia nonna, con cui ho sempre sentito una grande connessione. Il maestro, interpretato da Tommaso Ragno, è basato su mio nonno. Era l’insegnante di mio padre e una delle figure più rispettate del villaggio. Mio nonno era quasi un sindaco, le persone si riunivano nella cucina di mia nonna per discutere dei problemi della comunità. Era un luogo mitico, il cuore pulsante della famiglia.
D. Come ha lavorato con attori professionisti e non professionisti?
R. Ho scelto un mix di attori professionisti e di abitanti del villaggio. I locali hanno portato un’incredibile autenticità. Molti di loro non erano mai stati davanti a una telecamera prima, ma incarnavano l’essenza del luogo: il loro modo di muoversi, parlare e comportarsi era radicato nel territorio. Ho chiesto agli attori professionisti di imparare dai non professionisti, e non il contrario. Tommaso Ragno, ad esempio, è un noto attore italiano e un vero cittadino, ma ha dovuto adattarsi allo stile di vita rurale per calarsi nel suo ruolo.
D. Quanto è stato difficile girare in montagna?
R. Moltissimo! Tutto era più complicato, specialmente per il tempo. Se una scena richiedeva neve e non cadeva naturalmente, dovevamo salire in alta quota con i gatti delle nevi, che trasportano poche persone alla volta. Le condizioni erano dure, e gli attori lottavano contro il freddo nei loro costumi d’epoca. Abbiamo anche lavorato con gli animali, che aggiungevano imprevedibilità. Un giorno una mucca non voleva fare quello che doveva. Inoltre, ero una madre alle prime armi. La mia bambina di sette mesi era con me sul set, e spesso la allattavo mentre dirigevo una scena. Sorprendentemente, questa situazione ha portato un’energia positiva alla produzione.
D. Qual è la sua visione di cinematografia?
R. Ho lavorato con Mikhail Krichman, un brillante direttore della fotografia russo che ammiro moltissimo. Volevo che il film sembrasse un dipinto, quindi abbiamo usato quadri come riferimenti durante la pre-produzione. Ci siamo concentrati sulla creazione di una palette cromatica specifica per catturare il periodo in modo autentico. Non volevo girare in bianco e nero perché la storia del film è ciclica e attraversa le quattro stagioni. Abbiamo anche tratto ispirazione dalla fotografia autochrome, un’antica tecnica che ci ha dato il perfetto mix di texture e nostalgia.
D. Qual è stata la sfida più grande sul set?
R. La parte più difficile è stata far sì che gli attori si sentissero una vera famiglia. Solo due di loro erano fratelli nella vita reale, mentre gli altri non si conoscevano affatto. Volevo che si sentissero a proprio agio nel condividere spazi fisici, come dormire nello stesso letto o stare così vicini da toccarsi i piedi. Quel livello di intimità non è facile da simulare, ma era essenziale per la storia.
D. Sua figlia appare nel film?
R. Sì, appare brevemente! È in una piazza siciliana con la sua babysitter, vestita con un costume tradizionale. Volevo includerla come un piccolo ricordo personale, ma non le ho dato un ruolo più grande. Piangeva troppo durante i provini e non ero sicura di riuscire a separare i miei ruoli di madre e regista. Così ho scelto una ginecologa locale per interpretare la madre del neonato nel film. È stata fantastica: completamente imperturbabile rispetto ai bambini che piangevano e perfetta per il ruolo”. (aise)